SCHEDE TECNICHE

 

Queste schede tecniche d’antiquariato sono state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro

per la rubrica mensile edita sulla rivista “L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non riportate.

Si ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte presso il

Tribunale di Bologna www.perito-arte-antiquariato.it

 

Il tessuto. Seconda parte. Cenni storici l’ottocento. Tecniche.

Con l’Impero si affermarono definitivamente le tematiche neoclassiche con fondi fortemente contrastati scuri o rossi, ispirati dalle pitture parietali pompeiane, e disegni circoscritti da cornici in composizioni isolate, adatte al centro dei sedili e degli schienali.( Iniziò una produzione di disegni adatti a vari ambiti; per cui anche quelli destinati ai tessuti erano realizzati ad acquarello, piuttosto che messi in carta (disegno su carta quadrettata in cui ad ogni incrocio corrisponde un punto preciso), in modo da renderli utilizzabili per altri impieghi. Ogni tessuto acquisì una specifica funzione sia tipologica che decorativa, obbligando all’acquisto di grandi quantità di tessuti coordinati tra loro; ciò rese anche più difficile il riutilizzo di quelli obsoleti. Le doti di un bravo disegnatore non erano più sufficienti ed occorreva la concorrenza di diverse persone: l’architetto, il disegnatore, il pittore, ecc.

Nell’abbigliamento maschile si creò una netta divisione tra i vestiti di corte, sfarzosi e addirittura regolamentati da appositi decreti, e quelli civili, che adottarono linee semplici e la prevalenza di colori uniformi, tra cui fu sempre più diffuso il nero; colore simbolo del terzo stato. Allo sfarzo, all’esibizione di ricchezza, si sostituì il concetto moderno di distinzione, basata sull’eleganza dei dettagli e della linea. Le gambe furono via, via coperte; dapprima da brache corte ed aderenti, poi con l’aggiunta degli stivali e, dal 1810, dagli “antiestetici” pantaloni. Alla fine del settecento il frac sostituì la marsina. La decorazione dei vestiti era sempre affidata di norma al ricamo, più adattabile ai mutamenti costanti delle mode. Col neoclassicismo le donne rinunciano definitivamente ai cerchi delle gonne, ai busti ed ai corpetti, che dal XV secolo conformavano artificialmente il corpo, per adottare vestiti leggeri a vita alta, sotto il seno, che permettono grande libertà di movimento. In Inghilterra tuttavia i cerchi sopravvissero sino al 1821. Dal 1797 al 1836 fu pubblicata a Parigi la più prestigiosa rivista di moda il “Journal des Dames et des Modes”; vero arbitro del gusto dell’epoca.

Joseph-Marie Jacquard, (Lione 1752 - Oullins 1834), meccanico lionese, nel 1793 fabbricò una macchina per la tessitura che eliminava l'operazione del tiraggio. Ad uno strumentario di corde e pedali, egli sostituì un semplice meccanismo, che consentì la selezione automatica dei fili, grazie ad un programma realizzato su cartoni perforati; rendendo superflua la presenza dei cinque "tiratori di licci" fino ad allora necessari. Presentata nel 1801, grazie a successivi miglioramenti, questa invenzione mutò totalmente la manifattura dei tessuti, istaurando nuovi rapporti di produzione e dando inizio alla costituzione della classe operaia moderna; sancì anche la divisione tra tessuti economici, prevalentemente di cotone, e quelli di lusso, di seta. Nel 1833 a Lione erano attivi 60.000 telai, contro gli 11000 del 1812 di tutta la Francia. Dal 1825 con la fondazione della “Scuola centrale delle Arti e delle Manifatture” si gettarono le basi per lo sviluppo tecnologico, che portò nel 1880 alla meccanizzazione completa di tale produzione. Il telaio semi-meccanizzato Jacquard del 1801 fu introdotto, grazie ad ulteriori perfezionamenti, nella tessitura delle sete lionesi intorno al 1840.

 L’America alla metà del secolo assorbiva da sola oltre il trenta per cento della produzione; esportando in cambio il finissimo cotone del sud impiegato nelle tessiture miste. Si trattava di una stoffa di lusso alla portata solo della grande borghesia. Generalmente essa era impiegata in arredi tradizionali e per la sostituzione delle tappezzerie usurate, ma l’esigenza di dimostrare la propria potenza economica portò ad utilizzarla anche nel capitonné. La seta a grande opera non si presta per la sua intrinseca fragilità a tale tecnica ed ancor meno il suo raffinato disegno ad essere interrotto dalla trapunta e dai bottoni. L’alta borghesia volle così dimostrare di potersi permettere quel lusso dello spreco, che era fino ad allora appannaggio dell’aristocrazia.

Verso il 1860 incominciò ad interrompersi il trend positivo. Dal 1854 una malattia del baco da seta si diffuse rapidamente dalla Francia al resto d’Europa. La sostituzione con sete importate dall’oriente non era agevole, in quanto al loro basso prezzo non corrispondeva l’alta qualità di quelle europee. Esse erano più irregolari, grossolane ed opache, inadatte ai telai meccanici, costruiti per fibre più regolari. Contemporaneamente la guerra di secessione americana aveva estremamente rarefatto anche l’importazione dalla Luisiana dell’ottimo cotone americano. Risultò impossibile produrre industrialmente tessuti continui in seta e misti, sulle cui lisce superfici risaltava ogni imperfezione. Per fortuna il gusto più carico d’ornamento, che stava affermandosi, permise ai sarti ed ai tappezzieri di trovare una soluzione. Sopravvissero solo quei tessuti la cui lavorazione permetteva di nascondere con l’utilizzo di orditi più consistenti i difetti nella trama. Ma soprattutto si ricorse massicciamente all’utilizzo di fiocchi, frange e varie passamanerie, che non mostravano i difetti del filato e li nascondevano perfettamente interrompendo continuamente le superfici. Ciò rese gli abiti molto simili alle tappezzerie. Ne abbiamo un celebre esempio, quando Rossella nel film “Via col vento” si confeziona un abito utilizzando una tenda.

In questo modo era però possibile riciclare tali tessuti riutilizzandone gran parte e si rischiò di vederne scendere il consumo. Nel 1859 William Henry Perkin perfezionò la tintura all’anilina e grazie alla enorme varietà di disegni ottenibili da un numero infinito di tonalità il mercato prese nuovo vigore. Dagli anni 30 erano stati già prodotti altri colori artificiali: nel 1827 il blu oltremare e nel 1849 il giallo all’acido picrico entrambi da Guinot; la fucsine nel 59 da Verguin, da cui si traevano le tonalità azuline, coralline, bleu-de-Lyon ed innumerevoli toni di viola.

La tendenza a valorizzare maggiormente l’aspetto dell’innovazione tecnico industriale rispetto a quello prima prevalente dell’invenzione artistica, innestandosi sulla cultura neoclassica, che già vedeva nell’antico la sorgente principale di ispirazione, portò al revival storico. Coadiuvato dalla nascita dei grandi musei e delle vaste collezioni, lo storicismo vede nel passato una specie di grande supermarket da cui trarre i motivi ispiratori, mischiandoli senza una necessaria cura filologica. Il Victoria and Albert Museum ad esempio si formò sulla grande mostra del 1851. Nasceva la figura del moderno designer destinata a progettare per la produzione, separata da quella dell’artista, con tutte le contraddizioni che ciò implicava. Ormai il ceto sociale si distingueva principalmente per i mezzi economici di cui disponeva. La grande Maison Worth riuniva, nella stessa esigenza di affermazione del proprio status economico, una variegata committenza di principesse, attrici come la Duse, signore dell’alta finanza internazionale e celebri mondane.

La filatura.

Filare significa torcere le fibre in modo da ottenere un filo continuo.

All’inizio si filava a mano arrotolando il filo tra le palme, ma ben presto fu inventato il fuso, costituito da un bastoncino uncinato, cui si attaccava l’inizio del filo. Per agevolarne la rotazione al bastoncino fu applicata la fuseruola, disco di pietra o di terracotta. Successivamente, come testimoniano diverse fonti quali la bibbia ed i poemi omerici, la fibra grezza fu arrotolata su di un bastone chiamato conocchia o rocca. Esemplare l’immagine delle Parche in cui Cloto fila il filo della vita, reggendo con una mano la rocca e con l’altra il fuso, Lachesi lo allunga ad Atropo che inflessibile lo taglia. È solo con il Medioevo che si introduce in Europa la meccanizzazione. All’inizio si collegò semplicemente il fuso ad una ruota, mossa da una manovella, poi si aggiunse un’aletta che permise di arrotolare il filo direttamente in una bobina. Il Rinascimento vide l’introduzione di un pedale per far girare la ruota. Era nato il filarino, rimasto pressoché immutato fino al novecento. Fino alla seconda metà del settecento la filatura restò un processo essenzialmente manuale in forte ritardo tecnico rispetto ai progressi della tessitura. La comparsa della jenny, detta in Italia giannetta, e del filatoio ad acqua nel 1770 segnano l’inizio di sistemi di filatura efficienti, che daranno origine al filatoio intermittente, con cui si potevano lavorare tutti i tipi di filato, ma il movimento era ancora manuale; infatti sarà automatizzato solo nel 1830. Dopo il 1870 è adottato il filatoio ad anello, che segna l’ultimo definitivo progresso.

Tessitura.

Una volta avvolto il filato in spole per l’ordito ed in bobine per la trama si prepara l’orditura sul telaio. Nell’antichità si utilizzarono soprattutto tre tipi di telai. Il telaio verticale, quello orizzontale e quello a pesi. Dal cinquecento il telaio orizzontale fu modificato con l’introduzione di un pedale per sollevare i licci ed alzare i fili dispari dell’ordito e da allora fu praticamente il solo impiegato. Il disegno era copiato direttamente sull’ordito. Solo dal Rinascimento sono utilizzati la messa in carta, per il disegno di grande dimensione, e l’armatura, per quello più specifico di piccole dimensioni (armatura: sistema di incrocio di trama ed ordito); essi erano eseguiti su carta quadrettata e ad ogni quadretto corrispondeva in senso longitudinale un tirante dell’ordito ed in quello trasversale un punto del disegno. Tre sono le armature fondamentali. La tela, detta anche taffetas, in cui il dritto ed il rovescio sono uguali; che si realizza incrociando due fili di trama con due di ordito. Questo tipo di armatura, come anche gli altri, cambia nome secondo il tipo di filato utilizzato: taffetas quello di seta, panno di lana cardata, popeline di lana pettinata e di cotone, calicot di cotone. C’è poi il raso detto anche satin, che è ad effetto di ordito o di trama secondo quale filo è messo in evidenza. Ed infine la saia o diagonale con effetto diagonale inclinato a destra od a sinistra. Dalle armature di base si realizzano effetti diversi ottenendo tessuti quadrettati, rigati, ecc; variando lo spessore dei fili, intercalando trame diverse, ecc. Vi sono poi un numero illimitato di armature fantasia, realizzate sovrapponendo all’armatura di base un altro motivo. I più noti di questa categoria sono:

Il damasco di fili dello stesso colore, unico prodotto in Europa, fuori dell’Italia, prima del cinquecento, è ottenuto per slegature (slegatura, quando il filo della trama o quello dell’ordito passano sopra a più fili) della trama sull’ordito e presenta il disegno visibile dalle due parti corrispondenti all’effetto trama sul dritto ed a quello ordito sul rovescio, in cui si ottiene da una parte il disegno lucido su fondo opaco e dall’altra il contrario. Il damasco classico è operato su di un’armatura di raso.

Il velluto, prodotto in Italia dalla metà del trecento, deriva il suo nome dal latino vellus ed è l’unico, tra i tessuti antichi, sicuramente di origine occidentale. Presenta una superficie ricoperta di pelo, ottenuta con l’utilizzo di un ferro da velluto inserito ogni tre o quattro passaggi in modo da fargli passare sopra il filo di trama, così che dopo averlo estratto si formino degli anelli sporgenti. Questo tipo ad anelli chiusi è denominato riccio, mentre si chiama tagliato quello ottenuto con un ferro da velluto scanalato, che permetteva di passare una lama sulla scanalatura tagliando gli anelli. Alternando riccio e tagliato, diverse altezze del pelo, ecc. si ottengono vari tipi di disegni.

Il broccato è ottenuto sovrapponendo all’armatura di un altro tessuto (tela, raso, ecc.) trame di colori e disegno diversi, realizzando un effetto di bassorilievo; spesso si usava filo d’oro o d’argento, realizzato avvolgendo intorno ad un filo una lamina metallica, in questo caso era detto spolinato d’oro o di argento (spolino è il nome della piccola navetta usata per i broccati). Spesso le trame broccate sono visibili slegate sul rovescio.

Ricordiamo in fine anche due tessuti ottenuti con tecniche diverse: la ciniglia che è resa possibile utilizzando un filo provvisto di sfrangiature; ed il Moiré, realizzato pressando un tessuto con movimento rotatorio in modo da conferirgli riflessi di luce concentrici.

Tintura.

Si può tingere il filato od il tessuto indifferentemente. Fino alla seconda metà dell’ottocento si usarono solo colori naturali fissati con mordenti. Tra cui i più usati furono:

Il Campeggio ed il legno brasile, essenze di legni delle omonime piante, che danno l’azzurro scuro, il nero ed il violetto.

Il cattù, dall’albero così chiamato, tinge in bruno.

La cocciniglia, detta anche chermes, colora con sfumature dal rosa al violetto. Ottenuta dai corpi essiccati della femmina di detti insetti.

La guaderella, lo scottano, lo zafferano, il cartamo ed il sommaco, dalle piante di questo nome, per il giallo.

L’indaco, sempre una pianta, dà un azzurro di varie tonalità.

Dalla metà dell’ottocento le scoperte delle aniline, dell’alizarina, dell’indigotina e dei coloranti allo zolfo portò all’utilizzo dei coloranti chimici al posto di quelli naturali.

Stoffe stampate.

Sono quei tessuti in cui il disegno non è ottenuto tramite fili di differente colorazione od intreccio, ma mediante tintura.

Anticamente le stoffe erano semplicemente dipinte, poi si utilizzarono soprattutto timbri fatti con assi di legno intagliate e poi coperte di colore, che erano battute sulla stoffa con mazze in modo da trasferirne il disegno. Altro sistema è quello dei batik, di origine cinese, realizzati coprendo con cera le parti da non tingere ed immergendo poi la stoffa nella tintura; analogamente in antico si utilizzava al posto della cera anche la creta.  Di origine giapponese la tintura a nodi è messa in opera legando con corde cerate parti di tessuti, che, slegati dopo la tintura, presentano disegni più o meno geometrici.

Infine ci piace ricordare che i tessuti policromi furono in alcuni casi, come per la Cina ed il Giappone, la prima forma di esperienza pittorica.

 

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