SCHEDA DI
APPROFONDIMENTO.
Queste schede tecniche d’antiquariato
sono state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro, con la collaborazione
della moglie Mara Bortolotto, per la rubrica mensile edita sulla rivista
“L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non
riportate.
Il processo di stampa
di immagini artistiche. Xilografia.
La xilografia è un’incisione in rilievo. La matrice è una tavola
di legno (preferite le essenze come il ciliegio ed il pero piuttosto che
l’acero o la quercia meno plastici), di uno spessore corrispondente a quello
dei caratteri tipografici mobili (mm. 20-24) assieme ai quali era sovente
stampata. Il legno è detto di "filo" se la tavola è tagliata
longitudinalmente rispetto al tronco oppure di "testa" (introdotta
dal 1775, per merito di Thomas Bewick
1753-1828) se tagliata trasversalmente. La prima è più morbida, meno precisa ed
incisa con sgorbie e scalpelli; ottenendo un effetto pittorico. Nel secondo
caso le matrici di legno di testa, fabbricate unendo insieme diversi tasselli
compatti e privi di venature, solitamente di bosso, possono essere incise con
il bulino, con linee molto sottili e ravvicinate, come nell’incisione su
metallo e con gli stessi effetti, producendo quindi disegni assai ricchi e
dettagliati, anche se quasi fotografici ed un po’ freddi; inoltre la matrice
essendo assemblata non è vincolata dalle dimensioni del tronco, potendosi unire
quanti tasselli si vogliano. Il disegno sulla tavola è quindi realizzato in
rilievo. Le parti scavate risulteranno alla stampa bianche,
mentre quelle in rilievo risulteranno nere. Le prime stampe su carta ricavate
da matrici di legno incise sono state realizzate in Cina e risalgono al VIII
secolo. In Europa, sulla base di alcuni documenti si deduce che la produzione
delle prime xilografie (semplici figure di santi e carte da gioco) debba
risalire alla fine del
Il bulino.
Il bulino è il più
antico procedimento calcografico e prende il nome dallo strumento utilizzato
per incidere il metallo. L'origine risale alla prima metà del Quattrocento e
deriva dalla tecnica usata sui metalli fin dal Medio Evo dagli orafi, che
impiegavano il bulino per ottenere incavi nelle lamine, generalmente d'argento,
poi colmati per rendere evidente il disegno, con una mistura nera chiamata nigellum (Niello, composto di: rame, argento, piombo, zolfo
e borace). Quando per un controllo del cesello si mise nei solchi al posto del
niello una mistura simile di inchiostro denso e si vide che questi lasciavano
la loro impronta sulla carta umida si ebbero le prime impressioni a bulino. Con
il nome di niello si indicò tanto la lamina incisa, quanto l'impressione su
carta. Successivamente si pensò di stampare su carta le matrici metalliche
incise, con un torchio a cilindri e solo allora nacque la moderna incisione a
bulino, di conseguenza la tecnica calcografica. Lo strumento per incidere a
bulino è formato da una sottile sbarra di acciaio temperato con un’estremità
(detta becco) tagliata trasversalmente ed affilata, di sezioni diverse:
quadrata, triangolare, a losanga, ecc. L'altra estremità è infissa in
un’impugnatura di legno a forma di mezza sfera che si adatta alla mano
dell'incisore, permettendogli di conferire con il palmo della mano una spinta
costante in avanti, facendo forza con il gomito e la spalla, e di esercitare
contemporaneamente una pressione con l'indice sul ferro verso il basso.
L'inclinazione del bulino rispetto la superficie della lastra dipende dal tipo
di affilatura del bulino stesso, ma in generale si tiene l’attrezzo quasi
parallelo al piano. Per incidere si pone la lastra su di un cuscinetto di cuoio
pieno di sabbia, in modo che possa essere tenuta ferma o spostata facilmente
durante il lavoro ruotandolo. Per le curve si fa ruotare la lastra con la mano
sinistra, mentre il bulino deve rimanere pressoché dritto. Si possono
effettuare solo curve ampie e regolari assieme a caratteristiche lente
ondulazioni. Mentre il bulino asporta il metallo, davanti alla punta si forma
un riccio, che si stacca da solo, ma la pressione del bulino crea ai bordi del
segno due leggere sopraelevazioni (barbe) che alla fine del lavoro vanno
eliminate con raschiatoio e brunitoio. I segni incisi trattengono l'inchiostro
per la stampa. I solchi realizzati presentano pareti perfettamente rettilinee e
permettono di ottenere un segno particolarmente netto e preciso, con un inizio
e termine appuntito, determinato dall’entrata e l’uscita della punta nel
metallo, e con variazioni della larghezza e della profondità, cui corrispondono
grigi più o meno intensi, all’interno di uno stesso tratto; ciò non avviene con
l’acquaforte e sono caratteri distintivi di questa tecnica. Nel
Puntasecca.
Si definisce
“puntasecca” l’incisione del disegno ottenuta con la pressione di una punta
sulla lastra senza asportarne il metallo, come avviene con il bulino; in
pratica graffiandola. Lo strumento utilizzato è in prevalenza una punta
affilata di acciaio o una punta di diamante impugnate come una matita. Con una
diversa pressione esercitata sulla punta si determina la variazione di profondità
del solco, che può anche essere molto fondo, mentre la larghezza è sempre
piuttosto limitata; e che stampato, darà un segno più o meno intenso.
Nonostante la maggiore maneggevolezza rispetto al bulino restano i limiti
dovuti alla resistenza del metallo, che impediscono di eseguire curve strette e
regolari o segni tremolanti. Esercitando una pressione sulla lastra per
tracciare i segni, la punta penetra nel metallo, spostando sui lati del solco
sottili lamine, dette barbe, che
nella fase di stampa trattengono l'inchiostro, dando come risultato un segno
vellutato e pastoso, simile ad un disegno a penna, caratteristica peculiare di
questa tecnica. Queste barbe vengono staccate o
schiacciate durante la pulitura della lastra o sotto la pressione del torchio,
per questo il segno diminuisce di forza dopo la stampa di pochi esemplari.
L’utilizzo di lastre tenere, prevalentemente di rame, facilita il lavoro, ma lo
rende ancor meno resistente. Per queste sue caratteristiche la puntasecca non
si presta come tecnica riproduttiva di ampie serie, potendosi stampare da dieci
ad un massimo di quaranta fogli secondo le punte e le lastre usate per
l’incisione. Con l’acciaiatura (tecnica di deposizione elettrolitica
disponibile dal 1834) si può arrivare a tirarne qualche centinaio, ma a scapito
della qualità. Nel
Punzone o interassile.
Il punzone è
un'incisone diretta che è eseguita su di una lastra di rame o zinco senza l'intervento
di acidi, come nel bulino. Ma a differenza del bulino si usa un attrezzo
chiamato per l'appunto punzone (in inglese stippling tool) che serve ad imprimere la lastra creando una serie di
punti che daranno nel loro insieme la figura desiderata. Tale becchettatura o
punzonatura crea delle barbe sul metallo, che come nella puntasecca possono
essere lasciate o eliminate secondo l’effetto che si vuole ottenere.
Maniera nera o mezzotinto.
La tecnica d'incisione
della maniera nera o mezzotinto fu inventata nel 1642
dal tedesco Ludwig von Siegen (1609-1680) ed ebbe il suo maggiore sviluppo
nell'Inghilterra del Settecento. Arrivò alla sua perfezione formale, quando
l'incisore Abraham Blooteling (1640-90) costruì nel
1671 quello che fu considerato in seguito lo strumento classico per la
granitura delle lastre a mezzotinto il pettine detto:
rocker
dagli inglesi, wiegen
dai tedeschi e berceau dai francesi.
Esso è composto di una piccola mezzaluna d'acciaio il cui tagliente anziché
avere un filo continuo è formato da un’acuminata seria di punte ed un manico
centrale per l'impugnatura.
La maniera nera nacque
in un periodo in cui era molto diffusa l'incisione di riproduzione e in quel
senso si sviluppò, consentendo tonalità liquide, trasparenze e sfumature
finissime con cui riprodurre e diffondere i soggetti dipinti dai grandi
maestri. Ebbe fortuna soprattutto nel Settecento e nell’Ottocento per poi
essere soppiantata decisamente dalle più sofisticate tecniche di riproduzione
fotografica. Oggi sono pochissimi gli incisori che praticano la maniera nera e
che ne percorrono i caratteri espressivi in modo autonomo; infatti, è un metodo
di incisione particolarmente faticoso e lento.
Per realizzare
un'incisione alla maniera nera è indispensabile l'uso di una matrice di rame
ricotto (tenero), accuratamente lisciata, su cui fare la preparazione di fondo
con il pettine, la cui azione deve essere ondeggiante con un leggero
avanzamento incrociando i passaggi in modo da lasciare sul rame piccoli segni
puntiformi uniformemente distribuiti. I segni sono della stessa natura delle
tracce lasciate dalla puntasecca. La preparazione è terminata, quando non
esiste più alcuno spazio della matrice esente dalle tracce del pettine. La
maniera nera inverte il processo creativo consueto del pittore-incisore, che
normalmente procede nel suo lavoro aggiungendo segno a segno, tono a tono. In
questo caso si tratta invece di togliere il nero di fondo, che sarebbe stampato
dalla lastra granita, procedendo attraverso l'infinita gamma dei grigi fino al
bianco. Si agisce direttamente con due strumenti: il brunitoio e, per le
campiture grandi, il raschietto. Il brunitoio è uno strumento costituito da un
manico terminante con un puntale di acciaio a forma di piccola unghia allungata
e liscia, con il quale si abbassano le barbe lasciate sul rame dal pettine,
mentre con il raschietto si possono eliminare del tutto. La tiratura che si può
ottenere da una lastra incisa in questo modo è costituita da non molti
esemplari, al massimo una quarantina. Il mezzotinto
si riconosce dalla trama del tratteggio fitto e meccanico realizzato dal
pettine, dalla varietà e pastosità dei neri e dai veri e propri passaggi
chiaroscurali, che solo esso consente appieno.