SCHEDA
DI APPROFONDIMENTO.
Queste schede tecniche d’antiquariato sono state scritte
dall’antiquario Pierdario Santoro, per la rubrica mensile edita sulla rivista “L’Informatore
Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non riportate. Si ringrazia per
la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte presso il
Tribunale di Bologna (www.peritoarte.it).
La raffigurazione sulle superfici. Il disegno.
Cercheremo in questa e nelle prossime schede di analizzare i
particolari tecnici, che hanno permesso di decorare le superfici: sia quelle
piane, affreschi, dipinti ecc, sia quelle concave o convesse ad esempio di
statue.
Il termine grafia
designava in greco sia la scrittura che il disegno. In Cina ed in Giappone un
unico termine indica tuttora sia il disegno, che la pittura e la scrittura. Con
i greci ed i romani si distingue tra la pittura e la grafia. In italiano,
francese e spagnolo il termine attuale deriva dal latino designare. Il disegno si distingue dalle altre tecniche pittoriche
soprattutto per le dimensioni ed i tempi di esecuzione, che per motivi pratici
non possono essere eccessivi.
Il più antico strumento per disegnare fu probabilmente il
carboncino. Quello che tuttora usiamo non si differenzia sostanzialmente da
quello utilizzato in epoca preistorica per disegnare sulle pareti delle
caverne. Esso, denominato anche carbonella
o fusillagine,
si otteneva dalla lenta cottura, entro recipienti di argilla sigillati, di
rametti di salice, di vite o di altri legni. Oggi avviene lo stesso, ma con
l’utilizzo di forni appositi. Il rametto così carbonizzato può essere usato
direttamente, dopo averlo appuntito o in polvere spandendolo, con le dita o con
attrezzi vari, oggi prevale l’uso di carboncini pressati o di pratiche matite a
carboncino.
I disegni a carboncino sono molto delicati perché le particelle
di carbone sono inerti e si staccano facilmente dal supporto, per questo motivo
è necessario fissarle con un fissante. In passato si utilizzava ad esempio la
gomma arabica, che veniva spruzzata diluita. Dal XIX secolo si è impiegata la
gommalacca disciolta in alcol. Oggi esistono fissativi in bombolette, che
utilizzano prodotti industriali. Il tipo di fissante utilizzato può già essere
una traccia di possibile datazione del manufatto. Spesso per evitare macchie o
sbavature si fissa il disegno man mano che si procede alle varie fasi
esecutive.
Un altro sistema per rendere adesivo il carboncino è quello di
immergere i rametti in olio, ma i risultati non sono dei migliori perché l’olio
tende ad impregnare i supporti macchiandoli.
Materiale di utilizzo simile è il gesso. Conosciuto dal
Medioevo il gesso (solfato di calcio biidratato) è
usato sia direttamente per disegnare, ma soprattutto dal Seicento per
lumeggiare i disegni anche in sostituzione della biacca. Da solo od insieme ad
altri mezzi è stato usato in ogni tempo, da Luca Signorelli,
a Rubens, al Goia, ecc. Esso è anche utilizzato come
componente per produrre gessetti colorati, miscelandone le polveri con terre
colorate ed altri pigmenti minerali e colle. Per dargli maggiore densità si
tentò dal
Parente stretto del carboncino è la matita, realizzata con la
graffite, che fu scoperta nelle miniere del Cumberland in Inghilterra nel 1504;
già nel
Sia il carboncino che la matita possono essere facilmente
cancellate o sfumate. Il mezzo più utilizzato era la gomma di pane, che si
otteneva pressando la mollica, quelle colorate si cancellavano solo sfregando
con una lama. Per non sporcarsi le mani si avvolgevano intorno ai carboncini ed
alle mine rotolini di carta o due mezza canne.
Il pastello utilizzato già dal
Abbiamo accennato agli stili,
già utilizzati in epoca classica per disegnare su tavole e lavagne, essi sono
costituiti da verghe metalliche di cui le due più diffuse sono:
La punta d’argento o sue leghe in grado di lasciare una
caratteristica linea argentata, lucente e compatta, utilizzata su fogli di
pergamena attaccata ad un supporto duro o su carta preparata con fondo di china
bianco o su fogli colorati; è possibile eseguire cancellazioni solo con stracci
bagnati o per sfregamento, inoltre se la punta non è costantemente arrotondata
si rischia di graffiare la carta. È stata utilizzata da molti grandi artisti da
Paolo Uccello a Leonardo a Dürer.
La punta di piombo lascia un segno nerastro, che con il
tempo si ossida e diventa marrone, si può cancellare con la gomma pane, però a
causa della duttilità del metallo è facile che si deformi; per evitare questo
inconveniente si unì in lega lo stagno, che rende più dura la punta, ma finisce
per schiarire eccessivamente il segno.
Un’altra tecnica di notevole importanza relativa al
disegno è quella , che utilizza gli inchiostri. Nei primi cinque secoli
dell’era volgare si usavano come penne canne tagliate ed appuntite intinte
nell’inchiostro. Il segno lasciato risultava duro e poco variato. Dal VI secolo
si iniziarono ad impiegare le penne più lunghe delle ali, preferite quelle la
cui curva permetteva un giusto appoggio sulla mano, delle oche; ma anche di
tacchino, corvo, cigno. Questo permise segni nitidi e modulati, che segnarono
l’affermazione di questo strumento fino all’Ottocento, quando si affermò l’uso
della matita. Il successo dell’inchiostro è stato decretato sia dalla relativa
stabilità nel tempo, senza la necessità di fissativi, sia dai costi contenuti,
che dalla praticità d’uso; d’altronde la difficoltà intrinseca dell’uso del
mezzo permise solo agli artisti esperti di realizzare opere d’arte. Bisogna
conoscere quanto duri la carica, in modo da non dover interrompere una linea
lunga. A seconda dei supporti si possono avere assorbimenti diversi, anche in
base ai vari tipi d’inchiostri. Gli inchiostri possono essere impermeabili oppure
permettere di acquerellarli con un pennello umido. Le cancellature non sono
possibili. Ci sono differenti inchiostri:
Il più conosciuto è l’inchiostro di china (utilizzato in
Cina dal terzo millennio a.C.), nero brillante, che fu usato in Occidente dal
Quattrocento, composto da nerofumo, collanti ed olio; non si ossida alla luce.
Quello di noce di galla, di colore marrone, estratto
acquoso di noce di galla addizionato di vetriolo e gomma arabica; però la sua
composizione, solfato di ferro ed acido tannico, corrode la carta. Tende a
sbiadire col tempo.
Il seppia, composto dall’inchiostro ottenuto dalla
ghiandola della seppia, con aggiunta di gomma arabica e stemperato in acqua a
seconda delle tonalità volute, tende a sbiadire col tempo.
Il bistro organico, ottenuto diluendo la fuliggine di
legno di faggio a seconda delle tonalità desiderate; questo ed il seppia sono
usati soprattutto per ombreggiare più che per le linee, essendo acquerellabili.
Più raramente si usano anche inchiostri color indaco, verde e rosso.
Prima di ritoccare con biacca, sanguigna, ecc, è
necessario aspettare la completa essiccazione degli inchiostri, che può durare
fino ad un giorno.
Si può disegnare su di ogni tipo di superficie, purché sufficientemente
liscia. Ricordiamo l’uso in Occidente: presso gli egizi le foglie di papiro e
di palma, le tavolette di legno trattate, i frammenti di calcare e di
terracotta e la pergamena. Dopo la sostituzione del rotolo di papiro miniato
con i fogli di pergamena assistiamo ad una maggiore diffusione dei libri con
illustrazioni; infatti la pergamena al contrario del papiro permette di
scrivere e disegnare su entrambe le facce. Solo dal VI secolo cominciamo a
trovare disegni ad inchiostro su fogli di papiro o di pergamena singoli.
La carta sembra sia stata inventata in Cina da tale Tsai Lun nel I secolo d.C. I più
antichi testi sono buddisti databili dal II e III secolo. Intorno al VII secolo
sorgono alcune fabbriche a Samarcanda e da qui la carta si diffonde in area
araba ed i quella normanna dal XII secolo, ma è relegata alla scrittura di
documenti. Il primo documento in lingua araba e normanna appare in Sicilia e
risale al 1109. Alla fine del
Rimangono pochi disegni del XIV secolo, anche per
l’abitudine consolidata dei maestri di schizzare direttamente a carboncino o
con la sinopia (terra rossa
originariamente proveniente dalla città del mar Nero Sinope)
sul muro. Solo con il Quattrocento incomincia quel processo di trasformazione
del concetto di semplice artigiani in artista, che portò all’uso diffuso di
mezzi come: il cartone preparatorio, lo spolvero, la quadrellatura, ecc; che
esigono una serie di disegni e schizzi.
L’invenzione della stampa porta in poco tempo ad una
produzione di carta quantitativamente accettabile ed al conseguente ribasso dei
prezzi. Pensiamo, che Cennino Cennini
nel suo “Libro dell’Arte” del 1437 consiglia ancora al pittore di cominciare
disegnando su una tavoletta di bosso preparata con il suo fondo di gesso, poi
di usare fogli di pergamena e solo in fine di utilizzare quelli di bambagina (vedi sopra). Alla fine del
Quattrocento sono reperibili fogli colorati, soprattutto in area veneta, ma
anche nel bolognese a Genova ed in Lombardia, raramente in area romana. Le
carte bianche sottili e lisce, sono utili per il disegno, gli schizzi a penna e
pennello, mantre quelle colorate o bianche, più
spesse e ruvide, sono migliori per il carboncino, la matita od il pastello.