SCHEDE TECNICHE

Queste schede tecniche d’antiquariato sono state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro

per la rubrica mensile edita sulla rivista “L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non riportate.

Si ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte presso il

Tribunale di Bologna www.perito-arte-antiquariato.it

 

Il tessuto. Prima parte, cenni storici.

Tessuto dal latino textilis, intrecciato. Si utilizzano materiali: di origine animale, come vello e pelo (a base di cheratina), seta dal bozzolo del baco da seta (a base proteica); di provenienza vegetale come lino, canapa, cotone, rafia, ecc. (a base di cellulosa); artificiali come filo d’oro, argento, vetro, il rayon, ecc; sintetici, più recenti, tratti in generale dal petrolio.

Il tessuto è un prodotto ottenuto intrecciando uno o più filati. Secondo il metodo di lavorazione otteniamo intrecciando: un filo con se stesso la maglia semplice; più fili paralleli merletti, trecce, ecc; infine, per mezzo di un telaio, più fili paralleli, detti ordito, con un filo continuo, denominato trama, che prosegue da un lato all’altro seguendo un disegno prefissato, chiamato armatura, producendo la stoffa propriamente detta. Non dobbiamo confonderci con il ricamo ottenuto applicando fili per mezzo di aghi al fine di realizzare un disegno su tessuti e sui pellami.

Anche i tappeti sono eseguiti su telai, ma eseguendo annodature sull’ordito, e non utilizzando il filo continuo di trama.

Cenni storici.

L’arte della tessitura nasce con la storia dell’umanità stessa insieme alla necessità di coprirsi. Adamo ed Eva cacciati dal paradiso terrestre si vestono dapprima con foglie e poi con pelli. Sono ascrivibili al periodo Aurignacano, tra i 20.000 ed i 16.000 anni a.c, i primi aghi senza cruna ritrovati. I primi tessuti sono di lino, databili intorno al 5000 a.c., reperiti ad el-Fayyum in Egitto. Al 3000 a.c. risale l’uso del cotone in Egitto e poco dopo in Perù; ed alla stessa epoca le stoffe palafitticole svizzere. In Cina nel 2689 a.c. l’imperatrice aveva avviato la produzione di seta. La prima citazione della spola è del due-trecento d.c. Troviamo esempi di telaio orizzontale primitivo sempre in Egitto nelle raffigurazioni parietali di Beni Hassan tra il 2160 ed il 1785 a.c. In Egitto dal Nuovo Regno, 1580-1085 a.c, compare il telaio verticale, che permette al tessitore, tramite un pedale, di sollevare i fili dell’ordito legati ai licci (dispositivi del telaio per tessitura, che alzano ed abbassano i fili dell’ordito alternandoli, in modo da incrociare il filo della trama ad ogni passaggio), consentendo di mantenere le mani libere per lanciare la navetta (involucro a forma di losanga contenente un rocchetto di filo, che permette lo srotolamento ed il passaggio tra i fili di trama senza impigliarsi). Omero parla, oltre che della tela di Penelope, delle stoffe babilonesi per vestiti e tappezzerie; che ancora ai tempi di Nerone Plinio riferisce essere pagate carissime e che definisce dipinte, contrapponendole a quelle alessandrine tessute a colori. Il cotone pare essere stato introdotto in Grecia da Alessandro. Alla fine del II secolo a.c. la seta grezza e le stoffe giungevano al confine con la Persia. Ed è a Tiro ed a Berytus, alla fine della via della seta, che si costituirono importanti opifici; che avevano anche il vantaggio di poter utilizzare la porpora (sostanza colorante rossa usata dagli antichi, secreta da ghiandole del tegumento di gasteropodi marini, che pare sia stata scoperta dai Fenici). Sempre Plinio ci racconta che gli stracci di seta, a riprova del suo costo, erano disfatti per riutilizzarne il materiale. Era considerato un fatto eccezionale che Caligola indossasse una clamide di seta (corto mantello affibbiato sulla spalla destra). Il termine seta deriva dal nome Seres, dato dai romani ai cinesi. Nel 301 d.C. Diocleziano stabilì a 4000 monete d’oro il prezzo di un chilo di seta bianca grezza. L’uso di vesti di seta era talmente diffuso anche presso i barbari che Alarico, principe dei Visigoti 395-410, ne chiese a Roma 4000 tuniche. A Roma la tintura delle stoffe era talmente importante che i tintori, fullones, furono organizzati in appositi collegi con propri culti; ed autorizzati a raccogliere a pagamento dai passanti pubblicamente, anche per strada, l’urina necessaria, in quanto contenente ammoniaca, alle fasi di lavorazione. Solo con Giustiniano, 483-565, nel 552 due monaci trafugarono dalla Cina a Bisanzio due uova di baco da seta, permettendo all’Impero d’Oriente di affrancarsi dalle importazioni cinesi e di cominciare una fiorente produzione di lusso, cui si dedicarono molti artigiani specializzati. Per lungo tempo la fornitura di arredi tessili, soprattutto eclesiastici, restò appannaggio dell’Oriente, e solo nel ottocento comparvero stoffe di fabbricazione napoletana. A Bisanzio nel X secolo esistevano cinque distinte corporazioni. L’esportazione non era libera, ad esempio era vietata verso l’impero germanico, mentre Amalfi e Venezia ne commerciavano grandi quantità ed il mercato più importante divenne Pavia. Troviamo importazioni di seta bizantina in Inghilterra nel 1178. Il trattato del 1082 liberalizzò il commercio tra Costantinopoli e Venezia e pose le basi per l’inizio vero e proprio della lavorazione della seta in Italia.

In Sicilia si situò una delle migliori produzioni di tessuti in epoca normanna, di cui resta il magnifico esempio delle vesti conservate a Vienna ed a lungo servite per l’incoronazione degli imperatori del Sacro Romano Impero, datate dal 1133 al 1181. In particolare il manto resta uno dei massimi ed insuperati esempi di arte tessile. Nel duecento e nel trecento a Lucca si producevano i diaspri in origine operati monocromi, poi in due colori. Lucca era senz’altro il centro produttivo più importante tra il due ed il quattrocento ed oltre alla seta si fabbricava anche il velluto. L’impresa era di tipo imprenditoriale. Il mercante organizzava tutta la produzione, restando sempre proprietario del prodotto e servendosi dei vari lavoranti specializzati; non esistevano botteghe di produzione su base artigianale. Questo portò all’arricchimento del solo ceto mercantile. A Bologna fino al seicento la lavorazione della seta acquistò un’importanza fondamentale, giungendo all’utilizzo di ben 600 filatoi mossi da ruote idrauliche, grazie alle numerose canalizzazioni. Il nome Pavaglione, dato al porticato che fiancheggia la chiesa di san Petronio, deriva dall’etimo dialettale parpaia o dal francese papillon (farfalla); svolgendosi colà il mercato dei bozzoli.

In Spagna dal 1200 al 1500 la produzione è denominata ispano-moresca per il forte influsso dell’occupazione araba. Alla corte di Burgos si producevano le mezze sete, che i pellegrinaggi all’importantissimo santuario di Santiago de Compostela contribuirono a diffondere in tutta Europa. Le stoffe sono sempre state utilizzate come merce di scambio, sia per il loro elevato costo, sia per la facilità di trasporto. Queste stoffe dominate da disegni arabizzanti conobbero una notevole diffusione; infatti, le ritroviamo raffigurate nelle opere di Giotto, Cimabue e Duccio. Un’altra influenza determinante è quella estremorientale. Nel XIII secolo Gengis Khan conquistò gran parte dell’impero persiano, portando l’influenza degli stilemi cinesi in Europa. È l’epoca di Marco Polo, ed a testimonianza restano numerose stoffe cinesi e persiane, su modelli cinesi, conservate nei musei europei, tra cui in quello di Perugia. L’uso della simbologia cinese si configura come primo esempio di cineseria come poi si svilupperà nel seicento ed ancor più nel settecento; naturalmente interpretata secondo canoni estetici ed etici occidentali. Solo alla fine dell’ottocento quella civiltà è stata organicamente studiata. Il motivo dominante tra la fine del trecento ed il cinquecento è quello del melograno, con tutte le sue implicazioni simboliche, e del fiore di cardo, il tessuto più utilizzato è il velluto tinto in rosso con il kermes, importato dall’oriente, e la grana, meno costosa proveniente da Maiorca, dalla Provenza, ecc. (tali colori erano ottenuti da un insetto la cocciniglia). Dalla metà del cinquecento si cominciarono a differenziare i motivi secondo la destinazione d’uso, più piccoli quando destinati al vestiario; mentre la tipologia (lampassi, broccati, velluti) dei tessuti restò indifferenziata e comunque preziosa. A Lucca ed a Venezia si produceva ormai solo broccatello e lampasso; mentre a Genova si concentrava la manifattura dei velluti. Con il seicento la divisione tra arti maggiori e minori è ormai definitiva, portando ad un impoverimento dei temi trattati nei tessuti; anche la divisione tra tessuti di diversa destinazione è ormai stabilita, con l’uso del velluto esclusivamente per tappezzerie e dei tessuti più leggeri per l’abbigliamento. Con la Controriforma i temi trattati sono codificati. La grande riforma attuata da Jean-Baptiste Colbert, 1619-83, ministro di Luigi XIV, nel 1666 segnò l’avvio di Lione, fiorente già dal quattrocento grazie anche a manodopera italiana, quale maggior centro produttivo d’Europa. Qui si realizzò la “grande fabbrica” dove decoratori, disegnatori, pittori, ecc, collaboravano alla realizzazione di prodotti di altissima qualità. Ci rimangono pochi tessuti alla Bérain, cioè a grottesche (Jean Bérain 1639-1711). Si iniziò ad incorniciare ed a racchiudere entro medaglioni i vari temi. L’attività delle Compagnie delle Indie inglesi, spagnole, olandesi e francesi portò, dalla fine del seicento, all’affermazione dell’esotismo, ispirato non solo alla Cina, ma anche all’India; con il Rococò questa tendenza giunse al suo massimo successo, soprattutto al suo inizio, ma proseguendo in pratica per tutto il settecento. Intorno al 1730 incominciò una tendenza più naturalista, anche grazie all’invenzione del point-rentrè, ad opera di Jean Revel (1684-1751), che permise una resa tonale molto più sfumata ed adatta alla trattazione dei fiori e delle piante. La produzione italiana fu da ora in poi soggetta ai temi ed alle mode francesi; mentre l’Inghilterra cercò di competere, grazie alle maestranze emigrate dopo la revoca dell’editto di Nantes nel 1685. Tale contesa diede ottimi risultati verso la metà del settecento, ma la difficoltà di approvvigionamento della seta portò ad un rapido declino già alla fine del secolo. In Germania bisogna aspettare la seconda parte del settecento per trovare produzioni consistenti, allorquando Federico il Grande chiamò ad operare maestranze italiane, francesi ed austriache. La corte francese organizzò attraverso il Garde-Meuble, le cui regole sono fissate da Colbert nel 1663, tutto l’approvvigionamento degli arredi necessari, compresi quelli tessili. Tutte le corti europee seguirono l’orientamento di Parigi, portando fiumi di denaro alle manifatture francesi. I fornitori della corte erano più d’uno, anche per la lentezza della produzione, a fronte dei metri e metri necessari alla tappezzeria di una singola camera; un artigiano tesseva solo 8-12 centimetri al giorno di seta lavorata a gran opera. Ad esempio per il solo Gabinetto della Regina, camera abbastanza piccola, nel 1779 lavorarono a Lione contemporaneamente ben ventisei telai. Si trattava di artigiani di grande abilità, che non solo erano obbligati costantemente a controllare l’ordine dei punti, assolutamente non memorizzabile, ma dovevano seguire il disegno a rovescio rispetto al progetto. Il mutamento del gusto, soprattutto nell’abbigliamento, con la sostituzione dei sontuosi abiti dell’ancien regime con quelli più semplici neoclassici, aveva cominciato a minare la floridezza delle manifatture francesi già nel secondo quarto del settecento. La Rivoluzione depresse fortemente le manifatture lionesi e solo con Napoleone esse ricevettero un nuovo rilancio. Egli istituì appositi corsi di chimica industriale, e favorì il diffondersi dei nuovi telai Jacquard, costituendo le basi del predominio per tutto l’ottocento delle manifatture lionesi.

 

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