SCHEDE TECNICHE

Queste schede tecniche d’antiquariato sono state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro

per la rubrica mensile edita sulla rivista “L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non riportate.

Si ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte presso il

Tribunale di Bologna www.perito-arte-antiquariato.it

 

La scheda è stata curata dalla prof.ssa Gaia Santoro

L’arte della ceroplastica seconda parte “la storia” e la “Tecnica”. II Parte.

Molti i luoghi, che hanno visto fiorire l’arte della ceroplastica, soprattutto in Italia. La già citata Firenze, di cui il Vasari diceva: “Dopo si cominciò al tempo [di Verrocchio] a formare le teste di coloro che morivano, con poca spesa; onde si vede in ogni casa di Firenze sopra i camini, usci, finestre e cornicioni, infiniti di detti ritratti, tanto ben fatti e naturali che paiono vivi. […] si cominciò al tempo d’Andrea a fargli in molto miglior maniera, perché avendo egli stretta dimestichezza con Orsino ceraiuolo, il quale in Fiorenza aveva in quell’arte assai buon giudizio, gli incominciò a mostrare come potesse in quella farsi eccellente”. Tra Firenze e Bologna Clemente Susini realizzò alcune delle così dette Venerine, corpi di donna sezionati, dove l'elemento artistico prevale su quello anatomico. Bologna ebbe grande importanza grazie alla sua rinomata università; basti l’esempio di Ercole Lelli, che progettò nel 1742 la Stanza dell'anatomia con statue a grandezza naturale costituite da veri scheletri ricoperti da fasci muscolari superficiali e profondi in cera colorata con sostanze naturali e due reni sani e due anomali, prime rappresentazioni delle malformazioni e delle patologie. Nel corso del XVII secolo si sviluppa, soprattutto in ambito gesuita, una per noi sconcertante modalità di rappresentazione del Cristo Crocefisso, realizzato in cera, quella del visceribus Christi. Uno sportellino apribile sul torace permetteva la vista delle viscere del Salvatore. Lo scopo precipuo era sia di dimostrare concretamente la realtà umana di Cristo, fino alla sua definitiva trasfigurazione divina al momento della resurrezione, controbattendo le teorie monofisite contrarie a tale natura; sia di chiedere la grazia divina al sacro cuore di Cristo. In Campania nei secoli XVI e XVII i ceraioli si specializzarono nella produzione di presepi e di episodi importanti della liturgia cristiana. Erano realizzati in cera le teste, le mani e i piedi, mentre i corpi, abbigliati con abiti di stoffa, erano fatti con materiali diversi: legno, fil di ferro, crine e stracci.  l'interesse e la passione con la quale questo tipo di oggetti fu raccolto nelle Wunderkammern d’Europa, è dimostrato a partire da alcune delle più famose e strabilianti, da quella tardo cinquecentesca del duca Ferdinando II d'Austria, nel castello di Ambras, a quella dell'imperatore Rodolfo II, nel castello di Hradschin a Praga. In Sicilia sin dal Medioevo, soprattutto a Palermo, all'interno di monasteri e conventi, ci si era dedicati alla produzione in cera di arte sacra. Nel Settecento i cirari (ceraiuoli) (detti Bamminiddara) cominciarono a realizzare i Bambineddi (Bambini Gesù) abbigliati con ricchi tessuti ricamati, destinati ad una committenza sia ecclesiastica che domestica. Ancora oggi a Palermo c’è via Bambinai. Un curioso esempio di devozione sono le numerose Bimbe Marie, presenti in luoghi sacri e domestici e abbondanti nel mercato antiquario. L’8 settembre si celebra la Natività della Beata Vergine Maria, festa liturgica della Chiesa cattolica e della Chiesa ortodossa, che commemora la nascita di Maria. Nel protovangelo di Giacomo si racconta che Maria nacque a Gerusalemme nella casa di Gioacchino ed Anna; qui nel IV secolo venne edificata la basilica di Sant'Anna e nel giorno della sua consacrazione veniva celebrata la natività della Madre di Dio. La festa, nata dapprima in Oriente, è poi stata introdotta nella chiesa d'Occidente dal papa Sergio I. La ceroplastica ha spesso consentito ai ricercatori e agli esploratori di mostrare in patria modelli in cera del risultato delle loro ricerche: insetti, frutti, semi, ecc. Nell'ambito della stregoneria erano usati, in vari rituali, simulacri in cera, anche a grandezza naturale. Orazio, ad esempio, ci racconta che le streghe usavano per i loro sortilegi delle cereae imagines (figure di cera). Alcuni esempi: Nel 1315 la castellana di Cataleu fu accusata di aver trafitto i ritratti di cera del re Luigi X e dei principi con spilloni per gettare su di loro il malocchio e provocarne malattie e morte. Isabela Joyela, “strega”, condannata dal S. Uffizio di Palermo nel 1602, faceva simulacri, usando la cera della torcia pasquale, e dandoli al cliente per indurre una persona ad innamorarsene.

Le tecniche di produzione della ceroplastica sono legate alle varie botteghe, che gelose dei loro segreti raramente le hanno divulgate. Così Benvenuto Cellini descriveva la lavorazione della ceroplastica: «Questa cera si fa così: pigliasi cera bianca pura e si mescola con la metà di biacca ben macinata con un poco di trementina chiarissima; questa vuol essere più o manco, secondo in che stagione l'uomo si truova, perché, essendo di verno, tu gli puoi dare più trementina la metà che la state. Di poi con certi fuscelletti di legno questa cera si lavora in su un tondo di pietra o d'osso o di vetro nero.».

La cera è morbida, plastica, si può plasmare, riplasmare, fondere, rifondere, è possibile modificarne il grado di lucentezza, di durezza e la trasparenza. Può essere unita con altri materiali, sia per modificarne l’aspetto e la consistenza, sia per decorarla per rendere l’opera più veritiera con peli, capelli e denti. Si può colorare sia mescolando il colore alla cera prima della lavorazione, per ottenere una colorazione unica e uniforme, sia dipingendone la superficie.

La Treccani ci informa sui Benintendi detti anche dei "Ceraiuoli" o dei "Fallimagini", nei sec. XV e XVI. Gli artigiani della famiglia si tramandarono l'arte di padre in figlio, ma le loro opere sono andate purtroppo tutte perdute per incuria e per deterioramento stesso della materia; in seguito, ai lavori fatti per la chiesa della SS. Annunziata, le varie statue di cera, tolte dai palchi e poste al sole nel cortile lentamente si sono sciolte. Per lo più si trattava di ex voto (chiamati allora "boti"), in misure naturali, che venivano appesi soprattutto nel chiostro e nel santuario della SS. Annunziata, trattati con una tecnica di lavorazione e colorazione, a cui fa un piccolo accenno il Vasari. Apprendiamo così che, una volta ultimata, la statua veniva dipinta nelle parti del carnato e delle mani con biacca e minio; spesso era fornita di parrucca, oppure i capelli erano tinti con nero di carbone, e vestita secondo la moda dell'epoca.

Alcuni artisti, quali il Lelli, non utilizzavano cera pura, ma sego e mastice trattati con trementina e acquaragia; Il composto era usato per rivestire scheletri reali, sorretti da strutture metalliche per ottenere varie posizioni.

Garnier Valletti (Giaveno, 1808 – Torino, 1889), descrive così la sua formula: «I Frutti artificiali si fanno con polvere d’alabastro sciolta nella cera e nel mili e nella gomma damar i quali restano duri come pietre bianchissimi nel spacarli cioé facendoli in due ed inalterabili anche al calore. Scoperta del 5 marzo 1858 in un sogno nella stessa notte (…) così che spero poco per volta ritrovare il metodo d’imitarli che riescirano inconoscibili dai veri».

I maestri ceroplasti siciliani adornavano le loro opere con panneggi e drappeggi, realizzati con sottilissimi fogli di cera colorata ancora calda, ottenendo particolari effetti di leggerezza e veridicità. Una caratteristica siciliana era l'utilizzo di una cera molto dura e cristallina, che rendeva l'incarnato umano veritiero. La sua resistenza era ottenuta rinforzando con cera di pino un nucleo di cera grezza. Gli occhi erano in vetro, barba e capelli, colorati e acconciati, erano applicati per mezzo di un ferro caldo. Bernini così ci racconta, nel suo diario di viaggio in data 14 ottobre 1665, sulla tecnica di Benoist: “… informato su come dare forma alle teste. Gli ha risposto che ad alcune dame ha fatto gli occhi chiusi, ad altre aperti, che per la composizione [oltre alla cera] usa la polvere di legno, gusci d’uova pestati e del gesso, che la cosa importante e la dose di questi materiali, e poi la creazione dell’occhio e la cura dei dettagli.”

L’analisi della cera sul busto della Flora del Bode Museum di Berlino, ha messo in dubbio la tradizionale attribuzione a Leonardo, ha rivelato che è composto da due materiali: cera d’api e spermaceti, sostanza oleosa presente nella testa dei capodogli, largamente adoperata per la fabbricazione di candele nel XIX secolo, ma materiale estremamente raro nel Rinascimento. La stessa composizione dei due bassorilievi realizzati da Richard Cockle Lucas nel 1848 e nel 1850.

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