Scheda di
approfondimento.
Eccezionale pendola
rivoluzionaria. La cassa, interamente in biscuit ed in un unico pezzo,
raffigura una famosa fontana Luigi XVI°, nel gusto “a
rovine”, primo esempio in cui le acque si disperdevano libere. Quadrante decimale con
indicazioni: del calendario di trenta giorni, con suddivisione in decadi;
cerchio tradizionale dei minuti diviso in quarti; cerchio delle ore
tradizionale; due cerchi concentrici di cinque ore, con inizio corrispondente
alle ore 6, il primo in numeri romani indicante le ore diurne, il secondo in
cifre arabe indicante le ore notturne, tra un’ora e l’altra divisione in quinti
suddivisi in cinque nuovi minuti. I colori blu, bianco e rosso erano
appena stati adottati per la bandiera francese. Movimento tipo Parigi,
scappamento a caviglie di LePaute, carica di otto
giorni. Sospensione del pendolo a filo.
Alleghiamo tratte dalle pagg. 134-136, del
libro “Misurare il tempo” Artioli editore, Modena, di
cui siamo autori.
Il calendario
rivoluzionario e l’ora decimale.
La storia del calendario rivoluzionario
incomincia il 21 dicembre 1792 allorquando, in pieno periodo rivoluzionario
durante il “terrore” di Robespierre, sono nominati Commissari, incaricati di
elaborare il piano della riforma, Gilbert Romme, il suo principale artefice, e Prieur.
Il 4 Frimaio Anno II (24 novembre 1793) dopo
varie peripezie viene promulgato dalla Convenzione il
“decreto sull’Era, l’inizio e l’organizzazione dell’Anno, e sui nomi dei giorni
e dei mesi” ed adottate le “istruzioni sull’Era della Repubblica e sulla
divisione dell’Anno”. E’ fissata la data retroattiva d’entrata in vigore al 21
settembre 1792, data dell’abrogazione della monarchia, coincidente con
l’equinozio.
L’anno è diviso in
dodici mesi di trenta giorni; il mese in tre decadi; il giorno in dieci ore;
l’ora in cento minuti; il minuto in cento secondi. Alla fine dell’anno
si aggiungono cinque giorni di feste repubblicane le Sanculottidi
chiamate: della Virtù, del Genio, del Lavoro, dell’Opinione e delle Ricompense.
Ogni ciclo di quattro anni, chiamato Francesiade, si
celebra una sesta Sanculottide, la festa della
Rivoluzione.
Il dibattito sulla razionalizzazione del
calendario è antico e già nell’Enciclopedia di Diderot
e D’Alembert se ne sollecitava una divisione
decimale.
I rivoluzionari interpretano l’istituzione del
nuovo calendario come momento di rottura, che segna la fine dell’Era Cristiana
e l’inizio del Tempo Nuovo.
Con le parole di Romme:
“L’Era Volgare fu l’Era della crudeltà, della menzogna, della perfidia e della
schiavitù; essa è finita con la monarchia, sorgente di tutti i nostri mali (….)
la nomenclatura (antica) è un monumento di servitù e d’ignoranza alla quale i
popoli hanno successivamente aggiunto il segno del loro avvilimento”. Per
contro il tempo nuovo nasce il giorno dell’equinozio “così l’uguaglianza del
giorno e della notte era segnato nel cielo nello stesso momento in cui
l’uguaglianza civile e morale viene proclamata dai
rappresentanti del popolo francese come il fondamento consacrato del suo nuovo
giorno” (Romme “rapporto sull’Era della Repubblica”
tenuto alla Convenzione il 20 settembre 1793).
In quest’atto si fondono diverse motivazioni:
da quelle anticristiane, con l’abolizione delle festività religiose ed in particolare
della domenica; a quelle razionalizzanti; dalla volontà di rompere in maniera
inequivocabile col passato, e segnare l’inizio dell’Umanità Nuova; a quella più
prosaica di aumentare i giorni lavorativi.
Il Tempo della Città Nuova istituzionalizza il
sentimento d’essere in un’epoca eccezionale, dove è possibile un futuro
d’umanità rinnovata; e nello stesso tempo l’ideale utopistico permette di
distaccarsi dalle difficoltà reali, di mascherare la realtà del “Terrore”.
Il 2 brumaio anno II (25 ottobre 1793) Fabre presenta un rapporto sui nomi delle divisioni
dell’anno. Alla fine i mesi adotteranno dei neologismi connessi alla
meteorologia (piovoso, ventoso, termidoro, fruttidoro, ecc.);
mentre i giorni seguiranno una numerazione ordinale con neologismi di
tipo “poetico” (primodì, duodì,
tridì, ecc.). Ogni giorno dell’anno sarà dedicato, in
sostituzione dei Santi, ad elementi naturali quali: fiori, piante, animali,
arnesi rurali (rosa, olmo, scure, ecc.). L’almanacco
basato sul nuovo calendario risultò cosi essere una piccola enciclopedia ad uso
del popolo. Ad esempio il 5 nevoso è consacrato al cane (così descritto: “Cane,
quadrupede di forma, di colore, di grandezza, di carattere differente. Le sue
varianti sono orecchie dritte o pendenti, testa rotonda o allungata,
labbra pendenti, schiena rilevata, gambe piegate, ecc.”), che per, strana coincidenza, corrisponde al 25
dicembre, cosa che sollevò forti proteste; lo si sarebbe almeno potuto dedicare
all’agnello. Si pensava che così al centro dei pensieri d’ogni francese sarebbe
stata per sempre la natura, che con l’agricoltura costituiva la base del lavoro
del popolo.
In realtà per tutto il tempo della durata in
vigore del calendario rivoluzionario in tutto l’Impero, soprattutto nelle
campagne, si continuò ad usare il vecchio calendario. Solo gli atti pubblici
(matrimoni, contratti, leggi e disposizioni amministrative, ecc.) per legge
furono redatti secondo il nuovo ordine, pena severe multe e prescrizioni, più
volte reiterate in editti successivi.
Hanin “pendoliere-meccanico”
già il 27 settembre 1793 presenta al Comitato di Salute Pubblica un modello di
quadrante, che segna la concordanza delle ore e dei minuti antichi con i nuovi, dividendo in una metà le prime dodici ore
corrispondenti alle cinque nuove, e nell’altra metà le seconde dodici
corrispondenti alle altre cinque (indicate cinque in numeri arabi, e cinque in
numeri romani); tale quadrante sarà stampato in diecimila copie, allegato
all’almanacco dell’anno successivo ed al citato decreto del 24 novembre del
1793.
IL 21 piovoso anno II (9 febbraio 1794) un
decreto indice un concorso a premio tra gli orologiai, su come decimalizzare l’ora.
Il 18 germinale anno III (7 aprile 1995), dopo
meno di diciotto mesi, è sospeso il decreto che rendeva obbligatoria l’ora
decimale.
Il 24 fruttidoro anno XIII (11 settembre 1805)
Napoleone firma il decreto che abolisce, a partire dal I
gennaio 1806, il calendario rivoluzionario e ripristina quello Gregoriano.
Questa riforma durò troppo e troppo poco.
Troppo per assurgere ad evento simbolico, basti pensare che alla stessa data
d’inizio dell’Era rivoluzionaria, fissata dalla caduta della monarchia (1792),
oggi sia preferita quella della presa della Bastiglia
(1789).Troppo poco per riuscire ad acquistare quella forza d’inerzia, che
l’abitudine conferisce a volte ai processi storici.
Durò, per il suo valore simbolico di nascita
di una nuova Era, oltre il “Terrore” ed addirittura un po’ oltre il Concordato
e la consacrazione ad imperatore di Napoleone. Fallì perché si scontrò con le
abitudini popolari, e non solo quelle delle grandi feste religiose come il
Natale o la Pasqua e le domeniche, ma anche con quelle civili come la
fienagione, il carnevale, ecc.
L’ora decimale, meno
pregna di valore simbolico, durò ancor meno; sia perché in Francia esistevano
quindici milioni d’orologi e pendole che sarebbero dovute essere modificate;
sia perché gli orologiai francesi avrebbero perso la possibilità di esportare
nel resto del mondo, che restava fuori della riforma; sia perché ai fini
pratici all’epoca non era molto differente usare l’uno o l’altro sistema.
Il bisogno di precisione non era certo quello
moderno.
Oggi certo possiamo rammaricarci che tale
divisione razionale non abbia trionfato. Basti pensare
che ancora esistono nel mondo più di quaranta calendari diversi e se ne creano
ancora di nuovi, come quello della Corea del Nord, che
ha fissato l’inizio della sua Era al 1912.
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