SCHEDE TECNICHE
Queste schede tecniche d’antiquariato sono state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro per la rubrica mensile edita sulla rivista “L’Informatore Europeo”.
Si ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte presso il
Tribunale di Bologna (www.perito-arte-antiquariato.it).
I modelli di gesso per l’esecuzione di statue di marmo.
Cominciamo oggi una rubrica sull’aspetto prevalentemente tecnico e tecnologico, relativo alla preparazione ed all’esecuzione delle opere d’arte ed antiquariato, in cui presentiamo ogni volta una scheda di carattere specifico.
Trattiamo argomentazioni assolutamente non esaustive, ma tali da inquadrare i vari aspetti in maniera non superficiale. Auspichiamo in tal modo di essere di qualche utilità ai professionisti ed agli amatori nell’apprezzamento più intrinseco delle opere. La comprensione di un’opera priva della conoscenza delle tecniche e dei materiali, che ne hanno permesso la realizzazione, non può che essere incompleta.
Iniziamo dall’esecuzione dei progetti e dei modelli e la loro trasposizione nell’opera finita.
Affrontiamo questa volta la tecnica di creazione e d’utilizzo dei modelli di gesso per la produzione di statue di marmo. Seguiranno, nei prossimi numeri, la tecnica d’esecuzione dei modelli per le fusioni artistiche e per gli ornamenti dei mobili e poi quella per la costruzione stessa dei mobili.
Il punto basilare di partenza è sempre costituito dal disegno preparatorio e dagli schizzi, eseguiti dall’artista per studiare le possibili varianti ed i singoli aspetti dell’opera.
Ciò vale indifferentemente per le opere di fantasia che per quelle tratte dal vero.
Il disegno viene di norma reso concreto in un primo abbozzo di modello in creta, cera, gesso o legno; abitualmente di dimensioni ridotte. Il disegno come il modello potevano servire a studiare i vari aspetti compositivi od alla presentazione in anteprima al committente dell’opera. Tale disegno e modello, ove ancora esistenti, sono fonte di un forte collezionismo e a seconda degli autori ottengono quotazioni a volte anche più rilevanti delle stesse opere compiute.
Si procede quindi alla creazione del modello definitivo in misure reali. Per la costruzione di tale modello di gesso esistono due metodologie.
1° La tecnica detta della “formatura a perdere”.
Si comincia piantando sottili lamelle allineate una a fianco all’altra nel modello, eseguito in creta od in cera, lungo linee mediane ed in corrispondenza del profilo più esterno dell’opera, otteniamo così un divisorio continuo che servirà a separare le due o più parti dello stampo (chiamate anche valve o forme, termine da cui questa tecnica prende appunto il nome di formatura). Si spalma poi con pennelli il modello, di un leggero strato di gesso colorato fluido. Su questa prima pellicola si stende uno strato di gesso più consistente e di spessore adeguato alla grandezza dell’opera (detto mantello). Una volta avvenuta la presa (indurimento del gesso), si procede allo svuotamento delle valve separandole ed asportando la creta o la cera, di cui era fatto il modello, che le riempie; quindi tale modello viene inevitabilmente distrutto e perduto. Si pennellano gli stampi all’interno con un distaccante (graffite, latte, polveri fini, sapone,olio, ecc.). A questo punto si può procedere in due modi: sia riempiendo con un consistente strato di gesso le due o più valve aperte ed unendo le parti ottenute successivamente con gesso liquido; sia ricomponendole insieme, tenendole legate con corde o filo di ferro e colando poi il gesso liquido da appositi fori fino ad ottenere lo spessore desiderato. Infine si asportano gli stampi di gesso esterni scalpellandoli e di conseguenza distruggendo e perdendo anch’essi (da cui formatura a perdere), arrestandosi alla comparsa dell’esile strato colorato, stendendo il quale avevamo cominciato il lavoro, e che appunto ci serve per fermarci al momento opportuno. Poi con la massima attenzione ripuliamo togliendo il meglio possibile anche quest’ultima pellicola colorata. Otteniamo così il modello definitivo (chiamato calco originale o modello originale).
2° La tecnica detta della “forma buona”. Consiste nel produrre stampi divisi in tanti tasselli di gesso, grandi quanto lo permettono i vari sottosquadri presenti nel modello (per sottosquadro s’intende qualunque parte posta su un piano sottostante quelli superiori e per questo motivo tale da rendere impossibile l’estrazione di uno stampo in un sol pezzo, come ad esempio il dietro di un braccio o di una piega della veste). Fatto il primo tassello s’incidono sul bordo piccoli incavi che corrisponderanno a sporgenze in quello successivo (dette chiamate); mentre si procede si affogano all’esterno dei tasselli dei perni, che serviranno sia ad estrarli che a tenerli fermi come vedremo in seguito nella madreforma. Spesso s’incidono sul modello, nei punti di giunzione dei vari tasselli, linee di riferimento (che appariranno sugli stampi in rilievo), per renderne più agevole la ricomposizione successiva. Per tenere insieme i vari tasselli è necessario coprirli a gruppi, ancora in loco e sempre dopo averli trattati con un distaccante, con uno strato di gesso, chiamato appunto madreforma, che sarà la prima ad essere tolta. Poi una volta estratti i tasselli dal modello, li si ricompone nelle madriforme e li si cosparge all’interno di distaccante. A questo punto, come abbiamo visto in precedenza, si può spalmare direttamente il gesso in spessore adeguato nei vari stampi separatamente, incollando poi, con gesso liquido, le varie parti così ottenute, metodo necessario se le opere hanno dimensioni rilevanti. Oppure si possono riunire tutte le madriforme e colare da appositi fori il gesso liquido, realizzando subito un calco intero. Con questa tecnica, essendo possibile conservare lo stampo, è possibile ottenere più calchi dello stesso modello, aventi tutti valore di copia.
Con il metodo della forma a perdere o con quello della forma buona, se si deve produrre un calco di grandi dimensioni, è in ogni caso necessario come abbiamo visto eseguirlo frazionato in più parti separate e poi assemblarlo. Ciò si può fare in maniera definitiva incollando col gesso liquido i vari pezzi, oppure provvedendo al fissaggio per mezzo di perni, che ne permetteranno l’eventuale smontaggio ed il rimontaggio, ad esempio durante eventuali trasporti. All’interno dell’opera, sia durante la colata, sia posteriormente, s’inseriscono per dare robustezza sostegni lignei o metallici; le parti più fragili, come ad esempio le pieghe dei drappeggi, possono essere rinforzate applicando teli e retinature.
Ottenuto il modello di gesso da esso si può procedere alla realizzazione della statua di marmo. A tal fine si segnano sul modello stesso punti di riferimento o addirittura vi si configgono piccoli chiodi, le cui teste serviranno esse stesse da riferimenti. Per mezzo di uno strumento chiamato pantografo si ricavano tutte le misurazioni necessarie, con cui gli aiuti possono procedere alla sbozzatura del marmo fino alle altezze ed agli spessori corrispondenti sul modello a detti punti di riferimento.
Il sistema dei chiodini, quando si lasciano sul modello leggermente rilevate le teste, può consentire agli aiuti di fermarsi poco prima di raggiungere sul marmo il livello definitivo dell’opera, evitando il pericolo di togliere troppo materiale. Infine il maestro procedeva alla rifinitura finale. Tale metodo permetteva di eseguire più repliche dello stesso modello.
Concludendo bisogna sempre distinguere i calchi originali usati quali modelli, aventi effettivo valore antiquariale, da quelli fatti copiando le statue di marmo finite od i suddetti calchi originali, che devono essere considerati semplici copie, e per ciò stesso di valore più modesto. Ciò è possibile osservando l’eventuale presenza delle seguenti caratteristiche: creste di gesso in coincidenza delle unioni delle valve o dei tasselli degli stampi; stuccature lungo le linee d’incollaggio delle varie parti; tracce della pellicola colorata di cui abbiamo parlato; chiodini metallici ed altre tracce dei segni di riferimento utilizzati.
Ricordiamo inoltre che copie di gesso invece che in marmo furono realizzate dagli stessi artisti per committenti che lo richiedevano; come ad esempio alcune di quelle esposte alla mostra sul neoclassicismo, attualmente in corso a Palazzo Reale di Milano, eseguite dallo stesso Canova. In questo caso anch’esse sono da considerarsi a tutti gli effetti repliche e non solo copie, ma solo in presenza di una precisa documentazione in tal senso.