SCHEDE TECNICHE

Queste schede tecniche d’antiquariato sono state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro

per la rubrica mensile edita sulla rivista “L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non riportate.

Si ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte presso il

 

Tribunale di Bologna www.perito-arte-antiquariato.it

Ricerche storiche a cura della prof.ssa Gaia Santoro.

In questa scheda non ci occuperemo delle fusioni in rame, ma di quei prodotti realizzati a partire da una lastra di rame. Il rame è l’elemento chimico di numero atomico 29. Il suo simbolo è Cu.

Con ogni probabilità il rame è il metallo che l’umanità usa da più tempo. In una grotta dei monti Zagros (catena che corre dal Kurdistan sino allo stretto di Hormuz) è stato rinvenuto un monile datato al 9500 a.C. in questo caso si tratta di rame nativo, cioè estratto a martellate direttamente dalla vena di rame puro. L’utilizzo del rame nativo segna il passaggio dall’epoca della pietra al Calcolitico (dal greco chalkòs rame). Foto 1.

Testimonianze del raffinamento del rame risalgono al 5000 a.C., mille anni prima di quelli relativi all’uso dell’oro. Con lo sviluppo della tecnica di fusione del solfuro e dell’ossido di rame cominciò la produzione di utensili, armi e oggetti in rame, segnando il passaggio dall’età del rame a quella del bronzo. Gli Egizi scoprirono che il rame poteva essere estratto da altri minerali attraverso la fusione in forni speciali, nei quali si insufflava ossigeno per superare i 1000 °C di temperatura. In Europa i manufatti più antichi risalgono alla fine del IV millennio a.C. Foto 2. La Bibbia indica in Tubalcaino, figlio di Caino e Zilla (Genesi 4,16-24) e vissuto prima del Diluvio il primo alchimista e artigiano del rame. Per altre fonti il primo alchimista sarebbe invece il sapiente Ermete Trimegisto (tre volte grandissimo); nota divertente: le sue iniziali sono E. T. all’interno di una piramide è stato reperito un sistema di tubi di scarico in lega di rame risalente al 2750 a.C; fu rinvenuto nel tempio del re Sa-Hu-Re ad Abusir, in Egitto; faceva parte di un impianto di circa 100 m di lunghezza.

L’uso del rame nella Cina antica risale al 2000 a.C. Il nome italiano del rame invece deriva dal latino parlato aramen, derivato della voce latina aes che significa “rame” o “bronzo”; i romani non facevano distinzione tra il rame e la sua lega il bronzo. Plinio ci testimonia che solo dopo fu chiamato cuprum (da aes cyprium), da cui il simbolo chimico deriva Cu. L’isola di Cipro era la fonte principale del rame romano. Foto 3.

Due sono le principali tecniche di lavorazione: l’imbutitura e la cesellatura a incisione, a sbalzo e a semi sbalzo.

L’imbutitura consiste nel dare una forma cava alla lamiera tramite l’uso di una matrice. La lamiera è pressata contro una forma cava o concava (in questo caso a volte si ricopre di pece la forma per fissare meglio la lamiera), normalmente di legno, tramite una contro forma (stampaggio) o martellandola. Si può procedere anche al tornio, fissando la lamiera tra la forma e il punzone, che dovrà essere premuto progressivamente e sempre ben lubrificato. Foto 4. Dall’Ottocento si inizia a stampare la lastra utilizzando un punzone maschio e uno femmina, fino a giungere nella seconda metà del secolo a utilizzare godroni maschio femmina per lo stampaggio continuo anche di considerevoli lunghezze.

La cesellatura. Dapprima si traccia sulla superfice il disegno sia direttamente sia ricalcando un foglio precedentemente disegnato. Poi a seconda della profondità della cesellatura si appoggia il manufatto su una superficie piana dura, su un cuscinetto di sabbia o su altro materiale semirigido. Si possono raggiungere profondità anche di alcuni centimetri. Foto 5.

In tutti i casi è necessario considerare che durante la martellatura il rame incrudisce indurendosi, per cui si dovrà più volte riscaldare sino a circa 500 gradi per intenerirlo; riempiendo il recipiente di carbone per riscaldarlo uniformemente. Questa caratteristica dell’indurimento è sfruttata dall’artigiano per ispessire o distendere la lamiera che tenderà a scorrere intorno al punto di battitura incrudito ad ogni successiva martellatura. Oltre al mazzuolo in legno di bosso si impiega il martello di metallo, avente due diverse estremità: una arrotondata o quadrata con gli angoli smussati e l’altra a penna leggermente convessa (cioè appiattita) trasversale al manico. Con colpi ravvicinati della parte arrotondata si ottiene una superfice lisca e un allungamento uniformemente, con la parte a penna il metallo si sposta solo lateralmente al di là e al di qua delle estremità. A volte il lavoro è fissato con la pece, soprattutto per le cesellature più fini. Per le lamiere più sottili si può procedere semplicemente premendo con la mano i ceselli, negli altri casi martellandoli.   

Per unire fra loro lamiere è necessari ripiegarne i bordi uno sull’altro più volte. I bordi sono spesso rinforzati con una verga di ferro intorno cui si ripiega la lamiera. Particolare cura deve essere posta nella realizzazione dei fondi, normalmente più spessi delle pareti laterali. I recipienti utilizzati per i cibi devono essere stagnati nella parte che viene a contatto con essi, ciò oltre a rendere la superficie più resistente evita la formazione di veleni a contatto con gli acidi di alcuni alimenti. Lo stagno viene fuso all’interno del recipiente e poi steso uniformemente per mezzo di stracci. Foto 6. In tempi moderni si è ricorso allo stampaggio industriale, riconoscibile per l’uniformità della superficie e degli spessori. Ogni elemento aggiunto, come: manici, decori, ecc. in antico è sempre unito mediante rivetti di rame ribattuti. Spesso l’opera in rame è argentata o dorato, può essere decorato con pietre preziose, coralli, ecc. il rame è stato utilizzato pressoché in ogni cultura. Foto 7, 8, 9, 10. Bisogna fare attenzione a non confondere gli sbalzi in rame con gli oggetti eseguiti tramite deposizione elettrogalvanica. Tali oggetti sono riconoscibili o perché la lamina di rame (spesso argentata) è depositata sopra un supporto di gesso, terracotta o altro materiale; o perché la superfice del retro presenta granulazioni lasciate dalla deposizione a spessore, mancando per contro dei segni del cesello. Foto 10.

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