SCHEDE TECNICHE

Queste schede tecniche d’antiquariato sono state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro

per la rubrica mensile edita sulla rivista “L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non riportate.

Si ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte presso il

Tribunale di Bologna www.perito-arte-antiquariato.it

 

Il vetro. Terza parte: le vetrate dopo il Trecento, l’Ottocento.

Preparazione del vetro.

La miscelazione delle materie prime avveniva la sera, alla fine dell’orario di lavoro e la preparazione del vetro durava tutta la notte. Le due componenti fondamentali, soda (20-25%, un tempo ricavata da piante del litorale mediterraneo e dal natron. Oggi è prodotta chimicamente) e silice (60-65%, estratta dalle cave. Dalla metà del Trecento si otteneva particolarmente pura tritando i ciottoli del Ticino, con essa si produceva un vetro maggiormente incolore. Oggi si utilizza quella di Fontainebleau), erano fuse per realizzare la fritta (oggi le maggiori temperature consentono di saltare questo primo passaggio). Questa raffreddata e tritata era fusa aggiungendovi: lo stabilizzante (10-15%; per es. carbonato di calcio o calcare), in grado di abbassare il punto di fusione, aumentare la resistenza ed evitare l’opacizzazione; i decoloranti od i coloranti ed eventualmente gli opacizzanti. Il vetro fuso era poi raccolto con mestoli e purificato, versandolo in acqua pura. I blocchi ottenuti costituivano il materiale da fondere per realizzare il vetro pronto per la lavorazione. Il forno a riverbero fonde le materie prime alla temperatura di circa 1.400° ed i vetrai la mattina trovavano il materiale fuso pronto per la modellazione. La pasta di vetro è duttile fino alla temperatura di 500°. Il prodotto finito era poi posto in un altro forno per la ricottura, ovvero il lento raffreddamento, che evitava fratture e rotture. Fino alla prima guerra mondiale si bruciava la legna, poi il carbone, dopo la nafta e dalla seconda guerra mondiale il gas metano. Il gruppo di lavoro è costituito dalla “piazza”, coordinata dal maestro e composta da serventi e garzoni, in grado di padroneggiare le varie tecniche della lavorazione a caldo. L’opera può essere eventualmente rifinita a freddo da esperti molatori, che procedono alla levigatura, per esempio del punto di distacco del pontello, e ad altre eventuali rifiniture. L’incisione figurativa è eseguita in laboratori indipendenti, dove operano decoratori altamente specializzati; è applicata preferibilmente sul cristallo incolore o lievemente colorato con due modalità: graffito a punta di diamante e inciso a rotina (quest’ultima realizzata con una piccola ruota metallica è più profonda).  Se la decorazione prevista è quella a smalto, l’oggetto passa in un laboratorio specifico nel quale sono eseguite la pittura e la ricottura dello smalto.

Storia della vetrata artistica II parte.

All’inizio del XIV secolo si può presumibilmente datare in Europa la scoperta del giallo d’argento, a base di ossidi metallici, che con la ricottura fornisce un ampio numero di gialli; esso consente di arricchire le tonalità cromatiche sulla stessa lastra di vetro e di conferire luminosità e profondità ai colori. In Italia questa forma d’arte si affermò più tardi rispetto a Francia, Inghilterra, Spagna e Germania e si caratterizzò principalmente per l’esasperato utilizzo di grisaglia (vedi scheda precedente) assumendo i caratteri di una vera e propria pittura su vetro. Le città di Siena, Assisi, che possiede le più antiche vetrate italiane, e Firenze sono da ricordare per le straordinarie realizzazioni dei più grandi artisti italiani dell’epoca. I secoli successivi si caratterizzano per la scoperta di modalità espressive quali la tecnica del “plaquet” (due vetri, uno colorato, istoriato mediante l’incisione, ed uno trasparente, sovrapposto al primo per proteggerlo) e l’introduzione degli smalti colorati, che portarono a dipingere su vetro trasparente. Con il recupero della cultura classica, nel Rinascimento, e il declino del predominio cattolico nel Nord Europa, determinato dalla Riforma, nelle vetrate aumentarono i soggetti non religiosi. La tendenza si rafforzò ulteriormente con il moltiplicarsi dei palazzi, che si sostituivano ai più austeri castelli. Ciò procurò ai vetrai importanti commesse, con richieste di nuovi soggetti. La mitologia greca e romana, leggende, favole, racconti poetici, cicli cavallereschi e tradizioni araldiche ispirarono gli artisti del vetro fino al secolo scorso. Le guerre di religione tra cattolici e protestanti e la Controriforma provocarono la distruzione di molti antichi capolavori. L’arte della vetrata, arrivò quasi a estinguersi tra il XVII ed il XVIII secolo. Solo nell’Ottocento si ebbe un ritorno di interesse grazie al revival gotico. Nel contempo si verificò una tendenza a recuperare la limpidezza e le luminosità dei vetri medioevali e nel 1863, dopo decenni di tentativi, in Inghilterra a Birmingham, si riuscì di nuovo a produrre “vetro antico”. Si procedette a numerosi restauri di opere antiche, consentendo di tornare a valorizzare le tecniche impiegate originariamente. I movimenti dei Preraffaelliti e l’Art Nouveau aprirono una nuova e moderna stagione di espressione delle vetrate artistiche ed in particolare il suo grande esponente americano Louis Comfort Tiffany (1848-1933) fu capace di inventare un nuovo modo di costruire vetrate ed oggetti in vetro colorato, sfruttando con grande abilità i giochi di luce e gli effetti di iridescenza ottenuti dal vetro opalescente, che andava diffondendosi in quel periodo. Le vetrate riconquistarono un posto importante tra le lavorazioni artistiche, anche grazie a John La Farge, negli Stati Uniti, William Morris e Edward Burne-Jones in Gran Bretagna, di Eugène Viollet-Le-Duc ed Hector Quimard in Francia, per citare i più noti; impegnando grandi artisti quali: Toulouse Lautrec, Bonard, Lègere, Braque, Matisse, ecc. Da questo momento e fino ai nostri giorni, la vetrata artistica diviene sempre più oggetto di arredamento profano, evidenziando un suo ininterrotto affrancamento dall’ambito esclusivamente religioso dei secoli precedenti.

Venezia e l’Europa nell’Ottocento.

Con la creazione del regno Lombardo-Veneto l’Austria iniziò una politica di dazi doganali al fine di favorire la vendita dei vetri boemi, assestando un durissimo colpo alla produzione muranese. Oltre a ciò il gusto internazionale era radicalmente mutato, privilegiando i cristalli intagliati boemi di grosso spessore e quelli piombici brillanti inglesi ed impero. Si contrapponevano due modi differenti di sentire il vetro. Da una parte il pesante cristallo intagliato, che richiedeva una limitata lavorazione a caldo, favorendo quella a freddo, molata ed incisa, simile a quella del cristallo di rocca e delle pietre dure. Dall’altra la leggerezza del vetro soffiato eseguito quasi esclusivamente a caldo, che privilegia il vetro per la sua plasmabilità. I primi segni di ripresa all’inizio del XIX secolo furono segnati dall’apertura nel 1854 della fornace F.lli Toso e si incrementarono con l’istituzione determinante nel 1861 del Museo Vetrario e dell’annessa Scuola di Disegno per Vetrai, per opera del comune di Murano e dell’Abate Vincenzo Zanetti, studioso di storia vetraria. In quegli anni nacque anche, per opera di Antonio Salviati, un laboratorio di mosaici che decorò importanti edifici in Europa e nel mondo. Il mosaico veneziano moderno si distingue da quello antico soprattutto per l’aspetto della superficie. In antico le tessere sono poste direttamente una ad una sul muro, ciò consente una superficie irregolare con effetti di luce baluginanti. Nel moderno le tessere sono preventivamente fissate su cartoni, anche per favorire la spedizione di elementi completi, poi collocati interi a rovescio. Una volta rimosso il supporto di cartone la superficie appare liscia ed uniforme. Il tecnico vetrario Vincenzo Moretti nel 1871 riuscì a riprodurre le “murrine” romane, entrate da allora nel repertorio di Murano (tale nome deriva dal termine myrrhina, usato da Plinio nella sua Naturalis Historia, per indicare una pietra naturale). Tecnica antichissima, antecedente alla soffiatura, di cui si era persa traccia per quasi duemila anni, consistente nella fusione al calore del forno di tessere monocrome o di sezioni di canna vitrea policroma secondo un disegno preordinato, in modo da ottenere un tessuto vitreo coloratissimo. Famose quelle realizzate da Carlo Scarpa negli anni quaranta del secolo passato. La seconda metà dell’Ottocento vede Murano avvantaggiarsi dell’imperante gusto revival. Sempre determinante fu l’opera del Salviati. Furono ripresi tutti gli stili del passato con un vasto successo di pubblico. Oggi è necessario prestare molta attenzione per riconoscere le imitazioni e questo compito riesce difficile anche all’esperto. Già nel 1866 su di un giornale si avvertiva: “... quindi abbiamo non solo eleganza di forma e leggerezza del materiale, ma anche le stesse imperfezioni visibili nei vetri del Cinquecento e del Seicento ... e tutti questi pezzi sono così ben copiati che i collezionisti di vetro antico devono stare molto attenti”. Oggi la falsificazione degli unguentari di vetro è difficilissima, e quasi impossibile quella della pasta vitrea; questa, infatti, viene prodotta esclusivamente a Murano sotto richiesta ed è venduta a blocchetti di dimensioni variabili. Il vetro antico è riconoscibile dalle sue classiche bollicine all’interno e dalle numerose smagliature esterne dovute alla lavorazione originale, quindi per falsificare una boccetta o un unguentario bisogna ricorrere direttamente alle tecniche di lavorazione antiche, cosa molto dispendiosa. Tuttavia nell’ultimo quarto del XIX secolo furono imitati molti vetri formati dal nucleo in pasta vitrea (vedi schede precedenti). Oggi il prezzo non altissimo dei vetri antichi, soprattutto dei modelli più comuni, limita molto la loro falsificazione. Tecniche di indagine di laboratorio sulla composizione e sui sedimenti permettono di certificarne l’autenticità, ma non sempre il loro costo vale la spesa. Furono anche prodotti fondi oro paleocristiani, graffiti su foglia d’oro ed inglobati tra due lastre di vetro, conformi agli originali, solo che quelli antichi ci sono pervenuti in frammenti, mentre questi sono vasi completi di fantasia. I calici con stelo scolpito seicenteschi e settecenteschi sono stati i più imitati a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Alcuni sono copie perfette, in altri si possono ravvisare inesattezze dovute principalmente all’influenza dello stile moderno, od ancora veri e propri errori. Ad esempio l’uso del vetro girasol, realizzato solo dalla fine del 600’, in manufatti imitanti il 500’ od il 600’. L’eccessiva pesantezza della decorazione. L’uso dell’acido e della mola al posto del tornio per eseguire i vetri cammeo. Le differenze di colore. L’introduzione di draghi fantastici dovuta all’influenza di fine secolo del japonisme. Nell’intento imitativo si giunse ad inglobare nelle basi monete del Settecento. Oggi molti di quei modelli, peraltro sovente di notevole esecuzione, sono stati ripresi e spesso sono venduti come antichi o vecchi. Gli anni 80’ del XIX secolo segnarono il trionfo del gusto per l’orrido ed il sorprendente. Non solo l’Oriente, verso cui si incrementarono proprio in quegli anni i commerci, ma anche il Medioevo fu fonte di ispirazione per introdurre serpenti, draghi e mostri di ogni tipo. L’influenza dell’arte orientale portò, nell’ultimo quarto dell’Ottocento, l’Europa e l’America ad abbandonare il revival storicista e favorì la nascita del nuovo stile l’art nouveau tutto imperniato sulle decorazioni floreali e naturaliste. Venezia troppo ancorata alle sue tradizioni muranesi non seppe rinnovarsi e solo nel Novecento imboccherà con il liberty ed il decò la via dell’innovazione.

In Europa all’inizio dell’Ottocento lo stile Impero impose la decorazione ad intaglio, anche molto profondo e la pittura a smalto. L’intaglio si esegue con mole, quasi sempre di rame, continuamente bagnate di acqua e smeriglio (anticamente sabbia, dall’Ottocento carborundum). Ottenuta l’incisione il solco è opaco, si lucida quindi con mole di materiali più teneri: prima legno, poi sughero ed infine feltro. Gli oggetti molati si distinguono da quelli realizzati in stampi per la presenza sulla superficie intagliata di leggere striature parallele, osservabili a luce radente. Henry Schwanhardt nel 1670 inventò a Norimberga l’incisione all’acido fluoridrico, ottenuto ricoprendo la superficie con una vernice resinosa, ad esempio cera, ed eseguendo il disegno tracciandolo con una punta che asportava la vernice; quindi si sottoponeva all’azione dell’acido, che scioglieva il vetro ove era scoperto. Dal 1871, per opera del Tilgham, incominciò ad essere usata la sabbiatura del vetro, ottenuta con un getto di sabbia sulla superficie opportunamente mascherata. A Parigi aprì nel 1814 “L’Escalier de Cristal” negozio caratterizzato da un’imponente scalinata eseguita in cristallo. Vi si vendevano mobili di cristallo molato montato in bronzo dorato, prodotti dalla “Compagnie des Verreries et Cristalleries de Baccarat”; i cui piani erano spesso di vetro eglomisé, realizzato pitturando a freddo una lastra e proteggendo la pittura colandovi sopra un secondo strato di vetro. Il vetro beidermeier non comportò innovazioni tecniche, ma solo una certa semplificazione stilistica. In Inghilterra tra il 20’ ed il 30’ lo stile regency adottò l’intaglio a fasce parallele che forma tante bugne piramidali. Nel 1825 in America fu sperimentato il vetro pressato a macchina, che realizza contorni netti, impossibili con l’intervento manuale. Questo procedimento, che dona alle superfici riflessi argentei, si diffuse in Europa ed a metà del secolo era usato in particolare in Francia. I Press-papier, ideati dal veneto Pietro Bigaglia, diventarono, sempre dalla metà dell’Ottocento, prerogativa francese. Come a Venezia il terzo quarto dell’Ottocento vide il trionfo del revival storicistico nel mondo.  Dalla fine dell’Ottocento in Europa ed in America l’Art Nouveau segnò un nuovo corso nella produzione artistica vetraria. Tutte le tecniche del passato furono studiate e riutilizzate. 

 

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