SCHEDA DI APPROFONDIMENTO.
Queste schede tecniche d’antiquariato sono state scritte
dall’antiquario Pierdario Santoro, con la collaborazione della moglie Mara
Bortolotto, per la rubrica mensile edita sulla rivista “L’Informatore Europeo”.
L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non riportate.
L’orologeria, parte
quinta.
Dall’ora
rivoluzionaria alla rivoluzione industriale.
Contrariamente a quanto si potrebbe
supporre, la presenza di più repliche dello stesso orologio non è, per gli
esemplari antichi, indice di minor valore, ma al contrario se una pendola
trovava una collocazione rilevante, era ovviamente più facile che personaggi importanti potessero ammirarla, desiderarla e
di conseguenza commissionarla. In tal senso faccio quest’esempio: la pendola
detta di “Giasone”, che si trova alla Malmaison nella
sala del trono di Napoleone è relativamente comune, a Bologna, la mia città, ne
ho viste già tre, di cui una è stata mia, e nei miei giri altre otto in
commercio e sei in musei. È pure del tutto evidente che le pendole di gran
qualità sono state conservate con maggior cura di
quelle ritenute minori, sopravvivendo ovviamente in maggior misura. Ricordiamo
che i quadranti, in pendole simili, sono spesso differenti; ciò perchè
l’orologiaio di corte era obbligato ad ordinare la cassa al bronzista
proprietario dei modelli, mentre era solito commissionare il movimento al suo
abituale fornitore (ricordiamo che le due cose erano, tranne casi eccezionali,
prodotte da artigiani diversi). Nelle collezioni dei re di Spagna, appassionati
collezionisti in epoca soprattutto di pendole Impero, sono presenti repliche
dello stesso modello, ma con quadranti diversi. È evidente che le pendole come
quella di “Giasone”, possedendo un quadrante scolpito a soggetto, che pure era
eseguito dal bronzista, appaiono esternamente del tutto
simili; anche se il movimento vero e proprio sarà diverso. La firma sul
quadrante è sovente dell’orologiaio committente, anche se questi non ha mai
prodotto realmente orologi.
Dopo l’Impero la tendenza storicista
inizia ad affermarsi anche nell’orologeria: dapprima con il soggetto così detto
troubadour
(trovatori, menestrelli), in cui i personaggi sono prevalentemente in costume
rinascimentale e la scena è decisamente romantica, con la sovente rievocazione
dei drammi alla moda; poi con quello Neogotico. Quest’ultimo nato in
Inghilterra alla metà del Settecento, trova verso il 1830 un ampio seguito
anche sul continente. La principale casa produttrice era quella parigina dei
fratelli Bavozet, che si specializzò, intorno al
1830, nella riproduzione in perfetta scala di facciate di cattedrali; e pensare
che alcune di queste, distrutte dagli eventi bellici, ormai non esistono più.
A volte sul quadrante sono presenti tre
fori di carica: a sinistra quello per la suoneria, a destra quello del tempo
(come in tutti i movimenti con suoneria) ed in più un terzo foro al centro in
basso per la ripetizione (normalmente tirando una cordicina
sono risuonate le ore ed i quarti). Attenzione se la distanza di tale foro dal
centro del quadrante è rilevante, siamo davanti a movimenti francesi o
svizzeri, in cui la carica è sempre di almeno otto giorni; se invece esso è
appena sotto il perno delle lancette, siamo di fronte a movimenti austriaci con
carca di norma molto più breve, prevalentemente di
trentasei ore. I movimenti austriaci sono generalmente quadrati con la suoneria
dei quarti e delle ore su gong. Attenzione raramente si tratta d’orologi di
qualità, il biedermeier impose alcune caratteristiche estetiche come: elementi
decorativi torniti in alabastro e casse spesso ebanizzate,
ma per avere un basso costo le figure sono sempre intagliate nel legno, invece
che fuse, ed i decori sono stampati in lamierino (i decori in lamierino
arrivarono in Italia dal 1820). Tali prodotti sono quasi sempre posteriori
all’Impero e sovente della seconda metà dell’Ottocento. Ricordiamoci sempre che
la quantità di manodopera non era in epoca decisiva per la definizione dei
costi, dato il suo basso prezzo, al contrario i materiali, soprattutto le
costose fusioni dorate a fiamma, sono sempre, insieme all’eccellenza della
lavorazione, il più sicuro indice di qualità. Dello stesso genere, ma più
interessanti soprattutto per l’ingegnosità un po’ ingenua che le caratterizza
sono le pendole austriache, che presentano sul quadrante automi.
Vediamo nel dettaglio quali elementi ci
consentono una datazione abbastanza certa; naturalmente esistono sempre le
eccezioni.
Fino circa al 1805 i movimenti
presentano una tipica disposizione dei piastrini, che risultano laterali al
punto delle ore sei. Ciò consentiva di tagliare la parte inferiore delle
platine per permettere di appoggiare su di un piano il movimento, senza che
questi rotolasse, durante le varie operazioni di regolazione e montaggio del
pendolo. Dal 1805 gli orologiai applicarono al banco di lavoro un supporto con
una pinza con cui afferrare il piastrino, che a tal fine fu spostato alle ore
sei, e mantenere saldo e verticale il movimento. Ne consegue che non fu più
necessario né possibile il taglio summenzionato delle platine. Questa
configurazione crea uno spartiacque certo tra movimenti anteriori e posteriori, visto che tale accorgimento tecnico fu
universalmente adottato nel volgere di pochi anni.
La forchetta che dà l’impulso al pendolo
è di norma fino al 1830 di forma rettangolare, costruita con un filo quadrato.
Tale rettangolo può presentare un’apertura laterale per facilitare
l’inserimento del pendolo. A volte invece tale rettangolo è stato troncato
parzialmente sempre per facilitare l’inserzione del pendolo ed a tale scopo,
dopo di questa data esso è costruito con due listelli piatti e smussati
all’estremità, come appunto i rebbi di una forchetta da dolce.
La sospensione del pendolo ad un filo di
seta è sostituita dal 1850 dalla sospensione inventata da Achille Brocot (1817-74), costituita da una lamella d’acciaio
regolabile in altezza. Tale metodo brevettato non fu però adottato
universalmente, ma diversi orologiai continuarono per molti anni ad usare la
sospensione a filo. Per contro movimenti più antichi furono modificati con la
più efficiente sospensione Brocot nelle successive
revisioni. Normalmente tale modifica è riconoscibile per la presenza di fori
sulla platina posteriore, che testimoniano la rimozione del rocchetto cui si
avvolgeva il filo per regolarlo; oppure da un’inclinazione eccessiva
dell’alberino per adattare la regolazione dal quadrante della sospensione Brocot, che generalmente è più bassa di quell’originale. La sospensione a filo non è dunque elemento
di datazione certo al cento per cento.
La forma dei raggi della ruota partitora
della suoneria visibile posteriormente permette un’approssimativa datazione;
sempre dopo il 1830 da trapezoidali essi diventano perfettamente rettangolari.
La suoneria con il gong (un filo d’acciaio avvolto a spirale) al posto della
campanella di bronzo, indica una produzione ottocentesca, di norma dalla
Restaurazione in poi.
La presenza di una campana in vetro
soffiato ad ogiva in un sol pezzo è pure indice di una produzione posteriore
all’Impero. Le più rare campane anteriori erano costruite in tre pezzi uniti da
cornici. È tipico della nascente borghesia, cui tali orologi erano ormai
destinati, il desiderio di preservare il più possibile dall’usura provocata
dalla polvere i movimenti in modo da poterli lasciare in eredità e di allungare
i tempi delle costose revisioni periodiche. Anche le altre forme di protezione,
come la presenza contemporanea degli sportellini anteriori e posteriori, o di
fogli di zinco intorno al movimento od all’interno del basamento (la produzione
di lastre di zinco diventa economicamente conveniente dopo il 1820) e la
presenza di cerchietti di protezione del quadrante, intorno ai fori di carica,
è indicativa di produzione tarda. La vicinanza dei fori di carica sul quadrante
è pure di massima indicazione di produzione moderna. La suoneria dei quarti e
delle ore mediante rastrelli è stata ampiamente utilizzata dopo il 1830. Il
trittico, termine con cui si designa un orologio provvisto di due elementi
decorativi della stessa tipologia da collocarsi lateralmente, è di norma indice di produzione posteriore al 1830. Sempre a Brocot intorno al 1840 è dovuta
l’invenzione dello scappamento, che porta il suo nome, esso è ben riconoscibile
perché è spesso presente a vista sul quadrante.
Per l’orologio da tasca segnaliamo
l’invenzione nel 1842 della regolazione per mezzo della medesima rotella di
carica posta nel pendente ad opera del francese Adrien Philippe (1815-90).
Risale al 1865 la costruzione da parte
di Georg Frederik Roskopf (1813-89) in Svizzera del suo celebre e
diffusissimo orologio, solido ed economico, definito all’epoca l’orologio del
povero.
Quanto già detto nella scheda precedente
sul calibro Lepine portò da circa il 1820 alla
scomparsa, soprattutto in Francia ed in Svizzera, del conoide e del ponte
traforato del bilanciere.
La produzione dal 1820 di pietre
artificiali forate da usare come cuscinetti, ebbe la conseguenza di diffonderle
da tale data anche in orologi non eccezionali.
È necessario ricordarsi che i quadranti
antichi sono di bronzo dorato od argentato e di rame smaltato; invece quelli di
porcellana sono della fine dell’Ottocento.
Naturalmente la doratura galvanica,
divenuta comune dopo il 1830, è sempre segno di produzione tarda. Essa è
riconoscibile dalla presenza della doratura anche nelle parti interne, perché è
eseguita per immersione di tutto il pezzo nel bagno galvanico, cosa che non
avviene mai in quella a fuoco; inoltre le parti lisce appaiono meglio
conservate di quelle scolpite, mentre nella doratura antica è esattamente il
contrario.
Le fusioni in leghe di piombo o di
zinco, come l’antimonio, sono sempre tarde, perchè il loro basso punto di
fusione esige una doratura a freddo come appunto quella galvanica; esse
permettevano notevoli risparmi: sia sul costo delle fusioni, che su quello del
cesello, che non era quasi più necessario dato che il
diverso metodo di fusione permetteva oggetti interi e abbastanza definiti.
A questo proposito facciamo notare che
più le fusioni risultano frazionate più è probabile si tratti d’oggetti
antichi. Questo sia perché per poter cesellare un oggetto esso non deve essere
coperto, ad esempio da una gamba o da un braccio, che di conseguenza devono
essere smontabili, sia per evitare che il bronzo raffreddandosi non
raggiungesse ogni parte, e ciò era possibile accadesse maggiormente quanto più
erano complesse e grandi le fusioni.
Anche le parti di marmo sono di norma lastronate negli orologi antichi, in massello in quelli
moderni.
Quanto finora detto ci fa capire come
gli anni 1830-40 segnino un cambiamento profondo delle tecniche produttive. Da
tale data comincia quella produzione di massa, che procede inarrestabile fino
ad oggi. È corretto indicare in questi anni il termine dell’orologeria antica e
la nascita di quella moderna. Conseguentemente anche il prezzo degli oggetti
prodotti dopo tale data deve essere di norma ben inferiore a quello dei
precedenti. Naturalmente anche dopo sono costruiti orologi di gran qualità, ma
in linea di massima la produzione moderna, proprio perchè destinata ad un
pubblico d’acquirenti più modesti, dovette tendere al basso costo ed alla
conseguente caduta dei valori artistici sacrificati alla funzionalità, ma anche
alla massificazione.