Bologna, via
Nazario Sauro 14/b
Tel. 051260619
3356635498 3358495248
Scheda di approfondimento.
Queste schede tecniche d’antiquariato sono
state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro
per la rubrica mensile edita sulla rivista
“L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non
riportate.
Si
ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte
presso il Tribunale di Bologna (www.peritoarte.it).
La cartapesta,
chiamata anche papier mâché
(carta masticata, denominazione brevettata in Inghilterra nel 1816).
Con ogni probabilità essa è inventata in Cina
attorno al III secolo d.C. grazie all’uso già affermato della carta, che dalla
Cina, passando per il mondo arabo, approda in Europa nel X sec. d.C. In Egitto
conosciamo il più antico utilizzo di proto-cartapesta per la costruzione di
sarcofaghi.
In Italia la cartapesta è in uso dal Rinascimento,
in Francia ed in Inghilterra dal Seicento, in America dall’Ottocento.
Si utilizzano per la preparazione avanzi di carta e
di cartone accuratamente spolverati al fine di eliminare le impurità;
privilegiando quelli privi di scrittura, perchè l’inchiostro
può nuocere alla preparazione. Questo particolare può farci escludere dal
considerare antichi, manufatti nella cui pasta sia presente l’inchiostro;
chiara indicazione d’utilizzo di fogli antichi ma scritti. Si mettono a
macerare a lungo nell’acqua, cambiandola spesso per non fare imputridire la
materia. Quando la macerazione è completata si pesta la poltiglia in un mortaio
o con altri mezzi meccanici, poi si fa bollire il tutto in caldaia aperta o
chiusa. La bollitura può essere anche eseguita prima della macerazione, in tal
modo si facilita la pestatura. Terminate queste operazioni si aggiunge il
collante, che può avere varie composizioni: colla animale, destrina, pasta d’amido
(farina) od altre sostanze resinose; oggi si ricorre a colle viniliche, la cui
presenza è sempre segno d’oggetto moderno. Per rinforzare l’impasto alle volte
si aggiunge segatura, cellulosa, sabbia, creta, polvere di calcare, paglia; ma
in tal modo si ottiene un composto, che non è più la pura cartapesta. Poi s’impasta perfettamente sino a che non coli
più e la massa sia omogenea.
Questo impasto può essere applicato ad armature
predisposte o spalmato e compresso con le dita all’interno di stampi
preventivamente spalmati d’olio. Tali stampi possono essere realizzati in
gesso, in legno, in argilla, gelatina, zolfo, metallo sbalzato, metallo fuso,
vetro, guttaperca, ecc, in maniera del tutto simile di quell’usata per la
fusione dei metalli (vedi la precedente scheda tecnica su tale argomento).
Quale distaccante si può anche applicare allo stampo un leggero strato di carta
privo di colla. È necessario asciugare bene dall’interno con spugne asciutte la
cartapesta applicata. La cartapesta può anche essere diluita con acqua e colata
dentro gli stampi; in tal caso si dovrà porre particolare cura
all’essiccazione. Sulla superficie, una volta estratto il modellato se si è
usata una forma, si spalma una mano di collante. Si fa asciugare perfettamente
al sole o in ambienti riscaldati, oppure in essiccatoi. L’asciugatura deve
essere lenta e graduale senza mai superare i trenta gradi. A questo punto si
può lavorare il manufatto con le stesse modalità del legno e si possono marcare
i particolari con ferri roventi. L’opera finita è impregnata con prodotti
impermeabilizzanti ed ignifughi. In antico si ricorreva ad una mistura di calce
ed acqua di vetriolo stemperate in albume d’uovo o ad altra di fosfato di sodio
misto a gomma lacca. Si possono utilizzare anche tutte le altre vernici
compresi il catrame e la pece, ma in tal modo il prodotto risulterà ancora più
infiammabile. Normalmente si stende sulla superficie un’imprimitura di gesso
diluito in colla animale, che fa da fondo ai colori (ricordiamo quanto già
detto nelle schede tecniche sulla pittura: il gesso spento in antico è di cava
oggi si utilizza quello realizzato artificialmente). Analogamente si chiama
cartapesta anche quell’ottenuta stendendo pezzi di carta e cartone macerati, ma
non pestati; in tal caso otteniamo un manufatto più vicino al cartone romano (si distingue dalla cartapesta
soprattutto perché i calchi sono messi in opera così com’escono dalla forma,
senza alcuna modifica o lavorazione successiva), che alla cartapesta. Il cartapestaio inizia con uno studio preliminare dell’opera
eseguendo un modellino in argilla di dimensioni molto ridotte, poi passa
all’esecuzione vera e propria dei modelli in grandezza reale delle mani, dei
piedi, della testa, ecc, da cui otterrà gli stampi in cui pressare la
cartapesta. Una volta unite le varie parti ottenute incollandole con colla forte
(chiamata anche comunemente garavella) si bruciacchiano con appositi ferri (di
varia foggia e misura detti focheggiatori) le sconnessure e si procede a focheggiare tutta la superficie per
ritoccarla, spianarla e bruciacchiarla, rendendola così anche più resistente ai
tarli. È incredibile che un materiale infiammabile come la carta incontri il
fuoco come mezzo di modellatura e che da due materie antitetiche possa nascere
un opera d’arte. Poi si passa alla costruzione del corpo del manichino attorno
ad un’asse ben fissata ad una base, avvolgendola con stoppa o paglia (nelle
zone di produzione del lino si usava la lenara ottenuta dalla macerazione dei gambi) fissata con
filo di canapa; e creando quello che è definito bustino dove già s’intravedono le forme della futura statua. Preparato
il bustino, testa mani e piedi sono assemblati formando così il
"corpo" della statua. A questo punto la statua viene
"fasciata" con striscioline di ponnula cioè di carta
imbevuta di colla di farina, che rendono la struttura base più resistente e
rigida permettendo al maestro di metterla in posa. Su questo tronco si
modellano i drappeggi, applicando grandi fogli di carta incollati a strati. È
proprio dalla capacità di modellare con leggere pressioni, di dare naturalezza
e leggerezza al lavoro che si riconosce il maestro. Asciugato il lavoro con i focheggiatori si raddrizzano e si rifiniscono i drappeggi,
che possono deformarsi durante l’essiccatura.
Poi si pennella tutta la superficie con uno strato di gesso sciolto in
colla (gessatura). In fine si opera
il ricaccio con ferri e lime,
definendo i particolari più minuti. Si stende un primo abbozzo dei colori a
tempera, poi si passa alla coloritura ad olio ed a volte alla doratura di
parti.
Tradizionalmente si considerava la cartapesta
leccese, per l’importanza storica da essa ricoperta, quale antesignana di tale
arte in Italia, però essa può essere collocata dai documenti solo all’inizio
del Settecento. Iniziando da quel Pietro Surgente
(1742-1827) di cui conosciamo la più antica opera giunta ad oggi con data certa
1782.
Sicuramente possiamo datare al XV secolo formelle
votive e manichini di area umbra e toscana.
Nella chiesa dei Servi a Bologna è presente un
crocefisso di cartapesta, ivi posto il 10 agosto 1643, opera di un certo Zamaretta; eseguito, con una forma attribuita al Gianbologna, con le carte da gioco raccolte da un frate
predicatore nel 1551 durante una campagna moralizzatrice. Sempre a Bologna era
attivo Angelo Gabriello Piò
(1690-1769), che eseguì due statue di cartapesta sempre per i Servi dal 1733 al
1739; e ci rimangono le incisioni di 25 gruppi di statue di cartapesta, per
sepolcri, da lui modellate. Altri esecutori di statue devozionali di cartapesta
per sepolcri della scuola bolognese furono: Giuseppe Maria Mazza (1653-1741),
Antonio Schiassi (1712-1778), Filippo Scandellari (1717-1801), Giovanni Lipparini
(1750-1788). Probabilmente l’arte della cartapesta fu portata in Francia
all’inizio del Settecento, proprio da artisti bolognesi.
Con la cartapesta si eseguono oltre alle statue un’innumerevole
tipologia di manufatti.
Famosi i vassoi, gli specchi e le scatole veneziane
laccate o decorate ad arte povera.
In Inghilterra in antico si utilizzava soprattutto
carta marrone o grigia impregnata durante la pestatura con gomma arabica. Nel
1772 l’inglese Henry. Clay produsse pannelli con un anima metallica
impermeabili e resistenti al calore. Sempre in Inghilterra nel 1846 si
fabbricarono pannelli da usare come pareti e nel 1847 fu possibile piegarli con
l’impiego del vapore. Il Papier mâché utilizza carta
spugnosa o per la produzione più corrente polpa di carta pressata negli stampi
e si differenzia dalla cartapesta in quanto si ottiene l’indurimento con la
cottura. Esso si prestava a molti diversi utilizzi sostituendo il più costoso
legno ed anticipando con la sua duttilità i prodotti industriali successivi
come il compensato stampato ed i materiali sintetici, come quelli plastici. Si
ricorreva ad ogni tipo di decorazione sia manuale sia con deposizione
elettrochimica. Per esempio s’imitava l’intarsio in madreperla, applicando un
sottile strato di madreperla, coprendone le parti che si volevano salvare con
vernici ed eliminando con acido le restanti non protette dalla vernice.
Oltre che alle già citate opere salentine,
numerose macchine per le processioni
sono state eseguite in cartapesta; ad esempio a Nola si sviluppa intorno ai
primi dell’Ottocento, intorno alle febbrili attività per la realizzazione degli
apparati decorativi della "macchina" del Giglio, altissime pale
realizzate prevalentemente di cartapesta, a tema sacro, portate in processione
da un folla delirante il giorno di S.Paolino, vescovo
e protettore di Nola.
L’arte cinese delle figure di cartapesta,
originariamente collegata alle usanze funerarie, è un’arte popolare che integra
le tecniche d’amalgama, incollatura, ritaglio della carta, scultura su argilla
e pittura policroma. Chiamata in diversi
modi a livello popolare, è nata per soddisfare la fede nei riti e le esigenze
psicologiche delle masse. Esistono quattro tipi di figure di cartapesta: le
figure di divinità, come quelle grandi bruciate davanti alle tombe nel corso
dei funerali; figure umane, di bambini, personaggi dell’opera, servitori, ecc;
figure d’edifici come camere mortuarie, case e padiglioni, archi commemorativi,
oltre che a portantine e carrozze; oggetti funerari, come contenitori per cibo,
offerte, oggetti portafortuna ed animali di buon auspicio. I materiali
utilizzati sono assemblati con tecniche artigianali molto raffinate. Le figure di cartapesta servono in generale alle cerimonie in onore dei
defunti: si tratta di figure umane, di cavalli, oggetti vari ed addirittura d’edifici
che sono bruciati secondo una superstizione dalla lunga storia, che ha tuttavia
originato un’arte.
Le maschere rituali sono eseguite in cartapesta in
diverse parti del mondo. L'Artefice delle maschere, in molti contesti etnici
(specie in Africa), era considerato il depositario di una sapienza, che
potremmo definire "esoterica" e che comprendeva la conoscenza dei
fenomeni naturali, del patrimonio mitico, delle proprietà medicinali e
terapeutiche delle sostanze animali e dei cicli economici e legati al
calendario. Era proprio la qualità delle conoscenze esoteriche che distingueva,
sino ad un passato non molto lontano, il vero creatore dall’Artigiano,
esecutore che ripete le forme. In misura meno rilevante influivano, invece, le
conoscenze tecniche e gli strumenti di lavoro, che agivano in modo indiretto,
condizionando per lo più le modalità esecutive e non la mentalità
dell'esecutore. Tale assunto è chiaramente testimoniato dal fatto che l’acquisizione
di nuovi e più efficaci arnesi non ha comportato conseguenti miglioramenti
sostanziali ai progressi formali, ma come nel caso esemplare dell'arte dell'Oceania, ha portato ad un progressivo e rapido deterioramento
delle modalità esecutive e degli schemi di lavoro tradizionali. Nelle società
primitive le maschere sono fabbricate con qualsiasi tipo di materiale
disponibile in natura, dai più teneri e fragili ai più duri e refrattari ad
essere lavorati. La scelta di materie prime per la creazione delle maschere
dipendeva in primo luogo dalle caratteristiche ecologiche locali, ed era in
ogni caso limitata alle materie prime disponibili in natura, sia organiche, sia
inorganiche. Materiali estranei ( ma sempre di natura primaria), in alcuni casi
provenienti anche da regioni molto lontane, erano adoperati (generalmente con
funzione decorativa) solo se connotati da un forte valore economico o magico-religioso. In secondo luogo agivano alcune
specificità proprie delle Comunità cui apparteneva l'artefice delle maschere, e
in particolare: il valore magico o religioso che era assegnato ad un determinato
elemento naturale; il valore della tradizione, per questo ad una certa maschera
erano associati in modo esclusivo uno o più materiali fino all'assunzione da
parte della maschera del nome proprio che ne costituiva la struttura.