SCHEDA DI APPROFONDIMENTO.
Queste
schede tecniche d’antiquariato sono state scritte dall’antiquario Pierdario
Santoro, con la collaborazione della moglie Mara Bortolotto, per la rubrica
mensile edita sulla rivista “L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da
foto e didascalie, qui non riportate.
Il processo di stampa di immagini
artistiche. Il bulino.
Il bulino è il più antico procedimento
calcografico e prende il nome dallo strumento usato per incidere il metallo.
L'origine risale alla prima metà del Quattrocento e deriva dalla tecnica usata
sui metalli fin dal Medio Evo dagli orafi, che impiegavano il bulino per
ottenere incavi nelle lamine, generalmente d'argento, poi colmati per rendere evidente
il disegno, con una mistura nera chiamata nigellum
(niello, composto di rame, argento, piombo, zolfo e borace). Quando per un
controllo del cesello si mise nei solchi al posto del niello una mistura simile
di inchiostro denso e si vide che questi lasciavano la loro impronta sulla
carta umida si ebbero le prime impressioni a bulino. Con il nome di niello si
indicò tanto la lamina incisa, quanto l'impressione su carta. Successivamente
si pensò di stampare su carta le matrici metalliche incise, con un torchio a
cilindri e solo allora nacque la moderna incisione a bulino, di conseguenza la
tecnica calcografica. Lo strumento per incidere a bulino è formato da una
sottile sbarra di acciaio temperato con un’estremità (detta becco) tagliata
trasversalmente ed affilata, di sezioni diverse: quadrata, triangolare, a
losanga, ecc. L'altra estremità è infissa in un’impugnatura di legno a forma di
mezza sfera che si adatta alla mano dell'incisore, permettendogli di conferire
con il palmo della mano una spinta costante in avanti, facendo forza con il
gomito e la spalla, e di esercitare contemporaneamente una pressione con
l'indice sul ferro verso il basso. L'inclinazione del bulino rispetto la
superficie della lastra dipende dal tipo di affilatura del bulino stesso, ma in
generale si tiene l’attrezzo quasi parallelo al piano. Per incidere si pone la
lastra su di un cuscinetto di cuoio pieno di sabbia, in modo che possa essere
tenuta ferma o spostata facilmente durante il lavoro. Per le curve si fa
ruotare la lastra con la mano sinistra, mentre il bulino deve rimanere
pressoché dritto. Si possono effettuare solo curve ampie e regolari assieme a
caratteristiche lente ondulazioni. Mentre il bulino asporta il metallo, davanti
alla punta si forma un riccio, che si stacca da solo, ma la pressione del
bulino crea ai bordi del segno due leggere sopraelevazioni (barbe) che alla
fine del lavoro vanno eliminate con raschiatoio e brunitoio. I segni incisi
trattengono l'inchiostro per la stampa. I solchi realizzati presentano pareti perfettamente
rettilinee e permettono di ottenere un segno particolarmente netto e preciso,
con un inizio e termine appuntito, determinato dall’entrata e l’uscita della
punta nel metallo, e con variazioni della larghezza e della profondità, cui
corrispondono grigi più o meno intensi, all’interno di uno stesso tratto; ciò
non avviene con l’acquaforte e sono caratteri distintivi di questa tecnica. Nel
Puntasecca.
Si definisce “puntasecca” l’incisione
del disegno ottenuta con la pressione di una punta sulla lastra senza
asportarne il metallo, come avviene con il bulino; in pratica graffiandola. Lo
strumento utilizzato è in prevalenza una punta affilata di acciaio o una punta
di diamante impugnate come una matita. Con una diversa pressione esercitata
sulla punta si determina la variazione di profondità del solco, che può anche
essere molto fondo, mentre la larghezza è sempre piuttosto limitata; e che
stampato, darà un segno più o meno intenso. Nonostante la maggiore
maneggevolezza rispetto al bulino restano i limiti dovuti alla resistenza del
metallo, che impediscono di eseguire curve strette e regolari o segni
tremolanti. Esercitando una pressione sulla lastra per tracciare i segni, la
punta penetra nel metallo, spostando sui lati del solco sottili lamine, dette
"barbe", che nella fase di stampa trattengono l'inchiostro, dando
come risultato un segno vellutato e pastoso, simile ad un disegno a penna,
caratteristica peculiare di questa tecnica. Queste barbe vengono
staccate o schiacciate durante la pulitura della lastra o sotto la pressione
del torchio, per questo il segno diminuisce di forza dopo la stampa di pochi
esemplari. L’utilizzo di lastre tenere, prevalentemente di rame, facilita il
lavoro, ma lo rende ancor meno resistente. Per queste sue caratteristiche la
puntasecca non si presta come tecnica riproduttiva di ampie serie, potendosi
stampare da dieci ad un massimo di quaranta fogli secondo le punte e le lastre
usate per l’incisione. Con l’acciaiatura (tecnica di deposizione elettrolitica
disponibile dal 1834) si può arrivare a tirarne qualche centinaio, ma a scapito
della qualità. Nel
Punzone
o interassile.
Il punzone è un'incisone diretta che è
eseguita su di una lastra di rame o zinco senza l'intervento di acidi, come nel
bulino. Ma a differenza del bulino si usa un attrezzo chiamato per l'appunto
punzone (in inglese stippling tool)
che serve ad imprimere la lastra creando una serie di punti che daranno nel
loro insieme la figura desiderata. Tale becchettatura o punzonatura crea delle
barbe sul metallo, che come nella puntasecca possono essere lasciate o
eliminate secondo l’effetto che si vuole ottenere.
Maniera
nera o mezzotinto.
La tecnica d'incisione della maniera
nera o mezzotinto fu inventata nel 1642 dal tedesco Ludwig von Siegen
(1609-1680) ed ebbe il suo maggiore sviluppo nell'Inghilterra del Settecento.
Arrivò alla sua perfezione formale, quando l'incisore Abraham Blooteling (1640-90) costruì nel 1671 quello che fu
considerato in seguito lo strumento classico per la granitura delle lastre a mezzotinto il pettine detto: rocker dagli inglesi, wiegen dai
tedeschi e berceau dai francesi. Esso
è composto di una piccola mezzaluna d'acciaio il cui tagliente anziché avere un
filo continuo è formato da un’acuminata seria di punte ed un manico centrale
per l'impugnatura.
La maniera nera nacque in un periodo in
cui era molto diffusa l'incisione di riproduzione e in quel senso si sviluppò,
consentendo tonalità liquide, trasparenze e sfumature finissime con cui
riprodurre e diffondere i soggetti dipinti dai grandi maestri. Ebbe fortuna
soprattutto nel Settecento e nell’Ottocento per poi essere soppiantata decisamente
dalle più sofisticate tecniche di riproduzione fotografica. Oggi sono
pochissimi gli incisori che praticano la maniera nera e che ne percorrono i
caratteri espressivi in modo autonomo; infatti, è un metodo di
incisione particolarmente faticoso e lento.
Per realizzare un'incisione alla
maniera nera è indispensabile l'uso di una matrice di rame ricotto (tenero),
accuratamente lisciata, su cui fare la preparazione di fondo con il pettine, la
cui azione deve essere ondeggiante con un leggero avanzamento incrociando i
passaggi in modo da lasciare sul rame piccoli segni puntiformi uniformemente
distribuiti. I segni sono della stessa natura delle tracce lasciate dalla
puntasecca. La preparazione è terminata, quando non esiste più alcuno spazio
della matrice esente dalle tracce del pettine. La maniera nera inverte il
processo creativo consueto del pittore-incisore, che normalmente procede nel
suo lavoro aggiungendo segno a segno, tono a tono. In questo caso si tratta
invece di togliere il nero di fondo, che sarebbe stampato dalla lastra granita,
procedendo attraverso l'infinita gamma dei grigi fino al bianco. Si agisce
direttamente con due strumenti: il brunitoio e, per le campiture grandi, il
raschietto. Il brunitoio è uno strumento costituito da un manico terminante con
un puntale di acciaio a forma di piccola unghia allungata e liscia, con il
quale si abbassano le barbe lasciate sul rame dal pettine, mentre con il
raschietto si possono eliminare. La tiratura che si può ottenere da una lastra
incisa in questo modo è costituita da non molti esemplari, al massimo una
quarantina. Il mezzotinto si riconosce dalla trama
del tratteggio fitto e meccanico realizzato dal pettine, dalla varietà e
pastosità dei neri e dai veri e propri passaggi chiaroscurali, che solo esso consente
appieno.