SCHEDE TECNICHE

Queste schede tecniche d’antiquariato sono state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro

per la rubrica mensile edita sulla rivista “L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non riportate.

Si ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte presso il

Tribunale di Bologna www.perito-arte-antiquariato.it

 

La raffigurazione sulle superfici. L’affresco.

La tecnica pittorica più utilizzata sulle pareti è stata quella dell’affresco.

Si definisce affresco unicamente la pittura, che per fissarsi stabilmente utilizza la proprietà della calce, presente nell’intonaco umido, proprietà di trasformarsi a contatto con l’aria durante l’essiccazione in carbonato di calce, inglobando stabilmente nei suoi cristalli il colore.

Altre tecniche furono utilizzate per dipingere sui muri, dall’uso della pittura ad olio od a tempera, generalmente meno tenaci e durevoli; a scorciatoie come i colori mischiati con la calce, che se pure consentono opere durature, non raggiungono la resa marmorea tipica del buon fresco. È stato comune tuttavia rifinire l’affresco con tali altre modalità. Ciò avveniva sia per la ricerca di soluzioni pittoriche qualitativamente più ricercate, anche perché solo certi pigmenti sono utilizzabili nell’affresco; sia per rifinire affreschi ormai asciutti. La tecnica dell’affresco è per sua natura adatta alle grandi rappresentazioni narrative, decorative, didascaliche, ecc; gli è molto meno consona la raffigurazione realistica, il paesaggio od il ritratto.

L’affresco comincia dall’intonaco, che può essere steso sia su muro di mattoni che di pietre, ma non su di uno misto. Esso si ottiene miscelando materiali della migliore qualità: calce spenta, ottenuta dalla diluizione progressiva con acqua della calce viva, processo che poteva durare anche tre anni; sabbia priva di mica ed impurità, di origine torrentizia o di cava. Qualunque impurità chimica o fisica può compromettere il lavoro. L’intonaco è suddiviso in due parti l’arriccio ed il tonachino.    Il primo spesso poco meno di quindici millimetri e relativamente grossolano è generalmente composto da due parti di sabbia grossa per una di calce e steso sulla parete costituisce lo strato di fondo principale. Il tonachino è lo strato finale su cui si applica la pittura, dello spessore di circa tre millimetri, composto da una parte di sabbia fine, una di polvere di marmo ed una di calce; si stende dopo circa mezzora sull’arriccio. In alcuni casi si procede in tre fasi, gettando un primo strato di intonaco chiamato raffazzo, costituito da tre parti di sabbia ed una di calce, dello spessore di circa quindici millimetri, che può essere steso su superfici ampie e mantenuto umido con spugnature e panni imbevuti per alcuni giorni, anche se quello preparato in giornata dà sempre un risultato più durevole; in tal caso l’arriccio si riduce a sei millimetri. Dovendosi eseguire il lavoro con l’intonaco ancora umido, cioè grosso modo nella giornata, in caso di ripensamenti la pittura deve essere raschiata immediatamente, ancor meglio asportare e rimettere lo strato stesso  dell’intonaco.

Storicamente l’affresco nasce a Creta, gli egizi non conoscono la calce sino all’arrivo dei romani. Ancora non è completamente conosciuto il procedimento utilizzato a Pompei, anche se sembra da escludere sia la tecnica ad encausto, non è stata rilevata traccia di cera nel colore, sia quella dell’affresco, non compaiono le caratteristiche giunzioni; si propende per l’uso di colori a tempera protetti con il procedimento dell’encausticazione, consistente nello spalmare di cera il dipinto dopo l’esecuzione e lucidarlo poi con panni di lino. L’encausto propriamente detto era viceversa utilizzato per i dipinti su tavola e consisteva nell’utilizzo di colori stemperati nella cera mantenuti diluiti con il calore di appositi bracieri.

Anche per le grotte indiane di Ajanta (III-VII secolo) non si è sicuri della tecnica usata, ma l’assenza delle giunzioni escluderebbe l’affresco. Anche in Cina l’affresco era sconosciuto sino all’era volgare.

In epoca paleo-cristiana la figurazione avveniva direttamente sulla preparazione: prima i contorni, in ocra, poi il riempimento, fino alle ombre; secondo le modalità descritte nella scheda precedente a proposito della pittura a tempera. Il tempo d’esecuzione delle varie parti era determinato dalla lunghezza del ponteggio del cantiere; i diversi tempi di esecuzione delle varie parti dell’affresco (dette pontate) sono determinabili dall’osservazione delle giunzioni pittoriche orizzontali, determinate dall’andamento generalmente orizzontale del ponteggio e dal suo spostamento in successione dall’alto verso il basso.                    

In epoca romanica il lavoro delle maestranze di frescatori veniva svolto sempre per pontate, ma la tecnica inizia a raffinarsi; è introdotto l'uso di paglia, cocci, stoffa all'interno dell'impasto dell'arriccio e dell'intonaco, così come avveniva per quello del mosaico bizantino, per mantenerne l'umidità e permettere un tempo di esecuzione maggiore. Le figure sono ancora disegnate con contorno ad ocra rossa, ma si comincia a riscontrare l'uso di collanti per i colori; quali: albume, cera fusa, colla animale. Il disegno preparatorio ad ocra, essendo steso sul muro ben umido, si è spesso conservato meglio del colore e ci dimostra attraverso i numerosi pentimenti una maggiore libertà dai modelli stereotipati precedenti. Inoltre si possono anche rilevare leggere incisioni, tracciate per disegnare sull'intonaco fresco. Esistono differenze regionali e se in Francia ed in Italia nel Duecento i contorni sono ripassati in ocra rossa, altrove si ricorse al nero.

Nel Trecento la tecnica dell'affresco conosce una grande diffusione in area centro e sud europea. Due importanti innovazioni sono introdotte dalle maestranze dell'epoca: l'uso del disegno preparatorio (sinopia) e lo svolgimento del lavoro non più a pontate, ma a giornate, di cui una crocifissione eseguita a Pistoia alla metà del Duecento resta la testimonianza più antica.

La sinopia è un disegno preparatorio alla stesura vera e propria del colore. Era stesa a pennello con terra rossa, proveniente dalla città di Sinope nel Ponto (da qui il nome latino sinopis pontica), prima sull'arriccio e poi sull'intonaco, e riproduceva in modo preciso e rifinito il disegno dell'affresco. La scoperta dell'esistenza delle sinopie è avvenuta nel dopoguerra, quando sono state rinvenute sotto gli affreschi, distaccati per eseguirne i restauri. Il passaggio dall’esecuzione a pontate a quella a giornate è non solo il segnale di un’innovazione tecnica, ma soprattutto di un’evoluzione culturale. L’artista organizza il lavoro dividendolo non solo in base alla quantità di lavoro, che lui ed i suoi collaboratori erano in grado di eseguire nella giornata, ma anche secondo le esigenze dettate dal progetto esecutivo; che ormai richiede una maggiore attenzione alla realizzazione delle singole figure con la necessità ormai fortemente sentita di caratterizzarle e particolareggiarle, con una maggiore autonomia rispetto all’idealizzazione assoluta del periodo precedente. Il diffondersi delle grandi vetrate gotiche porta ad una riduzione delle superfici affrescate.

Nel Quattrocento assistiamo alla progressiva scomparsa dell’uso della sinopia quale mezzo progettuale. Si realizza il disegno completo al naturale su carta in modo da poter effettuare con agio i calcoli imposti dalla progettazione della prospettiva e tutte le correzioni che fossero necessarie; si ritaglia la parte che si intende eseguire nella giornata, poi si procede allo spolvero. Le linee che componevano le figure sono perforate. Una volta appoggiato il cartone sull'intonaco fresco, si spolvera con finissima polvere di carbone; in tal modo la polvere, passando attraverso i piccoli fori, lascia la traccia da seguire.

L'affresco conosce il momento di maggior diffusione con il Rinascimento. In area centro-italiana verso la fine del Quattrocento, abbandonato definitivamente l'uso della sinopia (che in altre aree sarà invece usata fino alla fine del XVI secolo), viene introdotto l'uso del disegno il bozzetto. Il bozzetto veniva sottoposto al giudizio del committente e, se approvato, si procedeva con l'esecuzione; riportandolo con il sistema della quadrettatura in scala sul cartone preparatorio. La parte da eseguire viene impressa a ricalco sull’intonaco invece che a spolvero.

Alla fine del Cinquecento il gusto, influenzato dai dipinti su tela, tende ad abbandonare le caratteristiche  di compattezza marmorea dell’affresco, per ottenere effetti più pastosi si rende ruvida la superficie e per evitare che raccogliesse troppa polvere si inclinavano leggermente i piani. Per evitare l’umidità a Venezia si ricorse allo stratagemma di miscelare del coccio pesto nell’intonaco (pastellone). Tiepolo userà tale tecnica per dare un particolare effetto coloristico rosato ai suoi affreschi.

La possibilità di trasporto delle opere su tela segna il tramonto progressivo sia delle opere su tavola, troppo ingombranti e pesanti oltre certe misure, che dell’affresco, sostituito dai grandi teleri, prodotti nelle botteghe e poi collocati sulle pareti.

Accenniamo brevemente a tre tecniche conservative, che hanno trovato applicazione nell’affresco. Lo stacco a massello, che consiste nel tagliare intere sezioni complete di muro dello spessore di alcuni centimetri. Lo stacco, che permette di togliere dal muro la pittura dell’affresco insieme allo strato di tonachino. Lo strappo, consistente nel distaccare la sola pellicola pittorica. In tutti e tre questi casi, quando possibile, il dipinto può essere, una volta risanato il muro, ricollocato in sede o conservato su altri supporti altrove.

Da ultimo ricordiamo che per la legge italiana qualunque opera eseguita su muri, ad affresco, a tempera ad olio o quanto altro non può essere staccata senza la preventiva autorizzazione dello Stato.

Accenniamo brevemente ai colori con particolare attenzione alla loro datazione. È ovvio che se un colore è presente su di un opera, questa non può essere antecedente all’invenzione ed, in relazione alla zona di produzione del manufatto, all’uso di quel colore.

I nostri progenitori cavernicoli utilizzarono, oltre 10.000 anni fa, per decorare le caverne: il nero, ottenuto dal legno bruciato, il bianco dal gesso, il giallo dalle ossa, ed i bruni dalle terre.

Gli Egizi, grazie a strumenti di bronzo, ricavarono da rocce polveri fini da impastare per ottenere i loro colori: il verde dalla malachite, il cinabro dall’omonimo minerale, l’arancio-bronzeo dal realgàr (minerale di solfuro di arsenico), dall’azzurrite il blu ed il giallo dall’orpimento (minerale di trisolfuro di arsenico). Ottennero anche altri due colori il blu smalto, utilizzato solo sino al settecento dopo Cristo, ed il bianco di piombo, detto comunemente biacca; oggi in disuso perché velenoso. Questi ultimi si fabbricavano polverizzando gli smalti ottenuti per cottura nel forno del ceramista. La biacca soppiantò il gesso e fu utilizzata in maniera esclusiva sino al 1830, quando si scoprì il bianco di zinco, e poi nel 1916 quello di titanio.

I Romani scoprirono il porpora, ottenuto da un mollusco il buccino, il blu indaco, colore vegetale dalle piante indigofere; ma soprattutto il verde-rame dall’ossidazione di questo metallo.

Con il Duecento assistiamo a reali progressi, con l’introduzione del vermiglione, una qualità di rosso brillante (minerale di solfuro di mercurio), e del blu oltremare, ottenuto dalla macinazione del Lapislazzuli; per l'appunto dal contrasto di questi due colori scaturisce molta della ricchezza dei dipinti medioevali. Dai vetrai si derivò un’altra polvere macinata il giallorino; e dai tintori il rosso, ricavato dai rizomi della pianta della robbia.

Nel 1704 un tintore di Berlino scopre il blu, detto appunto di Prussia. Nel 1750 il giallo di Napoli (antimonio basico di piombo) sostituisce il giallorino.

È dal XIX secolo che assistiamo ad una vera e propria esplosione dei colori, grazie soprattutto all’industria chimica. Nel 1820 al giallo cadmio segue quello cromo, nel 28’ il blu oltremare è sintetizzato dal carbone unito allo zolfo ed alla soda, nel 38’ il verde smeraldo, nel 56’ il violetto dal catrame di carbon fossile (da questa sostanza si ottennero poi diverse tonalità di porpora, che divenne un colore molto alla moda), nel 61 il giallo cobalto, ma soprattutto nel 1859 furono scoperti i colori chimici da William Perkin, che perfezionò la tintura all’anilina. Analogamente sin dal Rinascimento assistiamo alla produzione da parte di artigiani dei colori e di altri strumenti per uso degli artisti; ma è sempre con l’800, che ne comincia la vera e propria produzione industriale. Ricordiamo che il petrolio, ottenuto da giacimenti affioranti, fu usato sporadicamente per illuminazione dall’inizio dell’Ottocento, ma solo dal 1850 si iniziò a distillarlo, riuscendo a sostituire gli altri oli combustibili, tra cui il principale era quello di balena; esso fu estratto dal primo pozzo solo nel 1859.

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