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Scheda di approfondimento.
Queste schede tecniche d’antiquariato sono
state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro
per la rubrica mensile edita sulla rivista “L’Informatore
Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non riportate.
Si
ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte
presso il Tribunale di Bologna (www.peritoarte.it).
Tecnica d’intarsio terza parte.
Illustriamo un procedimento
d’intarsio poco conosciuto: l’intarsio di paglia.
Esso sembra datare dal XIII° secolo, ma conobbe il suo maggior sviluppo nel
Settecento. L’intarsio in paglia consisteva nell’incollare sulla superficie del
legno segmenti di paglia di differenti colori. Si utilizzavano steli di grano,
di orzo o di avena; sia al naturale, che tinti. La paglia si poteva anche
ombreggiare nello stesso modo della placcatura (vedi scheda precedente).
Dapprima si selezionavano gli steli necessari alla composizione, li si apriva
nel senso della lunghezza con l’unghia e li si distendeva con un ferro caldo.
Si procedeva alla tintura, con i diversi colori scelti, delle quantità di fili
necessaria al lavoro. Si eseguiva il disegno dell’intarsio su di un foglio di
carta, lo si ritagliava con un trincetto ottenendo diversi foglietti, come le
tessere di un mosaico, che necessitassero dello stesso tipo di paglia e di
colore. Su di essi con della colla di amido si incollavano i pezzetti di
paglia, dalla parte della superficie interna che è la meno brillante, tagliati leggermente abbondanti. Si poneva
tutto sotto la pressa ed una volta asciugato si tagliava con precisione la
paglia debordante, seguendo la sagoma della tessera di carta. Ottenute tutte le
tessere si ricomponeva l’intarsio incollandole dalla parte della carta e
partendo dal centro verso l’esterno del disegno. Come per l’intarsio in legno
era necessaria la massima precisione, soprattutto perché la paglia non veniva
originariamente verniciata o rifinita in alcun modo, ma lasciata così come si
presentava dopo l’incollaggio. Anche per l’intarsio in paglia si preparavano
filetti preconfezionati come per quello in legno (vedi scheda precedente).
Il Settecento è senz’altro
stato il secolo dell’intarsio. Verso la fine il Neoclassicismo impose
lentamente superfici di colore uniforme con decori dorati.
L’ebanisteria meno ricca
ricorse alla laccatura ed ai profili in legno intagliato e dorato a foglia. Per
la clientela più facoltosa si usarono impiallacciature uniformi d’essenze
esotiche e rare ornate di fusioni in bronzo cesellato e dorato a fuoco. Tale
tendenza portò alla rarefazione dell’intarsio tradizionale. Non dimentichiamo
comunque grandi ebanisti come Maggiolini, che arrivò ad usare fino ad ottanta
essenze diverse e le placcature di legni esotici più costose; o come Jeorges Jacob considerato il più eminente ebanista del
neoclassicismo, che spesso abbinava gli intarsi agli splendidi decori in bronzo
dorato. Ricordiamo che anche in Inghilterra e soprattutto in Russia l’intarsio
continua a caratterizzare gli arredi.
Con la Restaurazione si tornò
all’uso dell’intarsio, con l’utilizzo prevalente di incrostazioni di motivi
scuri su fondi chiari (fig. 4) in quello che è comunemente chiamato stile Carlo
X°. Caratteristica di questo stile fu l’applicazione
degli intarsi sugli zoccoli ed i montanti dei letti a barca; degli schienali,
dei piedi e delle traverse delle sedie; delle cinture, dei basamenti e dei
supporti a lira o a balaustro dei tavoli. Raramente si ricorse all’intarsio
pittorico. Contemporaneamente il Biedermeier preferiva creare contrasti e
decorazioni ricorrendo all’ebanizzazione di particolari e di profili. La
presenza di ebanizzazioni in un mobile dell’Ottocento
è indicazione certa di una data di produzione posteriore al I° Impero, già
influenzata pesantemente dallo stile Biedermeier.
La reazione all’uso eccessivo
di essenze chiare portò al ritorno dell’impiego di legni scuri, dopo la
cacciata di Carlo X° e l’avvento di Luigi Filippo.
La grande produzione di
mobili in legno chiaro con intarsi scuri aveva accumulato, nei laboratori degli
intarsiatori, grandi scorte di intarsi chiari su fondo nero, che come abbiamo
visto nelle precedenti schede sono automaticamente prodotti quali negativi o
contre-partie durante il traforo dei fogli d’impiallacciatura. Si ricorse al
loro utilizzo, in un primo momento per motivi economici, in un secondo perché
ormai di moda. Gli arredi intarsiati di motivi chiari su fondi scuri sono
quindi prodotti in linea di massima dopo il 1830 e devono essere chiamati Luigi
Filippo. E’ estremamente scorretto chiamare tale produzione intarsiata del
secondo quarto dell’Ottocento Carlo X°; come sta
purtroppo diventando di moda. Un esempio per tutti i mobili cosiddetti gigliati
di produzione faentina.
Con la seconda metà
dell’ottocento, grazie al definitivo affermarsi dell’Eclettismo, si produssero
nuovamente mobili con intarsio pittorico. Ricordiamo in Italia gli splendidi
lavori dei Falcini, del Gatti, dei Pogliani, ecc. l’Eclettico insieme con le influenze
orientaleggianti portò anche ad utilizzare per l’intarsio su vasta scala
materiali particolari quali la madreperla, l’osso, la tartaruga, ecc. A questo
proposito bisogna ricordare una tecnica di finto intarsio usata soprattutto sui
piani di papier mâché; si applicava un sottile strato di madreperla,
poi si coprivano con la vernice le parti da salvare e si asportava il resto con
l’acido.
Alla
fine dell’Ottocento il movimento dell’Art Nouveau
riportò in auge la tecnica dell’intarsio con alcune innovazioni significative
soprattutto nell’uso dei materiali; tra cui ricordiamo il galuchat
e la balena.
Il
galuchat, pelle di squalo o di razza, quest’ultima ha
grana più fine ed era utilizzata anche come abrasivo. Prende il nome dal suo
primo utilizzatore, che l’impiegò a Parigi nel 1769; anche se il suo maggiore
uso è dell’inizio del XX° secolo. Si presenta con una
superficie granulosa di colore bianco latte, ma poteva anche essere tinta.
La
balena, così chiamati i fanoni di questo mammifero, di un bel nero. Lunghi fino
a quattro metri e larghi fino a cm. 10. Si lavora dopo bollitura per almeno un
giorno.
Disparati
metodi per imitare i materiali costosi o per semplificare i procedimenti di
lavorazione furono usati in ogni tempo. Ricordiamo ad esempio la cosiddetta
lacca povera (fig. 3), consistente nell’applicazione agli arredi di stampe
edite appositamente; o l’applicazione di paste variamente colorate in
sostituzione dei filetti di legno o di elementi dell’intarsio. La seconda metà
dell’Ottocento conosce una vera
proliferazione di tali artifici, soprattutto nella produzione sempre più
industrializzata di arredi.
Si
applicavano delle carte dipinte sui
piani e poi le si lucidava imitando l’intarsio; e’ facile riconoscere
l’inganno: Più attenzione bisogna mettere nell’identificazione dei più moderni
procedimenti di riproduzione fotografica, che a volte risultano particolarmente
ben eseguiti.
Anche
le materie plastiche dalla loro invenzione sono state utilizzate per esempio in
sostituzione delle scaglie di tartaruga, di quelle di madreperla o dell’avorio.
Naturalmente non bisogna confondere tali utilizzi falsificatori con la ricerca
di nuovi materiali e originali soluzioni estetiche, che portarono durante il
primo Novecento all’impiego di bacheliti, della celluloide o della galalite.