SCHEDA
D’APPROFONDIMENTO.
Queste schede tecniche d’antiquariato sono state scritte dall’antiquario
Pierdario Santoro, con la collaborazione della moglie Mara Bortolotto, per la rubrica
mensile edita sulla rivista “L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da
foto e didascalie, qui non riportate.
Questa scheda è stata curata
dall’antiquaria Cristina Mazzoni, titolare della
galleria “Antico Allegro” Via C. Battisti 1/b, Bologna. Le foto sono di
collezione privata.
CENNI SULL’OREFICERIA POPOLARE NELL’ITALIA
MERIDIONALE DEL XIX SECOLO. Parte seconda.
Come
abbiamo visto, nella scheda precedente, la collana era sicuramente il dono di
fidanzamento più importante e atteso; donata dalla suocera qualche giorno prima
del matrimonio. Alle tipologie illustrate in precedenza si aggiungeva quella di
corallo, che aveva invece un uso più quotidiano e soprattutto legato alle
funzioni apotropaiche, che si riteneva il corallo avesse e cioè di fare “buon
sangue” e di scacciare i guai. I coralli erano a grani sferici o a barilotto,
sfaccettati o lisci, a volte intercalati a vaghi lisci o traforati, a volte
completati da ciondoli a forma di croce (significato religioso) o con simboli
di carattere amoroso.
Nell’Ottocento
i luoghi di provenienza del corallo erano Trapani, Genova e Livorno. Verso il
Questa
lavorazione ebbe un così grande successo che tuttora si chiama “mille facce”.
L’Abruzzo è stato in Italia la zona, che ha impiegato più diffusamente il
corallo nel proprio costume, dall’area picena,
scavalcando gli Appennini fino alla Ciociaria e verso il basso Lazio.
Spesso
la famiglia del marito regalava alla sposa anche gli orecchini e la spilla. Gli
orecchini erano di vari tipi: dai cerchi semplici a quelli che portano inserito
un vago di forma sferica o ovale, liscio o sfaccettato, a quelli a navicella
diffusi un po’ in tutta l’area mediterranea.
L’orecchino
del tipo a mandorla è costituito da un corpo più o meno allungato, che si
attacca al lobo e funge da supporto a un pendente che lo impreziosisce. In
questo modo la parte superiore poteva avere un uso quotidiano, mentre nelle
occasioni importanti s’indossava l’orecchino completo. Il materiale impiegato
per le decorazioni era costituito in prevalenza da: paste vitree, corallo
(soprattutto in area Abruzzese), perline scaramazze (soprattutto in area
Calabrese) e smalti. Il tipo di orecchino con pendente a forma di goccia è
senz’altro quello che ha avuto il successo più duraturo; dal “pendeloque” settecentesco fino ai giorni nostri, ha
adornato e abbellito la donna rendendola più affascinante. All’orecchino è
connessa la foratura del lobo ed ha sempre posseduto virtù di amuleto
terapeutico: in tutta l’area italiana era ritenuto sia per gli uomini, che per
le donne un mezzo efficace contro il malocchio. L’orecchino maschile singolo,
portato al lobo sinistro dai marinai calabresi, serviva a “schiarirsi la
vista”; così come pure in alcune zone del Piemonte serviva a tener lontano il
“mal d’occhi”. La perforazione dell’orecchio era ritenuta utile a preservare i
bambini dalle convulsioni, dall’epilessia e dal mal di testa.
Le
spille avevano principalmente una valenza funzionale, servivano per allacciare
il collo delle camicie, il velo o il fazzoletto. Anch’esse erano sempre
decorate o foggiate a motivi scaramantici, a volte impreziosite da perline
scaramazze.
Anche
gli spilloni da capelli erano un ornamento diffuso, realizzati in filigrana
d’argento o d’oro, o costituiti da uno o più vaghi. Erano di uso quotidiano e
indossati senza troppo impegno. L’ornamento meno usato e più raro da ritrovarsi
nell’oreficeria popolare è il bracciale.
Esso
è stato riservato per lungo tempo alle classi aristocratiche e più abbienti.
Tuttavia alla fine dell’Ottocento si diffuse anche nelle classi subalterne. E’
da considerarsi un ornamento più borghese. La signora “borghese” è più
suscettibile alle tendenze del momento, ai cambiamenti, ha più disponibilità e
si permette gioielli abbinati ai nuovi dettami della moda; per questo
dall’abito all’acconciatura i suoi gioielli non sono facili da definire, oscillano
tra i modelli aristocratici e quelli popolari e mutano continuamente nei
materiali e nelle forme.
L’oreficeria
“popolare” ha continuato a essere prodotta anche all’inizio del XX secolo,
naturalmente con aggiornamenti stilistici, ma non ha mai tradito la sua essenza
più pura, quella di mantenere viva una tradizione che spesso si è tramandata di
padre in figlio nelle botteghe degli orafi-produttori.
La
gioia più tangibile è comunque l’emozione che questi ornamenti ci trasfondono
nell’esperienza tattile: rimanere ammaliati dalla vista delle meravigliose
catene, dei generosi e ridondanti pendenti, dei sontuosi orecchini è una
sensazione piacevole, ma tenerli tra le mani significa rimanere veramente
stupiti per la loro incredibile, insospettabile, “autentica” leggerezza!
Quest’aspetto
della leggerezza è il dato saliente, che meglio ci permette di distinguere
l’originale dalla copia moderna, che non riesce a raggiungere la levità del
gioiello popolare antico.
Per
chi vuole approfondire l’argomento sull’oreficeria popolare nel Meridione
d’Italia, un punto di partenza è senz’altro la collezione conservata al Museo
delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, raccolta in occasione della Mostra di
Etnografia italiana, tenuta a Roma nel 1911 per il cinquantenario dell’Unità
d’Italia.