SCHEDE TECNICHE

SCHEDE TECNICHE

Queste schede tecniche d’antiquariato sono state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro

per la rubrica mensile edita sulla rivista “L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non riportate.

Si ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte presso il

 

Tribunale di Bologna www.perito-arte-antiquariato.it

 

Glittica le giade

Il termine Giada deriva dallo spagnolo pietra di ijada o pietra del fianco, questo perché si usava portare addosso la giada ritenendo che fosse un ottimo rimedio contro le lombaggini. La Giada è di due tipi la nefrite, termine di origine latina e precisamente “lapis nephriticus” pietra del rene, un silicato di calcio e magnesio o ferro, e la giadeite un silicato di sodio ed alluminio o ferro. In Cina furono usate entrambe Indifferentemente, ma la giadeite solo dal XVIII secolo in poi, probabilmente importata dalla Asia sud-orientale: Birmania, ecc. La nefrite presenta un aspetto più untuoso organico, mentre la giadeite ha un aspetto vagamente vetroso. Le giade presentano diversi colori: differenti tonalità del bianco, grigio verde, bruno, rosa, malva, ecc. Ci sono poi alcune varietà molto pregiate come la cloromelanite verde scurissimo quasi nera, e la cosiddetta giada Imperiale di un bel colore verde smeraldo. La lavorazione della Giada è stata presente in ogni parte del mondo, ma in particolare nella cosiddetta zona della “cultura del Pacifico” tra la Cina, l'Australia, il Messico precolombiano e l’America nord occidentale. Il grado di durezza della Giada è compreso fra il valore 6,5 e 7 della scala di mohs. Una pietra quindi molto dura e di non facile lavorazione. Per lavorarla in antico si procedeva per consunzione strofinando a lungo un altro pezzo di giada; poi si utilizzarono mole e trapani rotanti sempre con l’uso di polveri abrasive, come ad esempio granati polverizzati o sabbia di quarzo in miscele liquide acquose o oleose. Anche la semplice produzione di piccoli oggetti richiede molto tempo. All'uso di questa tecnica abrasiva è dovuto l'aspetto morbido, quasi organico, della superficie delle giade. In Cina giade lavorate sono presenti a partire dal neolitico. Per segare i ciottoli, e ridurli in lastre, anche molto sottili, furono usate corde vegetali intrecciate, cosparse di grasso e polvere di quarzo, granati o altri minerali più nobili, quali il corindone (rubino). Ancora oggi sui manufatti di quel periodo si possono trovare i segni della lavorazione sulla faccia posteriore, cosa che non si trova nei periodi successivi, quando oltre all’uso di attrezzi metallici (sempre però con polveri abrasive ed acqua), si diffuse l’uso di oggetti con entrambe le facce lavorate. Per incidere e scavare la nefrite, furono verosimilmente usati attrezzi di bambù con la punta in granato, corindone (rubino) e forse anche già di diamante (almeno a partire dal 1000 d.C.). Per forare i semilavorati, utilizzando il trapano ad arco, venne usato ancora il bambù insieme al grasso e polveri abrasive. Si trovano oggetti, sia finiti che semilavorati, nei quali è evidente questo sistema. È interessante notare che la giada non era presente in Cina nell’antichità ed era importata dal Turkestan. In cinese la giada è chiamata YU, ovvero, come spiega il dizionario cinese pubblicato nell’anno cento, “la pietra più bella”. La giada è uno dei più antichi simboli cinesi per raffigurare la divinità. Confucio (551-479 a.C.) riteneva che la giada possedesse undici virtù e scrisse ”le giade sono morbide, lisce e lucenti come la benevolenza: forti e compatte belle come l'intelligenza; affilate ai bordi, senza essere taglienti, come la giustizia: sono assai belle pur non nascondendo i loro difetti, come la sincerità; la loro sostanza, contenuta nei corsi d'acqua e sui pendii delle colline, splende come i cieli e percosse emettono note lunghe e chiare come la musica Celeste”. L’aspetto organico fece in modo che amuleti di giada fossero indossati al fine di ricevere “il calore della vita e ne conservassero il riflesso”. Fino alla dinastia Chou essa fu lavorata in maniera semplice in lamine e dischi sottili, lavorati con incisioni di carattere beneaugurante; verso la fine della dinastia, circa nel III secolo avanti Cristo, si raggiunse il massimo della capacità di lavorarla. Le caratteristiche di sonorità della Giada furono utilizzate nella costruzione di uno strumento musicale cinese chiamato Pien-Ch’ing (pietra sonora) composto da 16 lamine di differente spessore, che percosse da martelletti emettono sonorità differenti. La giada ebbe particolare diffusione durante il Regno dell'Imperatore Ch’ien-lung 1736-1795. Per molto tempo i cinesi credettero che soltanto per mezzo dello yin (principio femminile o negativo) si potesse purificare la giada. Nel testo intitolato Tian Gong Kai Wu, una descrizione delle antiche tecniche, pubblicato nel 1637, si descrive la tradizione di far raccogliere a giovani donne nude, nelle notti di luna, la giada, perché “attirando l’energia vitale dello yang, si otterrebbe molta giada”. La giada di alta qualità può costare quanto l’oro. Attualmente è lavorata in estremo oriente la serpentina, quella che i cinesi chiamano "yu matto" o falsa giada. Essa ha un coefficiente di durezza due volte inferiore rispetto alla giadeite, è quindi di lavorazione molto più agevole e vale molto meno. D'altronde solo la nefrite ha il diritto di essere definita "zhen yu", vera giada. Nel Mesoamerica la giada fu al centro di intensi, estesi e complessi traffici commerciali, in quanto oggetto di vera e propria adorazione da parte delle culture Olmeca, Maya e della Gran Nicoya. Furono prodotti oggetti di grande qualità, molti dei quali vennero importati in Europa dopo la conquista spagnola. In Costarica dal VI sec. a.C. e fino al VII/VIII sec. d.C. la giadeite fu considerata una pietra totemica; il più antico reperto in giadeite è datato al 500 a.C. Dopo il 500 d.C. la tecnica di lavorazione decadde perché l’interesse si concentrò sulla produzione di oggetti in oro. Un’indagine pubblicata 1993, evidenziò che su circa 3000 oggetti presenti in varie collezioni, museali e non, meno della metà erano di vera giadeite. Gli Olmechi, i Maya e i Nicoyani lavorarono con le medesime tecniche e iconografie pietre verdi molto differenti per durezza, qualità e composizione. Il colore verde aveva per loro un significato importantissimo, la giadeite era relativamente scarsa, mentre abbondavano le serpentiniti e le quarziti. I Maori In Oceania produssero piccoli idoli chiamati Hei Tiki, grandi mazze ed asce di uso cerimoniale e piccoli amuleti di grande fascino, i cui motivi sono anch’ora riprodotti oggi dagli artigiani locali. Durante l’impero Mogul, 1526-1707, anche i mongoli la lavorarono e la diffusero in India. In Europa tranne pochi oggetti neolitici e quelli provenienti dalla Cina dopo il 1500, sono pochissimi gli oggetti antichi di nefrite, tutti di epoca alessandrina, 323 a.C. – 31 d.C., anche perché i latini consideravano la giada pietra malaugurante, scalognata, al punto di non avergli mai dato un nome. Conosciamo un solo reperto egizio proveniente dalla tomba di Tut-ankh-Amon, e un solo manufatto di arte assira in nefrite. Recentemente sono stati ritrovati giacimenti di giada nelle Alpi occidentali. La vera giada si presenta traslucida, non trasparente. Al tatto appare come la seta. Percossa produce un suono tipico, piacevole. Se sono presenti macchie giallognole o rossastre, esse sono state prodotte: dai gas presenti nelle tombe in cui deve essere rimasta per almeno un migliaio di anni, o dal dilavamento dell’acqua. Tali macchie non devono mostrare bordi troppo netti, caratteristica di una falsificazione recente.

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