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Scheda di approfondimento.
Queste schede tecniche d’antiquariato sono
state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro
per la rubrica mensile edita sulla rivista
“L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non
riportate.
Si
ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte
presso il Tribunale di Bologna (www.peritoarte.it).
Tecnica d’intarsio quinta parte.
Lo smalto presenta per certe
sue tecniche affinità con l’intarsio, soprattutto in quella dello champlevé e l’émail de plique.
Lo smalto unisce in maniera
indissolubile il binomio: arte tecnica.
I primi ritrovamenti datano dall’Età Cuprolitica;
cuprum significa in greco ed in latino rame e da esso
deriva il nome Cipro, dato all’isola greca ricca di depositi di rame e da cui
si rifornirono gli egizi. Con la fusione del metallo si ottennero casualmente
le prime paste vitree. Quelle più antiche documentate sono micenee ed egizie.
Già le notiamo sul pettorale d’Amenemhe’e III
(1840-1792 a.C.). in Grecia si usò principalmente lo smalto cloisonné. A Roma
si utilizzo anche lo champlevé. In Aquitania, in Gallia e nelle isole britanniche intorno al
III secolo a.C. inizia l’applicazione di smalto rosso a gocce su metallo, per
imitare il corallo. È a Bisanzio che l’arte dello smalto si sviluppò ai massimi
livelli. La famosa Pala d’oro, vanto del tesoro di San Marco a Venezia,
proviene dal saccheggio di Costantinopoli del 1204 al termine della IV
crociata. Da Bisanzio tale arte si diffuse un po’ in tutto l’occidente;
esemplari le crocifissioni di Limonges e l’altare di Klosterneuburg (1181) opera di Nicolas de Verdun, uno dei più grandi smaltatori; che è forse il più
grande capolavoro di smalto in assoluto e comunque momento fondamentale della
nascita dell’arte gotica. Alla fine del XIII secolo per opera degli smaltatori
toscani si assiste ad un rinnovamento delle tecniche, con l’abbandono dello champlevé ed il ricorso al basse-taille
ottenuto con nuove pitture trasparenti e traslucide, che ricoprono lastre d’oro
e d’argento sbalzate a cesello ed a bulino.
È Guccio della Mannaia, che tra il 1288 ed il
1292 applica il metodo del “traslucido” all’esemplare più antico conosciuto: il
calice di Niccolò IV ad Assisi. Mirabile esempio di questa tecnica é il
Corporale del tabernacolo del Duomo d’Orvieto per opera d’Ugolino di Vieri e di
Bartolomeo Tommé (circa 1338). Tra Tre e Quattrocento
nasce il ronde bosse,
sviluppato soprattutto come arte di corte, consistente nel coprire con gli
smalti superfici sbalzate ad altorilievo ottenendo effetti madreperlacei opachi
abbinati a contrastanti vivaci rossi e verdi traslucidi. Il Roseto di Altötting donata a Carlo VI di Francia
nel 1404 ne è l’esempio più significativo.
È la città di Limonges a dare origine
ai famosi smalti dipinti, veri e propri ritratti; esemplare l’autoritratto del
pittore Jean Fouquet (1425-80, oggi al Louvre). Nel
1505 nasce Gorge Limosin ( 1575), di cui ricordiamo i “Dodici Apostoli” in S. Pietro a
Chartres (1545-50), eseguiti su disegni del Primaticcio. È il momento di gloria
della smalteria francese. Non possiamo non citare l’altro grande toscano
Benvenuto Cellini (1500-71), sia per gli smalti della
famosa saliera (eseguita per Francesco I, Kunsthistorisches
Museum Vienna) sia ancor più per le note tecniche del suo “Trattato
d’oreficeria”. Dal Seicento l’arte dello smalto è utilizzata sempre più
esclusivamente nell’arte applicata. Diventa consuetudine dipingere su di un
fondo bianco in modo da imitare la porcellana. Da Limonges
il primato passa alla Svizzera. Dopo il 1630, per opera dello svizzero-francese
Jean Toutin (1578-1644), nasce lo smalto dipinto
propriamente detto. (fig. 2) In esso le polveri colorate, polverizzate molto
finemente, sono legate con oli, come quello di papavero, che permettono di
dipingere come con l’acquarello. Si smalta il fondo con un colore chiaro, si
spiana e si lucida perfettamente con abrasivi; e su questo fondo si dipinge per
velature e cotture successive. Alle volte si applicava una vernice finale detta
“fondente”, che rendeva i colori più vivi e le superfici più brillanti. A
Ginevra, nasce il suo allievo Jean I° Petitot
(1607-91), che grazie ai suoi contatti a Londra con il chimico Turquet de Mayerme apprende
l’alchimia dei colori ed entra in contatto con il grande ritrattista Anton Van Dyck (1599-1641); da questo momento egli produce su smalto
i ritratti eseguiti dai maggiori pittori del tempo La dinastia degli Huaud, sempre a Ginevra, chiude il Seicento ed apre il
Settecento sviluppando anche la miniatura su pergamena e su avorio.
L’invenzione della spirale
per opera di Cristian Huyghens
nel 1675, porta ad un miglior funzionamento degli orologi, ma anche
all’abbandono dei piccoli formati e alla nascita dell’orologio a cipolla, che
con le sue maggiori dimensioni era adatto a contenere il nuovo bilanciere. Lo
smalto è dapprima relegato solo al fondello. Poi con il nuovo stile Rococò
comincia un secolo d’espansione della decorazione su smalto ginevrina, che
adotta i modi sensuali e leggeri dello stile. Il più straordinario tra i
ritrattisti su smalto è senz’altro Jean-Etienne Liotard (!702-89). Alla sua scuola si formano per tutto il
secolo valenti artisti. Verso la fine del secolo la Rivoluzione porta ad una
generale crisi degli smalti di lusso, unico mercato significativo rimane
l’Oriente. Per i cinesi sono spesso fabbricati orologi in coppia, da loro
particolarmente apprezzati. Viene scoperto lo smalto nero, che dà risalto ai
motivi. Parallelamente alla pittura su smalto degli orologi si sviluppa quella
sulle tabacchiere e sulle scatole. Ricordiamo Jean-Luis
Richter (1766-1841), che con l’utilizzo dello smalto fondente realizza paesaggi
realistici di grande fantasia compositiva, ispirati all’Italia oltre che ai
monti svizzeri. Citiamo il nome dei tre maggiori smaltatori parigini del
neoclassicismo: Couteau, Dubuisson
e Merlet; gli ultimi due hanno continuato ad operare
anche durante la restaurazione.
Durante tutto l’Ottocento ci si dedica al paesaggio ed al
ritratto. Ricordiamo il grande ritrattista Charle
Louis François Glardon (1825-87); ma ormai
l’invenzione di Daguerre (il dagherrotipo, 1839,
primo sistema di fotografia su lastra di rame) provoca un appiattimento sulla
riproduzione stereotipa dalle fotografie, con l’abbandono del ritratto dal
vero. Indichiamo da ultimo lo smaltatore Rodolphe Piguet (1840-1915) che dipinse alla maniera degli
impressionisti. Gli ultimi tentativi di modernizzare l’arte sono quelli
francesi Art Nouveau all’inizio del Novecento, come
la splendida collana in oro, smalti, perle e brillanti, (Kunsthandwerk
Museum di Francoforte) di René Lalique (1860-1945); e
quelli russi dell’orafo Carl Fabergé (1846-1920)
Dalla fine dell’Ottocento i metodi diventano sempre più industriali, portando
all’abbandono di quest’arte, che richiede forse troppo tempo per convulsi ritmi
di vita moderni.
Oggi la produzione di vernici a due componenti e delle più
svariate resine ha reso possibile la produzione di metalli verniciati, che
possono essere scambiati, da chi non è particolarmente competente, per smalti.
Il termine smalto deriva dalla parola germanica smaltjan (in
tedesco moderno schmelzen,
fondere). Fino al Medioevo si usava la parola latina vitrum (vetro); e per lungo tempo
quella di vetrina. I componenti dello
smalto sono: silice, borace, piombo, feldspato, soda od in alternativa potassa
e per colorare ossidi metallici. Il borace rende lo smalto meno elastico e la
soda elastico. È necessario raggiungere un perfetto equilibrio tra questi
elementi, in modo da rendere durante la cottura lo smalto adeguato alla
dilatazione del supporto metallico, onde evitare che si distacchi. Il piombo e
la soda danno la brillantezza e la quantità di piombo determina anche la
durezza. Tra i vari ossidi si usava per
certi tipi di giallo l’uranio, produzione oggi abbandonata per ovvi motivi di
sicurezza. I vari materiali sono ridotti in polvere nel mortaio, quindi cotti
fino a fusione e poi gettati in acqua fredda per raffreddarli e soprattutto per
frammentarli. Indi col mortaio si macina in acqua distillata, cambiandola più
volte sino ad eliminare tutte le scorie. Si ottiene cosi lo smalto di base del
colore desiderato, fine come cipria. I mortai erano dapprima d’agata, poi di
porcellana. Lo smalto viene portato sul manufatto per mezzo di pennelli o di
piccoli cucchiai; se la copertura è applicata a superfici uniformi si può
depositare lo smalto con setacci, come si fa con lo zucchero a velo sulle
torte. La temperatura di cottura varia
secondo la durezza e dello smalto dai 700 agli 820 gradi. Gli smalti vanno
preparati di volta in volta ed utilizzati in breve tempo, perché sono
facilmente ossidabili. Non si possono ottenere tonalità diverse miscelando tra
loro gli smalti, come si fa con i colori ad olio, perché essi in cottura si
separano; percui i differenti colori si ottengono
sempre dalla miscelazione degli ossidi, prima della preparazione dello smalto.
Tonalità differenti si ottengono anche per sovrapposizione di smalti diversi in
diverse cotture. Più è alto il titolo dell’argento o dell’oro del supporto, più
sarà brillante lo smalto applicato. Al fine di evitare la deformazione del
supporto metallico il retro deve essere controsmaltato,
in modo da garantire all’oggetto la stessa tensione in entrambe le superfici
durante il raffreddamento dello smalto. Per il cotrosmalto,
non dovendo essere a vista, si utilizzano gli scarti inutilizzati di smalto,
motivo per cui esso si presenta opaco ed irregolare. Lo spessore del supporto
deve essere adeguato in modo da garantire una dilatazione sopportabile dallo
smalto durante la cottura. Spessori eccessivi sono indice spesso di smalti
falsi. Finite le cotture lo smalto e le eventuali inclusioni metalliche possono
essere pareggiate con la limatura. Tutti gli smalti possono essere lucidati a
freddo, ma uno smalto di qualità risulta sicuramente più brillante se il lucido
è ottenuto dall’ultima cottura.
Tipologie.
Lo champlevé (in francese significa
abbassare il fondo) è la tecnica più antica e consiste nel ricavare alveoli da
riempire con lo smalto direttamente nel metallo. Dapprima s’incastonarono a
freddo smalti ad imitazione delle pietre
fuse. Poi si cominciò a fondere lo smalto direttamente negli alveoli; il primo
esempio di tale tecnica è un gioiello sempre egizio e risale al1400-1330 a.C.
ora al Brittish Museum.
Gli alveoli possono essere ottenuti: intagliandoli nel metallo,
per corrosione con acidi, per mezzo di battitura, con la fusione del metallo in
stampi. Data l’irregolarità del fondo si preferivano smalti coprenti. (fig. 1).
Il cloisonné (diviso in francese). È la tecnica più diffusa sia
geograficamente, che storicamente. I romani la usarono contemporaneamente allo champlevé. I
bizantini la predilessero. I cinesi ce ne hanno lasciato splendidi esemplari
soprattutto dell’epoca Ming tra il XIV ed il XVIII secolo. In Europa tende a
sostituire lo champlevé
dal 1100. Esso risulta dall’applicazione, per mezzo di un adesivo (molto
utilizzata è la gomma adragante), direttamente sulla superficie metallica o su
uno smalto di fondo, di fili o di nastri di metallo, che faranno da separatori,
come piccole dighe, tra uno smalto e l’altro, durante e dopo la cottura. Il cloisonné si distingue dallo champlevé per
la maggiore regolarità delle celle.
L’émail de plique (smalto a giorno). È la
tecnica più raffinata. Conobbe particolare fulgore dal XIV al XVI secolo.
Chiamato anche smalto alla cattedrale od a vetrata. La massima resa è ottenuta
su oggetti, che permettono alla luce di attraversarli. Consiste nel riempire
con smalti trasparenti un reticolo per ottenere appunto l’effetto delle vetrate
delle cattedrali. Le finestrature sono ottenute sia con un seghetto, sia con
una trancia meccanica, sia ad acidi, che però è il metodo meno preciso.
Complessa e difficoltosa l’operazione di riempimento che richiede più cotture.
Bisogna fare molta attenzione alle imitazioni in materiali plastici, dato
l’alto costo di questi manufatti. (fig. 4).
Decorazione.
A foglia o a paillons (lamine). Si ottiene
applicando pezzetti di foglia d’oro o d’argento sulla superficie smaltata e
ricoprendo poi il tutto di smalto trasparente. Quella a paillons è la variante, che
implica la lavorazione in rilievo della foglia, ottenendo decori appunto in
rilievo. Non si conosce l’esatta data d’invenzione della lavorazione a pallions, ma dal
XV secolo essa fu introdotta contemporaneamente in Italia ed in Francia.
La damascatura. Consiste nel ricavare sulla
superficie dello smalto un disegno inciso da riempire con uno smalto di diverso
colore. Essa è normalmente ottenuta per mezzo dell’acido fluoridrico, operando
come per le acqueforti.
Il guillochage o flinqué (damascatura,
od incisione sotto smalto). Si ottiene con la lavorazione meccanica o manuale della superficie della placca di
metallo, un modo da ottenere un disegno inciso, che risalterà sotto lo smalto. Cellini ce ne ha lasciato una descrizione. Quando è operata
manualmente, l’effetto chiaroscurale è migliore grazie alla diversa profondità
dei solchi che il cesello dell’artista può calibrare. (fig. 3).
La punta a caldo ed il graffito. Nel primo
caso si opera tracciando il disegno con una punta metallica sullo smalto mentre
è ancora fluido nel forno. Nel secondo dopo una smaltatura, si cosparge di una
seconda mano e, prima della seconda cottura, con una punta di legno si graffia
lo smalto ancora in polvere. In entrambi i casi si ha una superficie in
rilievo.
Analogamente si realizza la lavorazione a
cammeo. Ricordiamo quella di Limonges (chiamata anche
a grisaille), che era ottenuta
sovrapponendo ad uno smalto di fondo scuro uno strato chiaro; poi grattato via
con appositi strumenti fino ad ottenere in trasparenza tonalità diverse, come
appunto nei cammei.
Con le mascherine. Si copre la parte con una
mascherina in modo che lo smalto distribuito con un setaccio si depositi solo
all’interno delle riserve non mascherate o all’esterno di quelle mascherate.