SCHEDA DI
APPROFONDIMENTO.
Queste schede tecniche
d’antiquariato sono state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro, con la
collaborazione della moglie Mara Bortolotto, per la rubrica mensile edita sulla
rivista “L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie,
qui non riportate.
Scheda tecnica, doratura ed argentatura a fuoco.
Nel corso del
Il pezzo è
rifinito, cesellato e raschiato con lime ed abrasivi;
in modo da risultare più o meno ruvido in quelle parti che dovranno presentare
una doratura opaca, lucido in quelle che dovranno essere brillanti.
Poi si lavava
e puliva il tutto e si sgrassava, normalmente utilizzando dell’urina, che in
passato è stata sempre adoperata come acido debole, quale composto naturale a
base d’ammoniaca. Il pezzo da dorare è spalmato con un sottile strato di
mercurio (chiamato anche argento vivo) miscelato ad acqua forte (termine con
cui si designava l’acido nitrico, ottenuto dalla distillazione del salnitro),
che funge da mordente.
L’oro
zecchino, vale a dire puro a 24 carati, battuto in sottili foglietti, viene sminuzzato ed amalgamato con il mercurio, mescolandolo
in un crogiolo a caldo in una percentuale variante dall’otto al trenta per
cento, mediamente otto parti di mercurio per una d’oro (la formula antica è
un’oncia d’argento vivo per un gros d’oro); quindi si getta in acqua. Si ripete
tale operazione finché il composto non torna ad essere liquido come il mercurio
puro. Ne risulta un amalgama di colore argentino, che è raccolto con una lima
di rame, bagnata in acqua forte, e con essa gettato
sul pezzo o steso per mezzo di un pennello fatto di fili d’ottone; quindi lo si
spalma aiutandosi con un avvivatoio (strumento
metallico con un terminale curvo ed appiattito). Si pone il tutto su di un
fuoco di braci coperto di cenere finché il pezzo ha raggiunto il calore rosso e
l’amalgama non comincia a bollire; in modo da ottenere l’evaporazione completa
del mercurio, che si realizza quando ogni residuo
argenteo è scomparso, poi si lascia raffreddare. Se sono visibili parti
mancanti di doratura e per ottenere dorature di qualità, si surdora, come si è solito dire,
ricominciando da capo per tre quattro volte e perfino sette volte, fino ad
ottenere una doratura spessa ed uniforme. Si bagna di nuovo in acqua fredda, si
spazzola e si riscalda, si ribagna e si sciacqua abbondantemente.
Fin verso la
fine del regno di Luigi XV° la doratura opaca si
otteneva sia grazie al raffreddamento repentino del pezzo in acqua ma
soprattutto mattando (rendere ruvida
una superficie di modo che risulti opaca) la superficie con ceselli terminanti
con una serie di piccolissimi denti, chiamati appunto mattatoi, con cui
s’imprimono minuti punti sulla superficie stessa. Dall’epoca di Luigi XVI si
ricorse ad una mattatura molto efficace, eseguita
cospargendo con una pappa di sale la doratura, che si voleva rendere opaca,
portando nuovamente il bronzo ad incandescenza e gettandolo in acqua fredda. Le
parti, che devono risultare lucide sono brunite con i brunitoi, utensili
costituiti prevalentemente da pietre d’agata fissate a dei manici di legno, con
differenti sagome secondo le necessità. La brunitura è ottenuta mediante
sfregamento a pressione della superficie dorata, da parte della pietra, con
conseguente compattazione della stessa, resa prima della doratura la più liscia
possibile.
Questa
doratura è particolarmente resistente per due motivi: primo si utilizza una
notevole quantità d’oro; secondo il ripetuto riscaldamento porta l’oro ad
occupare uno spazio, che è intermolecolare al bronzo in una specie di lega. Ciò
rende i manufatti in pratica inossidabili, in particolare nelle parti lavorate
ed in quelle opache. È l’ossidazione del metallo, nel bronzo e nell’ottone del rame che n’è il
principale componente delle leghe, che polverizzandolo provoca il distacco
della doratura che vi è appoggiata. Questo discorso vale in misura minore per
le parti lucide molto meno resistenti, probabilmente perché la doratura si ancora meno sulle superfici lisce; oppure perché dorate
in uno dei due altri modi che stiamo per descrivere.
La doratura a fiamma di un oggetto antico deve apparire sempre
ottimamente conservata sulle parti opache e lavorate e più o meno consunta su
quelle lisce e lucide; questo è il segno distintivo di un manufatto antico, non
ridonato; inoltre devono essere dorate solo le superfici a vista. Al contrario
la doratura galvanica non impedisce l’ossidazione del rame ed il conseguente distacco
dell’oro, sia perchè l’oro è impiegato in minore quantità, ma soprattutto in
quanto è depositato solo appoggiato sulla superficie, sono le parti lavorate a
risultare anche più consunte di quelle lucide, in quanto maggiormente soggette
a condensa, anche se apparentemente meno esposte all’usura. Proprio la mancanza
di doratura in parti inaccessibili o protette è indice di doratura originale,
normalmente il falsario consuma di più le parti accessibili.
Un altro tipo
di doratura a fiamma è realizzata senza l’uso del mercurio. In questo caso si
riscalda il metallo finché non prende un colore blu, si stende direttamente la
foglia d’oro sul pezzo per mezzo di un ferro liscio, poi si riscalda
ulteriormente il tutto sulle braci. Possono seguire fino ad altre quattro mani
di doratura, posando un foglio alla volta o per i lavori di
maggior qualità due insieme sovrapposti, e riscaldando ogni volta. La
superficie risulta con questo metodo già lucida, poi se necessario si brunisce
il tutto. È un sistema più veloce, economico e meno pericoloso per la salute,
ma anche meno resistente; inoltre non riesce a raggiungere la bellezza dei
contrasti ottenibili con la doratura al mercurio.
Una variante,
descritta nell’Enciclopedia per le operazioni d’argentatura,
ma valida anche per la doratura, è quella dell’oro hascé (tagliato, graffiato).
Simile alla tecnica appena descritta, varia solo per l’uso di segnare e
graffiare fittamente con un coltello tutta la
superficie, prima dell’applicazione delle foglie d’oro o d’argento, allo scopo
di farle meglio aderire. Tali segni sono ben visibili, ad esempio sulle parti
dorate lucide ed in particolare sul retro dorato lucido di molte pendole.
Si usava uno
o l’altro metodo secondo il risultato che si voleva ottenere e non perché la
doratura fosse più o meno resistente. Era il solo modo che avevano a
disposizione. L’oggetto era prodotto per il committente non per i suoi eredi.
Sarà soprattutto la borghesia, con sentimenti simili a quelli odierni a
preoccuparsi maggiormente della conservazione; ad esempio con l’uso frequente
di protezioni come le campane di vetro.
Un’operazione
importante era quella della messa in colore dell’oro. Il gusto settecentesco
esigeva di armonizzare i differenti tipi di dorature presenti o di creare
effetti contrastanti ad arte. La doratura è allora messa in
colore, in altre parole colorata in tonalità: rossastre, verdastre, azzurrine,
ecc. Questo si ottiene: sia per mezzo del riscaldamento, dopo aver cosparso il
pezzo con varie sostanze, le cui formule sono morte insieme ai doratori che le
hanno usate; sia verniciandolo con trasparenti a freddo, dopo la doratura.
Il risultato di questa raffinata tecnica poteva generare all’epoca
differenze anche notevoli nel prezzo. Essa costituisce uno dei fattori
utili a distinguere l’età dei manufatti e l’originalità della doratura antica
precedente l’Ottocento. Con l’affermazione del Neoclassicismo maturo, la
doratura al mercurio non fu più messa in colore ed appare normalmente col suo
naturale colore tendente al giallo limone.
Per
l’argentatura al mercurio si seguono gli stessi identici procedimenti, mentre
nell’argentatura a fiamma a foglia si posano anche quattro fogli sovrapposti
per volta giungendo ad uno strato spesso anche quaranta fogli, tale argentatura
era definita “spessa come un’unghia”. Questo perché l’argentatura è soggetta ad
una maggiore usura, in quanto l’argento ossidandosi deve essere pulito
frequentemente. Facciamo notare che la scarsezza di pezzi argentati
pervenutici, prodotti in epoca in numero consistente (si valuta la produzione
di pezzi argentati in epoca Luigi XIV e Luigi XV in circa il quaranta per
cento), è proprio dovuta, oltre che naturalmente al
mutare del gusto, a tale motivazione, che ha portato a dorarne gran parte dopo
un certo tempo, onde evitarne la continua manutenzione.
Il sistema
più economico per “dorare” è la messa in colore d’oro, da non confondersi con
la tecnica descritta in precedenza. Il bronzo viene
immerso in acido nitrico fino ad ottenere un colore brillante, simile a quello
dell’oro, poi è ricoperto da una vernice di protezione; la più celebre è quella
chiamata d’Inghilterra. Questa falsificazione
riesce così bene da trarre anche in passato in inganno i compratori. Molti bronzi sono semplicemente
trattati in questo modo economico, ma tanti soprattutto quelli di maggior
qualità sono stati poi dorati a fiamma; anche perché col tempo, perduta la
vernice di protezione, tendono ad ossidarsi rapidamente. Essa era la più
frequente per le filettature in lamierino d’ottone; e soprattutto per le
decorazioni in lamierino stampato. Ricordiamo che i così detti “lamierini”
(maniglie e decorazioni per mobili in ottone stampato) sono stati prodotti dopo
l’Impero, quale versione economica dei bronzi fusi, principalmente dal periodo
biedermeier in poi, essi sono una spia sicura, quando originali, dell’epoca di
creazione e della produzione attardata d’arredi, soprattutto in aree
provinciali. Bisogna guardarsi anche da quegli ornamenti dorati galvanicamente,
ma soprattutto prodotti galvanicamente in rame, riconoscibili per la presenza
anche sul retro del rilievo. Anche gli oggetti in zinco e nelle sue leghe, il
più noto è l’antimonio, sono prodotti generalmente dopo
Ricordiamo
che con la doratura a fuoco si possono dorare diversi metalli e leghe, tra cui
anche il ferro, ma appunto solo quelli che resistono al riscaldamento oltre i
400 gradi. Con la doratura galvanica si può dorare qualunque materiale conduca
l’elettricità ed anche quelli non conduttivi se trattati con apposite vernici
conduttrici; ciò permise in passato di rivestire oggetti di gesso depositando
galvanicamente uno strato a spessore di rame e poi dorando. Io stesso ho visto
spesso oggetti, anche di grandi dimensioni, prodotti in tal maniera e creduti per ignoranza più antichi. La cosa si complica, quando dopo
la produzione l’oggetto viene svuotato dall’anima
utilizzata possiamo dire come stampo
interno, esso rimane riconoscibile in quanto normalmente tali oggetti sono
troppo complessi perché possano essere stati sbalzati o troppo regolari negli
spessori, peraltro normalmente esigui, per essere stati fusi. Rileviamo inoltre
che normalmente gli oggetti fusi sono d’ottone dorato e non com’è comunemente
ritenuto di bronzo, anche quando io stesso uso il termine bronzo lo faccio per
non ingenerare confusione, ma si tratta quasi sempre d’ottone, lega più usata
per le lavorazioni di cesello e doratura. La doratura e l’argentatura erano
operazioni costose, si applicavano non solo agli arredi, ma anche ad oggetti
d’uso comune come i bottoni o le spalline militari. In ogni caso si trattava di
lavorazioni molto specializzate. Parigi rimase a lungo il maggior centro di
produzione e gli operai erano rigidamente divisi in corporazioni. Solo alcuni ebanisti ottennero il privilegio reale di
produrre e dorare gli ornamenti dei loro mobili, come ad esempio il grande André-Charles Boulle, gli altri
dovevano comprarli o commissionarli da quelli autorizzati. Oggi la doratura
galvanica è applicata anche ad oggetti di costo irrisorio, ma non mancano
quelli importanti per committenze reali.
Se possiamo
rammaricarci della scomparsa di una tecnica, che ha prodotto tanti capolavori e
del generale scadimento attuale, dobbiamo rallegrarci per il risparmio di vite
ed il miglioramento delle condizioni di lavoro. La doratura al mercurio è
estremamente tossica a causa della velenosità dei vapori di mercurio, che si
sviluppano durante il riscaldamento. Gli operai addetti spesso morivano dopo
pochi anni di lavoro e non ci consola certo il fatto che in ogni modo all’epoca
la vita non fosse molto lunga. Molti si adoperarono per risolvere questo, che
era visto come un vero e proprio flagello. Ricordiamo il premio di tremila lire
istituito dal grande orologiaio Lepaute, uno dei pochi morto ricco, nel 1830 per chi fosse riuscito a
trovare un metodo di doratura meno nocivo. La doratura galvanica risolse questo
problema.
Bisogna
notare che in quegli anni, tra il 1830 ed il 40, assistemmo ad un generale
progresso, che mutò il mondo molto più di quanto non
stia succedendo oggi. Basti pensare che prima si andava
a piedi o a cavallo e dopo in treno, prima a vela e poi a vapore, per un
ritratto ci voleva un pittore e poi bastò la fotografia con i primi
dagherrotipi. Soprattutto si passò da una produzione seriale, ma non
standardizzata a quell’industriale moderna
standardizzata, con immensi incrementi produttivi e l’enorme miglioramento
delle condizioni di vita delle masse dei salariati, anche grazie alla
produzione di massa. La doratura al mercurio fu dunque vittima del progresso e
definitivamente abbandonata con la fine del XVIII secolo.