SCHEDA DI
APPROFONDIMENTO.
Queste schede tecniche d’antiquariato
sono state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro, con la collaborazione
della moglie Mara Bortolotto, per la rubrica mensile edita sulla rivista
“L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non
riportate.
Scheda
tecnica, la porcellana.
La porcellana prese il nome da una conchiglia dei mari
orientali,
Diversi esperimenti sono stati fatti fin dal Cinquecento per
tentare di produrre la porcellana, che giungeva dall’Oriente. La così detta
porcellana medicea n’è stato uno dei tentativi più noti (composta di terra di
Vicenza, una sorta di caolino impuro, calce, sabbia bianca, vetro e cristallo
di rocca macinati). La porcellana Ming influenzò
tutte le manifatture di maiolica, che produssero in tutta Europa il bianco e
blu. Nel corso del Seicento tali sforzi portarono alla realizzazione di un
apprezzabile succedaneo della porcellana, quella detta in pasta tenera. Essa
consiste in un insieme di composti: creta bianca, vetro macinato, ecc. la
cottura di queste fritte è inferiore ai 1250 gradi. Per poter fissare i colori
si deve ricorrere ad una terza cottura, che spesso porta alla deformazione od
alla rottura dei manufatti. La produzione è difficoltosa e molto costosa,
perciò non si riesce a realizzarne grandi quantità. Per la rarità e per il suo
aspetto particolarmente cremoso e morbido essa è oggi particolarmente ricercata
dai collezionisti. In Inghilterra si sono fabbricate anche:
la porcellana d’ossa o porcellana calcarea, detta Bone China, composta d’argille bianca e polvere d’ossa; quella detta Soapstone China, fatta di selce calcinata e
steatite (varietà di talco detta anche pietra sapone, in inglese soap);
Il così detto oro bianco è stato inventato dai cinesi, che
utilizzano il caolino (idrosilicato d’alluminio), che
fonde oltre i 1700 gradi, chiamato Kao-Ling (alta
collina, indica il luogo elevato da cui si estrae), miscelato con il pë-tun-tze,
fusibile a base di rocce feldspatiche (silicio d’alluminio), che è conservato
in mattonelle (in cinese pai-tun-tzu
significa mattonella). Per raffinare le polveri si preparavano trenta catini
sovrapposti uno sull’altro, in quello alla sommità si poneva la polvere e poi
si faceva scorrere l’acqua a cascata da un catino all’altro; le polveri si
depositano dalla più grossolana alla più fine, quella dell’ultimo catino era
utilizzata per la realizzazione della famosa pelle d’uovo, una porcellana
trasparentissima appunto di tale spessore. Dopo averlo miscelato si lasciava
riposare l’impasto per molto tempo. Per produrre gli impasti più raffinati
sembra che essi fossero sepolti sottoterra a marcire
per oltre cinquanta anni. Una volta modellati, i
prodotti sono ricoperti da una vernice ottenuta dallo stesso pë-tun-tze.
Durante la cottura, inferiore a quella di fusione del caolino, il pë-tun-tze fonde vetrificando,
legando i grani di caolino e dando al tutto un aspetto lucente. I manufatti
sono protetti dalle fiamme entro cassette di terra refrattaria. S’ignora la
data esatta dell’invenzione della porcellana in Cina, ma si sono trovati vasi protoporcellanosi prodotti già mille anni a.C.
La scoperta della porcellana in pasta dura, come quella
orientale è merito di Johan Friedrich
Böttger, che a Meissen nel
1708 realizzò un impasto di caolino (un’argilla bianca incombustibile, che
mantiene il colore e resta solida durante la cottura, tanto fine che fu usata
anche per incipriare le parrucche), feldspati e
quarzi fusibili cotti ad alta temperatura, tra i 1300 ed i 1400 gradi. Poco
dopo inventò anche una vernice adatta alla “vetrina”, copertura trasparente,
che rende brillante la porcellana.
Curiosamente questo alchimista giunse a tale scoperta, mentre
tentava di produrre l’oro. La transunstanzazione di
una materia in un'altra costituì una delle ossessioni del Settecento; si
comprende quindi quanto l’unione di elementi alchemici fondamentali , quali il fuoco, l’acqua e la terra, stupisse il pubblico,
originando un materiale solidissimo, trasparente ed inattaccabile agli acidi
quale la porcellana.
Questo materiale presenta una superficie compatta e tanto dura
da non potersi incidere con l’acciaio; inoltre per fissare i colori sono
necessarie solo due cotture. L’alta temperatura di cottura del biscotto, così
si chiama la porcellana non coperta da vetrina con cui si realizzarono i
bianchi biscuit, permette successive
cotture a piccolo fuoco senza subire conseguenze perniciose. La proporzione media
a secondo delle manifatture era di 40/65 % di caolino,
15/35 % di feldspati, 12/30 % di quarzi. Il problema
maggiore è costituito dal ritiro del manufatto verde (cioè ancora crudo) in
fase d’essiccazione, prima della cottura, che può arrivare fino al 20 %. Nell’impasto cinese sono presenti il 2
% circa d’impurità, costituite prevalentemente da mica, che lo rendono
malleabile. Gli europei impiegarono parecchio tempo ad accorgersene, in quanto
setacciavano il materiale per renderlo il più puro possibile e per questo
furono a lungo costretti a servirsi di stampi. Artigiani fuggiti da Meissen rivelarono il segreto a Vienna, che aprì una
fabbrica, e da qui esso giunse a Venezia dove l’orafo Francesco Vezzi fondò nel
1720 la terza manifattura europea. Da questo momento non vi fu principe, che
non volesse una prestigiosa fabbrica di porcellana sui
suoi territori. La produzione della porcellana era così costosa, da richiedere
la protezione dei principi, che a volte si rovinarono per mantenerla attiva.
Solo nell’Ottocento si giunse alla produzione industriale della porcellana,
fino ad utilizzarla anche per manufatti poco costosi, come i sanitari.