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Scheda di approfondimento.
Queste schede tecniche d’antiquariato sono
state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro
per la rubrica mensile edita sulla rivista
“L’Informatore Europeo”.
Si
ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte
presso il Tribunale di Bologna (www.peritoarte.it).
Tecnica
d’esecuzione dei modelli in bronzo ed in ottone.
Parte
prima.
In un’opera d’arte si comincia con un disegno. Che
esso sia eseguito dall’artigiano bronzista o commissionato ad un’artista
indipendente, se serve per una fusione artistica, esso deve tenere conto della
caratteristica specifica, che il manufatto finito deve risultare frazionato in
diversi pezzi. Ciò per due motivi fondamentali:
1° le fusioni di piccole dimensioni, soprattutto nel
caso di produzione in serie, consentono una maggiore maneggevolezza e la
possibilità di raggiungere ogni parte della superficie in fase di rinettatura (termine con cui s’indicano le operazioni di
levigatura e di pulizia del grezzo da bave, getti, ecc.) e cesellatura
(rifinitura con ceselli; appositi strumenti, della forma di scalpelli
terminanti con varie punte adatte ad imprimere, con piccoli colpi di martello,
la superficie metallica da trattare).
2° grazie alle dimensioni ridotte il metallo fuso
resta minor tempo a contatto con la terra fredda di cui è composto lo stampo,
mantenendosi più fluido, anche alla presenza di spessori modesti, che tendono a
raffreddarsi prima. Tale frazionamento delle dimensioni ed una maggiore
maneggevolezza permettono una riduzione dei costi e soprattutto evitano dannosi
ritiri causati, durante il raffreddamento del metallo, da spessori eccessivi.
Questa necessità, di suddividere l’oggetto, deve
essere prevista già in fase di disegno preparatorio, affinché ad esempio
l’innesto smontabile di un braccio sia mascherato da una piega della veste, un
bracciale, ecc.
Le fusioni antiche devono risultare, ad un attento
esame, nate divise, unite con rivetti, con viti e dadi o saldate. Con l’aumento
dei costi della manodopera, l’avvento della produzione di massa a basso costo e
la conseguente necessità di standardizzarne i processi di lavorazione, le
fusioni tenderanno ad essere sempre meno rifinite; oggigiorno il cesello è
relegato quasi esclusivamente ai lavori di gioielleria.
Due sono sostanzialmente i metodi antichi di
fusione: a cera persa (eseguibili con tecnica diretta od indiretta) ed in
terra. La cera persa si utilizza soprattutto per le opere di maggior
qualità ed in tutti i casi in cui sono presenti notevoli sottosquadri nel
modello (per sottosquadro s’intende qualunque parte posta su un piano
sottostante quelli superiori e per questo motivo tale da rendere impossibile
l’estrazione di uno stampo in un sol pezzo, come ad esempio il dietro di un
braccio o di una piega della veste); essa avviene tramite l’utilizzo appunto di
cera. La fusione in terra si ottiene producendo direttamente lo stampo di terra
refrattaria e s’impiega per le opere piane od anche a tuttotondo, ma con
moderati sottosquadri, come ad esempio le maniglie dei mobili.
Fusione diretta a cera persa.
Per i pezzi cavi su di un telaio di ferro si plasma
approssimativamente la figura, che si vuole ottenere, impiegando vari
materiali: terre refrattarie, gesso, mattoni in pezzi, ed altro; in modo da
conferire all’impasto resistenza e permeabilità. Quando il lavoro ha raggiunto
la forma desiderata, lo si ricopre con un sottile strato di terra refrattaria
(terra resistente alle alte temperature) fine, sufficientemente liquida da
essere stesa a pennello. Trascorso il tempo necessario al suo indurimento, si
riveste interamente il manufatto, che fungerà da anima, con un congruo spessore
di cera, e si modella finemente nei minimi particolari. Si applicano a caldo,
in vari punti suggeriti dall’esperienza, le “canne” (aste di cera di vari
diametri, preparate allo scopo), che serviranno sia per l’alimentazione, sia
per l’uscita del metallo fuso, durante la colata. S’infiggono, attraverso lo
strato di cera, nell’anima dei chiodi, che si lasciano sporgere e che
serviranno a mantenere in posizione l’anima durante la colata stessa. I pezzi
piani vengono eseguiti direttamente in cera. Poi in entrambi i casi si procede
alla copertura completa del tutto con il mantello (che fungerà da stampo),
eseguito dapprima con uno strato di terra fine diluita stesa a pennello e poi
con l’apposizione di altra terra più consistente; fino ad ottenere uno spessore
adeguato a sostenere la pressione esercitata dal peso del metallo fuso durante
la colata.
Dopo essiccamento completo della terra, si cuoce il
tutto, generalmente in forni adatti al recupero della cera, che si liquefa (perdendosi,
da cui cera persa) lasciando vuoto lo spazio tra l’anima ed il mantello, che
sarà poi occupato dal metallo fuso; quindi elevando la temperatura si
vaporizzano completamente le tracce residue di cera. Quando lo spessore del
mantello è sufficiente a contenere la pressione idrostatica del metallo fuso,
si esegue direttamente la colata. Altrimenti, ad esempio per le campane, si
deve preventivamente procedere, al seppellimento in sabbia asciutta dell’intero
stampo in un contenitore, normalmente una buca. Alla fine si libera la fusione,
rompendo il mantello e se presente estraendo l’anima. Il fonditore elimina, con
sega e lime, i getti in corrispondenza di ogni canale di alimentazione e di
sfogo (rinettatura), indi il cesellatore rifinisce
con raschietti e ceselli (cesellatura) tutta la superficie, che bisogna
ricordare appare più o meno ruvida secondo la finezza della terra refrattaria
utilizzata. Questo sistema relativamente rapido permette di eseguire una sola
fusione e non consente quindi né errori né repliche. Esso è riconoscibile
dall’assenza di tracce di creste, riscontrabili a volte nei manufatti eseguiti
con la fusione indiretta. Nei lavori più belli la prima fusione era lavorata
con particolare cura e con un cesello più marcato al fine di servire quale
modello definitivo per la tecnica della fusione indiretta.
Altro metodo utilizzato per alcuni lavori artistici
di pregio e serie più limitate, consiste nel ricavare lo stampo del modello
spalmandolo con gelatine animali, che, restando morbide e che permettono di
sfilarlo come una specie di guanto. Anche queste gelatine vengono racchiuse in
una forma di gesso, con lo scopo di mantenerle in posizione al momento della
colata della cera; questa calda incontra la superefice
umida e fredda dello stampo in gelatina, che ne favorisce il raffreddamento.
Questo modello in cera è poi lavorato come descritto in precedenza; in questo
caso la cera raffreddandosi si ritira e la fusione risulterà già per questo più
piccola del modello.
Fusione indiretta a cera persa.
Sull’originale dello scultore, eseguito in argilla,
in gesso, in cera od in legno intagliato, una volta applicata una mano di
antiaderente (il più usato in antico era la polvere di grafite) si procede alla
costruzione di uno stampo di gesso suddiviso in vari tasselli (più o meno come
descritto la volta scorsa per i modelli di gesso). I tasselli si eseguono
stendendo il gesso con un pennello e poi con delle spatole, coprendo la più
ampia superficie possibile senza che risultino sottosquadri. I bordi di questo
tassello devono essere piani, perpendicolari alla superficie e d’adeguato
spessore. Su tali bordi si devono ricavare nicchie (riscontri femmina); anche
sui tasselli, una volta seccati, si stende un antiaderente. Si procede allo
stesso modo per i tasselli vicini successivi, che risulteranno provvisti sia di
riscontri maschi, in prossimità di quelli contigui femmina, sia femmina, ove
ulteriormente ricavati. E’ necessario studiare con cura il percorso del profilo
dei tasselli, al fine di coprirne con il minor numero tutta la superficie del
modello. Completato ed indurito tale guscio di gesso si estraggono, a
cominciare dall’ultimo realizzato, i tasselli, se ne rifilano le sbavature e si
stende anche sulle superfici interne una mano di antiaderente. A questo punto
si preme uno strato adeguato di cera malleabile sulla faccia interna d’ogni
tassello. Dopo aver rifilato la cera in esubero, si ricompone l’intero guscio,
libero dal modello, legandolo con corde o filo di ferro e si cola della malta
refrattaria all’interno, da uno o più fori appositamente ricavati. Tale malta
una volta indurita regge, dopo aver tolto i tasselli di gesso, un involucro di
cera (la futura fusione), che la ricopre e ne costituisce l’anima. Da questo
punto si procede come per la fusione diretta, con il vantaggio di conservare lo
stampo di gesso, nel caso d’insuccesso della prima colata o per la produzione
di successive repliche. Questa era la metodologia più usata nella produzione
seriale, come ad esempio quella delle pendole. Lo stampo di gesso è soggetto a
deteriorarsi e può essere utilizzato solo per poche volte, poi è necessario
rifarlo.
In tali prodotti si possono a volte riconoscere, con
un attento esame, sia tracce dei getti di fusione, che delle creste prodottesi
nella cera tra tassello e tassello e perfino all’interno delle fusioni le
impronte lasciate dai polpastrelli nel pressare la cera negli stampi.
Pure con la fusione indiretta si perde il modello di
cera, da qui il nome di “cera persa” dato anche a questa tecnica, che richiede
la preparazione di una nuova “cera” ogni volta e la ripetizione di tutte le
operazioni di rifinitura manuale descritte; per questo motivo nessuna di tali
fusioni è identica ad un’altra.
Durante il raffreddamento del metallo colato nello
stampo avviene un ritiro con riduzione delle misure rispetto al modello di
partenza; percui la fusione realizzata sarà sempre
più piccola del modello originale.
Pierdario Santoro