SCHEDE TECNICHE

SCHEDE TECNICHE

Queste schede tecniche d’antiquariato sono state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro

per la rubrica mensile edita sulla rivista “L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non riportate.

Si ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte presso il

 

Tribunale di Bologna www.perito-arte-antiquariato.it

 

Questa scheda è stata curata da Gaia Santoro, laureata all’Ababo con tesi su Antonio Mancini.

LA TECNICA PITTORICA DI UN ARTISTA: ANTONIO MANCINI

Colpite dalla piena luce solare le forme sembrano quasi smembrate, vivisezionate; incontenibile la luce prorompe nello sguardo di Antonio Mancini e per questo, non sa come agire, tutto si scioglie in impasti di luce, le forme sfuggono davanti al suo occhio abbagliato, gli urge contenere lo sguardo. Deve trovare il modo di dominare la luce nelle forme e le forme nella luce, cogliere gli effetti che si creano sulle singole parti, secondo che esse siano in luce o in ombra. Questa è la sua maggiore difficoltà. Per riuscire a mantenere le forme di ciò che vuole rappresentare, pur rimanendo fedele alla luce che osserva e che frammenta l’immagine, vista come luce e ombra, colore e materia, che si compone in diversi piani rifrangenti e che quindi lo porta a creare fantasiose materie luminose, ha bisogno di un nuovo mezzo. Mezzo che lo aiuti a contenere e limitare la sua visione del reale e ad osservare il totale d’insieme a distanza, anche di diversi metri. Infatti, la distanza che tiene dal modello è, pressappoco, quadruplicata sulla base della grandezza della composizione affrontata di volta in volta, e per altre quattro misure si allontana dalla tela durante l’atto di dipingere. Inoltre si serve di suoi lunghi speciali pennelli, appositamente fabbricati da lui, allungando i manici con canna d’india, che gli permettono di dipingere ad una certa distanza dalla tela, per meglio osservare l’insieme dell’opera e mantenere il punto di vista da cui si osserverà il dipinto. Imbastisce quindi, a partire dagli anni 80 del ‘800, un nuovo impianto tecnico di sua invenzione: il Reticolato, costituito da graticole di fili di cotone di vario colore intersecati tra loro in orizzontale, verticale e trasversale, al fine di rilevare un particolare andamento di una composizione. Una fitta ragnatela, che suddivide la figura in tante piccole tessere, rendendo possibile così ad Antonio il contenimento delle forme, che altrimenti si sarebbero perse, sfaldandosi nella luce, perdendo ogni somiglianza con l’immagine reale. Pone quindi un reticolato dinanzi alla figura in posa e un altro lo appoggia sulla tela, misurando esattamente le distanze che ha dato tra i fili sul primo e riportandole sul secondo telaio, mantenendo le stesse proporzioni, anche in caso di reticolati di diverse dimensioni. Entrambi i telai sono contrassegnati con tasselli colorati e con numeri, in modo da facilitare l’identica collocazione dei fili da un lato all’altro. Una volta completato il dipinto, tolto il telaio apposto alla tela, si crea su di esso la tipica e particolare impronta manciniana, impressa dai fili che si sollevano dal fitto strato di colore.

Questo nuovo metodo lo utilizzerà per qualsiasi soggetto, a parte gli autoritratti, e per il resto della sua vita. Questo graticolare manciniano fu adottato da suoi diversi frequentatori, come Ise Lebrecht (1881-1945), Temistocle Lamesi (1870-1957) e Amelia Ambron (1877-1960), ma trae comunque le sue basi da tecniche simili già impiegate nel passato. Leonardo da Vinci, infatti, descrive una macchina prospettica efficace, il «vetro»: «Abbi un vetro grande come uno mezzo foglio regale e quello ferma bene dinanzi ali occhi tua, cioè tra l'occhio e la cosa che tu vuoi ritrarre, e di poi ti poni lontano col occhio al detto vetro 2/3 di braccio, e ferma la testa con uno strumento in modo che non possi muovere punto la testa; dipoi serra o ti copri un occhio, e col pennello o con lapis a matita macinata segna in sul vetro ciò che di là appare e poi lucida con la carta dal vetro e spolverizzala sopra bona carta e dipingila, se ti piace, usando bene la prospettiva aerea». Questo nuovo dispositivo consente di fissare la posizione dell’occhio, disegnare direttamente su vetro, quindi lucidare il disegno su carta e riportarlo con la tecnica dello spolvero sulla superficie da dipingere. Mentre la graticola era nota già agli antichi, che adottavano una tecnica simile. Nel trattato dell’Alberti incomincia ad affacciarsi anche la descrizione di macchine prospettiche (o prospettografi). Il velo, che egli propone, ha soprattutto l’intento di fornire una prova sperimentale della validità della prospettiva, come «intersecazione» della piramide visiva con il quadro. Il velo di Alberti è sostanzialmente un telaio di legno con fili (di cordicelle o di rame) che formano una griglia quadrettata. La posizione dei diversi punti dell’immagine nella griglia viene riportata dall’osservatore su un foglio quadrettato. Questo dispositivo di scarsa utilità pratica, data la mobilità della posizione dell’occhio, ebbe in seguito ingegnose varianti tecniche che fecero la fortuna della prospettiva nel mondo delle arti applicate. Tecnica quindi che è stata da sempre ricercata, tentando di giungervi in maniera appropriata e che solo Mancini perfezionerà a tal punto che ancora tutt’oggi è impiegata da certi artisti che vogliano produrre “Buona pittura del vero”. Ciò che ricerca Antonio invece è «Un totale d’insieme che domini grandiosamente la qualità vera.», e scrive: «Come si assicura il valore d’un tono se troppo nero o troppo chiaro oltre ai rapporti vi sono altri mezzi per valutare l’istessa forza di valori mettendo pezze vere appese nella gabbia del modello o nere o altri colori per vedere quanto cala forze il vero alle distanze, come senza studiare si può imitare il vero con la ragione e tante operazioni che ne assicurino il valore per mettere ad un’altezza una luce che rappresenti passaggio od altro in un quadro grande. La dimensione della tela che deve essere stabilita prima sia per lo studio ove si eseguisce il dipinto sia per il sentimento della grazia della dimensione graticolata la tela per il disegno si fa altra eguale graticolazione più piccola e si può fare un bozzetto del soggetto che si vuole, prendendo tanti pezzi dal vero per quanti convengono mettere in prospettiva stabilito il taglio del soggetto si può uno valere del vetro per disegnare dentro il quadro prospettico. Se si vuole fare il bozzetto della 3° o 4° grandezza del quadro si divide con graticola piccola di quadratini del numero della grande tela di già divisa.». Mentre utilizza il reticolato, si sposta continuamente, andando continuamente dalla tela al modello, per riprodurre attentamente i diversi punti di vista e le fughe prospettiche. Ottiene così contemporaneamente una visione delle forme immerse nella luce sia dell’insieme sia delle singole parti. Visione d’insieme ottenuta proprio ponendo il soggetto da dipingere molto distante, così da visualizzarlo nel totale e contemporaneamente osservare le parti singole isolate dal reticolato, cogliendole ognuna con la propria sezione di luce. Mezzo che il pittore adopera per riprodurre la realtà secondo la visione captata dal nostro occhio quando si trova a distanza dalle forme, in modo da poterle abbracciare nel loro insieme. Mancini, dove a volte lo spazio dello studio non permette di lavorare a grandi distanze dalla tela, fa uso di un binocolo adoperato al contrario. Per ottenere poi dalle tinte opache la luminosità che gli oggetti, così visti, acquistano, si serve della stessa luce, cioè degli effetti che essa opera sulle superfici di colore che, colpite dai fasci di luce, s’illuminano nelle parti più sopraelevate formate dalla sovrapposizione di diversi strati materici. Per ottenere un tono di bianco purissimo e lucente, sovrappone strati e strati dello stesso colore, necessario a produrre in penombra i riflessi di piani rialzati. Crea in tal modo una gradazione tonale di colore, e dove non riesce a giungere al massimo rendimento o a replicare la luminosità totale reale con il solo colore, allora ricorre a elementi estranei inseriti nell’insieme pittorico; un pezzetto di vetro, cocci di piatti, metalli e stagnole, spesso parte degli stessi rivestimenti dei tubetti di colore; fu tra i primi a servirsi di materie estranee all’impasto pittorico.

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