SCHEDE TECNICHE

Queste schede tecniche d’antiquariato sono state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro

per la rubrica mensile edita sulla rivista “L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non riportate.

Si ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte presso il

Tribunale di Bologna www.perito-arte-antiquariato.it

La scheda è stata curata dalla prof.ssa Gaia Santoro

La bomboniera.

Il termine bomboniera deriva dal francese bonbonnière, che significa contenitore di bon-bon, e si riferisce a un prezioso contenitore, che conteneva dei piccoli dolcetti. Gli invitati omaggiavano gli sposi con delle caramelle e con della frutta secca ricoperta di miele, appena dopo le nozze, in segno di buon augurio. Il temine confetto deriva dal latino “confectum” che significa confezionato. La leggenda racconta che il primo confetto sia stato voluto da un medico arabo, prima del X secolo, che fece rivestire di miele un medicinale amaro, al fine di renderlo più gradevole. Gli storici ritengono che l’origine dei confetti risalga ai romani, citando le testimonianze delle Famiglie Fazi (447 a.C.) e di Apicio (14-37 d.C.) amico dell’imperatore Tiberio, i quali erano usi festeggiare matrimoni e nascite donando dolcetti formati da una mandorla, da un pinolo o da una noce, contenuti in un impasto di miele e farina. Nel Medioevo si era soliti offrire confetti per suggellare un patto, un accordo o una nuova collaborazione. I confetti nel 1200 erano considerati dai nobili dolciumi molto pregiati. Arrivavano dall’Estremo Oriente, conservati in scatoline raffinatamente decorate (le precorritrici delle bomboniere). Solo dopo la scoperta delle Indie Occidentali, intorno al 1400, cominciò l’importazione dello zucchero, permettendo di utilizzarlo al posto del miele. Durante il Rinascimento era uso accogliere durante i ricevimenti gli ospiti con coppe ricolme di confetti, per festeggiare i voti di monache e sacerdoti. Dal Trecento si confezionano anche confetti all’aroma di rosa, muschio, violetta. I confetti sono nominati in una novella di Boccaccio e in un sonetto di Folgore S. Gimignano (XIV secolo). Nel 1500 in Inghilterra erano molto apprezzate le “sweetmeat box”, porta confetti di buon augurio, che i nobili si scambiavano durante le ricorrenze più importanti; come in occasione del Capodanno del 1574, allorché, la Regina Elisabetta I ricevette in dono un certo numero di bomboniere, come augurio per il nuovo anno. Ricordiamo un episodio storico, che mostra l’importanza beneagurante del confetto: nel 1806 Napoleone fece il suo ingresso a Verdun, passando sotto tre archi di trionfo rivestiti interamente da confetti bianchi. Manzoni, Carducci, Pascoli, D’Annunzio, Boccaccio erano grandi estimatori dei confetti; Goethe racconta di avere regalato alla futura moglie uno cofanetto pieno di questi “squisiti dolci”. La leggenda narra che nel I secolo a.C., al tempo della conquista romana della valle Peligia (Abruzzo), già esistessero cofanetti porta bon-bon. Fonti certe dimostrano che una piccola bottega artigianale sorgeva, nel XV secolo, presso il monastero di Santa Chiara, e che addirittura le monache si cimentassero in questa arte. È a Sulmona nel XV secolo che nasce la prima fabbrica di confetti secondo i canoni moderni; ancora oggi la città è riconosciuta a livello mondiale per l’altissima qualità nella produzione di confetti e per le artistiche composizioni. Nel 600’ in Francia, durante il regno di Luigi XIV il re diffuse l’usanza di omaggiare i propri ospiti con delle bomboniere, quale forma di omaggio; le bomboniere divennero uno status symbol per i cortigiani, in particolare per le nobildonne, che le portavano sempre con sé, esibendole come simbolo del loro rango e per prenderne di tanto in tanto qualche dolciume. In Italia le famiglie dei futuri sposi si scambiavano oggetti preziosi. In particolare, la cosiddetta “coppa amatoria”, su cui erano poggiati alcuni confetti; costituita da un piatto in maiolica, o più raramente in vetro, su cui era dipinto il ritratto dell’amata o il disegno di una coniglia gravida. È il 1896 la data simbolica, che ufficializza il moderno uso delle bomboniere, quando, per le nozze di Vittorio Emanuele II, futuro re d’Italia, con Elena del Montenegro, gli invitati portarono come regalo di nozze delle bomboniere. Tradizione che nel tempo si è trasformata; oggi sono gli sposi a fare questo regalo ai propri ospiti. Le bonboniere sono state prodotte nei più svariati materiali. In epoca storica lo zucchero era molto prezioso, per cui i contenitori lo erano altrettanto. Fino al Settecento potevano essere anche d’oro, poi si affermò il prevalente uso della porcellana, considerato materiale altrettanto prezioso, ma più alla moda. Nel passato il confine tra bomboniera, porta pillole e tabacchiera è spesso di difficile identificazione. Ci può aiutare la presenza di particolari decori o di miniature dal significato evidente. Per taluni manufatti la datazione può essere incerta in quanto nel corso dell’Ottocento si diffuse l’uso storicista di imitare gli stili e gli oggetti del passato, anche perché la estensione dell’uso di bomboniere alla borghesia ne aumento notevolmente la produzione, favorita dalla diminuzione del costo dello zucchero e da processi di produzione standardizzati. Il conseguente decadimento della qualità, ci permette di identificarne anche l’epoca; nasce la bomboniera cianfrusaglia, spesso di cattivo gusto. Esiste sempre una produzione di alta qualità caratterizzata da raffinati modelli esclusivi e materiali preziosi; uno degli apici fu raggiunto ad esempio da Carl Fabergé. Alla fine dell’Ottocento si sviluppano forti movimenti innovatori, che rigettavano la pedissequa imitazione dell’antico, creando un vasto movimento “modernista”. Capofila di tale innovazione furono Wiliam Morris e John Ruskin, Henry van’ de Velde, l’Art and Crafts e poi la Bauhaus, ecc. le forme e i decori diventano più geometrici ed essenziali. Citiamo ad esempio gli artisti e le manifatture: Rudolf Hentschel, che nel 1908 produce a Meissen bomboniere svincolate dalle tipologie tradizionali; la manifattura ungherese Zsolnay, con i suoi lustri all’eosina; Galileo Chini per le Fornaci S. Lorenzo; Gio Ponti; la Richard Ginori, la società ceramica di Colonnata; l’impresa Egisto Fantechi; La manifattura Cantagalli; la manifattura Molaroni; la manifattura Minghetti; la manifattura di Signa; la società ceramiche faentine; ecc. La rottura “futurista” è ben rappresentata dalle fabbriche di Albisola, con Balla a Tullio di Albisola, o dalla ditta “Giuseppe Mazzotti”; a Perugia dalla ditta “La Salamandra”. Negli anni Sessanta del 900’ assistiamo alla vasta diffusione del così detto stile Capodimonte, connotato dal più totale ecclettismo, prodotto prevalentemente in porcellana da fabbriche napoletane, ma anche lombarde come quella di Usmate. Oggi la produzione di bomboniere si avvale dei più svariati materiali e fogge. L’imperante consumismo ha condannato la bomboniera ad essere un prodotto omologato al gusto, spesso cattivo, in nome della stravaganza e del basso prezzo.

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