Bologna, via
Nazario Sauro 14/b
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Queste schede tecniche d’antiquariato sono
state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro
per la rubrica mensile edita sulla rivista
“L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non
riportate.
Si
ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte
presso il Tribunale di Bologna (www.peritoarte.it).
Scheda di approfondimento.
Pierre-Philippe
Thomire, parte seconda. Analisi
di un’opera, alla scoperta delle caratteristiche del suo lavoro.
Analizziamo un capolavoro di Thomire per comprendere
meglio le caratteristiche di colui che possiamo considerare il più importante
bronzista del neoclassicismo.
Orologio “Psiche”. Grande sonnerie. Misure cm: h.
48x35,5x16. Epoca e stile: Direttorio, 1795-1805. Cassa: Francia,
Pierre-Philippe Thomire, 1751-1843. Movimento: Svizzera. Sul quadrante “Robert
& Courvoisier”; Louis Courvoisier e Aimé Robert La Chaux de Fonds, ragione
sociale del periodo 1795-1805. Materiali: ottone cesellato e dorato, marmo
verde alpi lastronato su pietra d’Istria. Ricordiamo che l’oggettistica era
d’ottone e non di bronzo come comunemente si dice. L’ottone (lega di rame e di
zinco) si presta meglio al cesello, si può trafilare e il colore giallo era più
adatto come fondo per la doratura. I bronzetti rinascimentali, le pompe
idrauliche, le campane, i cannoni e la grande statuaria erano generalmente fusi
in bronzo (lega di rame e di stagno).
Psiche (il suo nome significava soffio, ed era la personificazione
dell’anima) mostra il suo splendido corpo, mentre si allunga ad aprire il
cofanetto di Venere. La Dea è provvista di ali di libellula, attributo, che la
caratterizza. Il mito d’Amore e Psiche fu tra i più amati in epoca neoclassica,
in quanto tra i pochi d’origine greca ad avere un lieto fine. Venere gelosa
della bellezza di Psiche manda Amore per farla invaghire del più brutto fra gli
uomini; ma il Dio se ne innamora e ordina a Zefiro, una delle quattro divinità
dei venti principali, di portarla in un magnifico palazzo d’oro. Le è imposto,
essendo una mortale, di non vedere mai il suo divino amante. Le sorelle
insinuano in Psiche il dubbio che Amore sia in realtà di aspetto mostruoso;
allora ella di notte lo guarda, mentre dorme, al chiarore di una lucerna. Una
goccia d’olio caldo cade dalla lampada sul Dio, che si sveglia e, incrociati
gli sguardi, subito scompare (ecco perché spesso c’è una lucerna tra gli
elementi decorativi di tali soggetti). Disperata Psiche si rivolge a tutti
compresa Venere, che ancora gelosa la riduce sua schiava e ne decide la morte, mandandola
negli Inferi a prendere da Persefone (la latina Proserpina, regina dell’Ade) un
cofanetto. Certa che la curiosità femminile sarebbe prevalsa ed ella lo avrebbe
sicuramente aperto, lo riempie con i vapori dello Stige, il fiume infernale. Psiche,
infatti, cede alla curiosità e lo apre, respirando le esalazioni letali e cade
eternamente addormentata; ma Amore implora Giove e ottiene finalmente di
sposarla, divenendo lei stessa Dea immortale. La loro figlia sarà Voluptas (che personifica la voluttà
d’amore). Sul basamento il quadrante è affiancato dalle figure di Psiche, con
le ali di libellula, e Amore, con quelle di penne.
La splendida cassa nasconde un movimento eccezionale a grande-sonnerie con suoneria dei quarti
su due campane, delle ore su di una sola e ripetizione a richiesta tirando la
cordicella sul lato sinistro. Frontalmente, a sinistra del quadrante, sono
presenti due leve. Con quella superiore si disattiva la ripetizione del battito
dell’ora al passaggio dei quarti e con quella inferiore si può passare dall’usuale
suoneria in dodici a quella in sei, che era utilizzata soprattutto in Italia a
fini canonici. Generalmente queste caratteristiche sono presenti sulle famose marescialle,
con regolatore a bilanciere, costruite dai due grandi orologiai, ma è la prima
volta che le ritroviamo su di un orologio d’appoggio, con regolatore a pendolo e
in assoluto non sono noti movimenti di questi autori con la possibilità della
riduzione della suoneria in sei.
Come ho avuto modo di affermare in un recente articolo, apparso
sulla rivista “Antiquariato”, una delle caratteristiche che ritroviamo nei
manufatti di Thomire è di presentare figure snelle con arti allungati e spesso
con il trattamento superficiale della pelle dorata, reso opaco da minuscole
graffiature che ne rendono l’apparenza più realistica e anche più simile a
quella delle superfici marmoree. Anche le membra mostrano spesso delle
apparenti rigidità, quasi che si volesse suggerire il lavoro dello scultore. Le
fusioni delle figure sono in linea di massima più intere e le eventuali
suddivisioni sono abilmente nascoste da un disegno sapiente delle membra;
sempre allo scopo di renderle più vicine all’aspetto proprio delle statue
scolpite, che al contrario dei bronzi non richiedono quelle suddivisioni
necessarie al processo di fusione antico. Ricordiamo che era indispensabile
dividere i modelli in più parti per permettere al metallo fuso di arrivare in
ogni estremità prima di raffreddarsi. Soprattutto le dita e i pezzi più sottili
rischiavano di non essere raggiunti in caso di fusioni troppo grandi. Per
cesellare adeguatamente ogni particolare era altrettanto necessario che le
parti sovrapposte ad altre fossero smontabili, per permetterne l’accesso. Si
comprende bene quanto fosse importante la progettazione per raggiungere gli
scopi che abbiamo descritto. Thomire dimostra l’assoluta padronanza della sua
arte. Le sue figure esprimono sempre un carattere distinguibile, un vigore
particolare e certe durezze donano personalità indiscussa, che solo egli era in
grado di rendere. Il carattere neoclassico non scade mai in un romanticismo sdolcinato,
che pure è spesso presente nelle opere dei suoi concorrenti. Egli riesce a
ottenere contrapposizioni, tra oro lucido e opaco, sempre nette e ben definite,
realizzando le due dorature su elementi distinti sovrapposti o avvicinati a
contrasto. Dove non è possibile frazionare gli elementi la brunitura
(lucidatura con il brunitoio delle parti dorate opache) provvede, vigorosa e
perfetta, a farne risaltare con pochi tocchi il contrasto (sulla doratura vedi
la scheda tecnica apparsa in precedenza sull’Informatore). I disegni preparatori
sopravvissuti sono tutti a grandezza naturale, in modo da permettere alle
maestranze il perfetto montaggio e la precisa collocazione dei vari elementi.
Notiamo anche la modernità della composizione con la Dea in una posa che la
rende vivacemente erotica e ci trasmette l’impressione del movimento
nell’allungarsi del corpo.
In conclusione per i lavori importanti di quest’autore,
ricordiamo che esisteva anche una produzione corrente in un atelier che arrivò
a contare fino a mille operai, è necessario ricorrere alla comparazione con le
opere sicure, che la presenza di una documentazione antica ci ha certificato; e
ove essa non sia reperibile a un’analisi accurata che tenga conto di quanto su
indicato. Non è possibile riscontrare errori anatomici, imperizie d’esecuzione,
incongruità nella composizione, soprattutto se non giustificate da ricercate
motivazioni artistiche. Le imperfezioni volute per il raggiungimento di un
effetto sono ben altro che le esecuzioni grezze o fiacche, prive della vitalità
tipica di quest’artista. Il recente fiorire di firme spesso improbabili, quando
non storicamente errate; ad esempio nel 1830 la marca era comunemente Thomire e
Cie (Thomire e compagnie) e non più Thomire a Paris, ecc.
Tutte queste considerazioni ci aiutano nella ricerca delle
attribuzioni ed è meglio tenerne conto più che della semplice presenza di firme
varie. Per gli orologi un buon elemento di attribuzione è la presenza sul
quadrante della firma dell’orologiaio Moinet l’Ainè, che utilizzò solo casse di
Thomire.