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Scheda di approfondimento.
Queste schede tecniche d’antiquariato sono
state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro
per la rubrica mensile edita sulla rivista “L’Informatore
Europeo”.
Si
ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte
presso il Tribunale di Bologna (www.peritoarte.it).
L’arte dell’intarsio. Parte
prima.
L’arte
dell’intarsio pare essere nata in Asia Minore ad Alicarnasso, dove nel 350 ac.
fu incrostato in marmo il palazzo reale. Ricordiamo anche la magnifica arte
greca che portò al rivestimento in materiali preziosi di alcune famose statue.
In
seguito si sviluppò in Italia sotto l’impero romano, con la denominazione:
“Intarsia” da cui deriva la parola attuale.
Dapprima
si utilizzò la tecnica denominata “certosina”, termine derivato dal suo impiego
nel Medioevo da parte dei frati certosini. Si tratta di un procedimento misto,
consistente nell’intagliare nel supporto di massello cavità e nicchie in cui
alloggiare parti di placcature, tagliate allo scopo, fissate con mastice. Si
utilizzarono per ottenere l’effetto decorativo esclusivamente placcature di
essenze diverse per venatura e colore e materiali preziosi come l’avorio e la
madreperla, ma anche più comuni come l’osso, il corno, alcuni metalli, ecc. Lo
spessore di dette placcature può arrivare ai cinque millimetri. In tempi
recenti tale metodo è stato usato o nel
restauro per sostituire parti d’intarsio mancanti o per incrostare con
materiali nobili (avorio, madreperla, ecc.) i pannelli laccati (tipico esempio
i pannelli dei mobili orientali). Le sedi sono ricavate a scalpello e sgorbia, ed
i pezzi d’intarsio sono normalmente tagliati con lo scalpello; solo i pezzi più
minuti vengono troncati con cesoie e coltelli. Dopo un periodo di relativo
abbandono dal Trecento questa tecnica tornò a diffondersi a Venezia ed in
Lombardia; ricordiamo la famosa bottega degli Embriachi.
Una
certa propensione per il disegno orientaleggiante fa pensare, che il primato
spetti al Veneto. Anche in Toscana
nacquero centri d’eccellenza nell’intarsio; ed è sicuramente lì che si sviluppò
la tecnica di quello detto geometrico.
La
tarsia geometrica. E’ così chiamata per il disegno, che la caratterizza ed i
pezzi di placcatura sono preferibilmente tagliati a scalpello; ciò non permette
di eseguire disegni con curve troppo sinuose. Essa si differenzia da quella
certosina perché realizzata accostando uno all’altro i pezzi dell’intarsio,
tagliati sempre a scalpello, sullo stesso piano, senza ricorrere all’inserimento
in nicchie precedentemente intagliate. E’ ritenuto fondatore della scuola
d’intarsio in Toscana ritenuto Giovanni
di Matteo. Tra i suoi discepoli ricordiamo Baccio e
Piero Pontelli (il primo intarsiò con vedute
prospettiche lo studiolo di Federico da Montefeltro ad Urbino), Domenico da
Prato e soprattutto i fratelli Giuliano e Benedetto da Maiano
(1444-1496); quest’ultimo è stimato Il più famoso intarsiatore toscano ed è
considerato il vero inventore dell’intarsio prospettico e perfezionatore
dell’arte degli effetti pittorici. Dal nome di questi due fratelli origina il
termine dammaianesco indicante le composizioni
geometriche formanti riquadri decorativi.
Solo
dal Quattrocento si cominciarono a tingere le essenze. Cristoforo e Bernardino
da Lendinara scoprirono un procedimento adatto a tingere il legno mediante
bollitura e con tale sistema eseguirono l’intarsio del coro della basilica di Sant’
Antonio di Padova. Tale tintura avveniva anche per mezzo d’oli colorati
penetranti. Giovanni da Verona introdusse tale tecnica in Toscana utilizzando e
perfezionando, all’inizio del XVI° secolo, l’uso di
colori molto vari, ricorrendo anche all’ombreggiatura delle tarsie con acidi e per
mezzo del fuoco; nel 1503-05 intarsiò gli stalli del coro di monte Uliveto.
L’intarsio
geometrico è particolarmente adatto a porre in risalto le opere rinascimentali;
ricorrendo, in maniera spesso replicata molte volte, a decori quadrati,
rettangolari, poligonali, a stella, ecc. La ripetizione di tali motivi con
l’impiego di tarsie spesso minute dà origine alla tecnica dell’intarsio a toppo,
in grado di assicurare la regolarità di queste ripetizioni ed un’accelerazione
consistente della lavorazione.
L’intarsio
a toppo, detto pure a blocco, costituisce l’inizio di una lavorazione industriale,
che conoscerà grande sviluppo tra il Sette e l’Ottocento a Sorrento ed a Rolo,
evolvendo anche nel micro mosaico.
Esso
consiste nell’incollaggio di bacchette di legno disposte in fasci. Si ottiene
così all’estremità, in testa, il motivo desiderato. Costruito tale blocco di
legno, viene interamente affettato in sottili lamelle di disegno uno uguale
all’altro. Accostando questi elementi prefabbricati si possono realizzare bande
e mosaici in maniera precisa e rapida.
Poco
a poco in Italia la decorazione passò dal decoro puramente geometrico agli intarsi raffiguranti edifici
caratteristici delle città, strade, piazze, porticati, ecc.
In
Germania i principali centri di produzione furono: Norimberga, Augsbourg, Dresda.
In
Ungheria dopo la morte di Sigismondo (1437)
la colonia di artisti italiani, che vi lavorava si disperse e cessò l’attività
d’intarsio, che vi era fiorita.
In
Francia fin dal Quattrocento essa prese un certo sviluppo, per crescere sotto
Luigi XII° e Francesco I°; sotto l’influenza
determinante dell’arte italiana. L’opera più interessante fu nel 1509
l’intarsio del dorso degli stalli del palazzo di Gaillon,
commissionato dal cardinale d’Amboise.
Artisti
italiani tra cui Giovanni Michele di Pantaleoni (
morto nel 1531), in qualità d’intarsiatore del re, lavorarono per Francesco I°.
La
tarsia certosina e quella geometrica furono praticate in diverse parti del
mondo. In Estremo Oriente si trattò soprattutto d’incrostazioni di madreperla
nel massello; ed in Oriente e nei paesi musulmani s’intarsiarono molti mobili e
piccoli oggetti. A partire dal Seicento l’intarsio fu prevalentemente eseguito
con la sega, che permise di eseguire curve sinuose e di particolareggiare nel
dettaglio motivi complessi.
In
Europa nel corso del Cinquecento la tecnica dell’intarsio cadde in disuso, per
riapparire verso il 1620 con decori d’origine italiana.
Procedimento
classico detto elemento per elemento o per pacchetti separati.
Questa
tecnica è la più complessa, ma anche la più usata, poiché permette la
realizzazione di più motivi identici con gran precisione. Essa prevede dieci
fasi esecutive:
1. Preparazione
delle placcature delle varie essenze.
2. Riproduzione
del disegno. Si copiano da quattro ad otto copie col sistema dello spolvero. Si
conserva una copia (leggenda) in cui si annotano numerandole le diverse essenze
e tinte, che si vogliono utilizzare, su ogni elemento componente il motivo
dell’intarsio.
3. Divisione
del disegno. Tagliare col trincetto gli elementi del disegno uno per volta e
ricomporli su di una tavoletta nell’ordine esatto, numerando sia le parti del
disegno, sia sulla tavoletta il punto dove vengono sistemate.
4. Composizione
delle tonalità. Prelevando con una pinzetta i foglietti segnare su ogni
elemento del disegno le indicazioni della legenda; quali tipo di legno, colore,
direzione della venatura, ecc.
5. Preparazione
dei pacchetti. Per ogni elemento del disegno si prepara un pacchetto a strati, con
un numero di fogli variabile secondo il numero d’intarsi, che si vogliono
ottenere ed in base alle caratteristiche del materiale utilizzato: legno,
avorio, osso, tartaruga, metalli, ecc.
6. Incollaggio
dei disegni. Su ogni pacchetto s’incolla il foglietto con il disegno
corrispondente, avendo cura di rispettare tutte le indicazioni: colore,
disposizione della venatura, ecc. Il foglietto deve essere applicato lasciando
all’intorno lo spazio sufficiente ad inserire qualche chiodo da placcatura, al
fine di dare rigidità al pacchetto durante il taglio. Sui materiali in cui non è
necessario seguire la venatura disporre i disegni nel senso più adatto al
taglio.
7. Taglio
degli elementi. Si eseguiva con un’apposita sega da intarsio, mossa da un
pedale, mentre con la mano sinistra si manteneva fermo il pacchetto, con la
destra lo si spingeva contro la lama, che è sempre perpendicolare al piano. In
questo modo il filo del disegno resta sempre visibile. Od utilizzando il
cavalletto, strumento che permetteva di tenere fermo il pacchetto in una morsa
azionata da un piede. Il filo della sega, il cui archetto è azionato a mano,
copre la linea del disegno. La lama taglia all’esterno del disegno asportando
la traccia del disegno stesso, in questo modo i pezzi combaceranno
perfettamente.
8. Ricostruzione
del motivo. Dopo ogni taglio il pezzo deve essere disposto su di una tavoletta
ricomponendo l’intero disegno, se l’intarsio è molto complesso si ricorre a più
tavolette affiancate e numerate, di modo che l’artigiano potrà più agevolmente
procedere utilizzandone una per volta.
9. L’ombreggiatura.
Secondo lo stile dell’opera si utilizzano tecniche differenti per dare
un’impressione di rilievo all’intarsio: sia accostando placcature di toni
differenti, sia procedendo alla scuritura dei pezzi
con l’acido o col calore, sia tingendoli. Tali tecniche saranno approfondite in
una prossima scheda.
10.
Preparazione del fondo. Gli intarsi sono a volte
inseriti all’interno di cornici rettilinee con o senza filettature, ma più
spesso tali fondi sono mossi; è quindi necessario realizzarli in modo da
potervi inserire l’intarsio, che si è eseguito. Per grandi lavori è necessario
suddividere tali fondi in quarti, in ottavi o più. Si procede come al punto
sette. Eseguiti i fondi bisogna procedere nel più breve tempo al loro
incollaggio per evitare che possano deformarsi a causa di mutamenti della
temperatura o dell’essiccazione del legno.