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Scheda di approfondimento.
Queste schede tecniche d’antiquariato sono
state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro
per la rubrica mensile edita sulla rivista
“L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non
riportate.
Si
ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte
presso il Tribunale di Bologna (www.peritoarte.it).
La
raffigurazione sulle superfici. Tra disegno e dipinto.
L’acquerello ed il guazzo (derivato dal termine
francese, gouache;
detto anche tempera magra) sono tecniche intermedie tra il disegno e la
pittura.
I colori sono ottenuti macinando molto finemente polveri
ricavate dalle terre e dagli ossidi metallici, quali il cadmio, il cobalto, il
ferro ed il cromo. Con acqua, preferibilmente distillata, si stemperano i
colori, che però non si sciolgono mai completamente. Quando l’acqua si asciuga
le polveri colorate non sono sufficientemente attaccate e tendono a
disperdersi; per ovviare a questo inconveniente si aggiunge un collante, di cui
il più frequentemente impiegato è la gomma arabica (resina d’acacia). Maggiore
è la percentuale di colla, più tende a divenire brillante il colore, ma bisogna
notare che troppa colla, durante l’essiccazione, può far fessurare il colore,
poca può non essere sufficiente. Si possono aggiungere altri materiali come il
miele e lo zucchero, che, agendo da sostanze plastificanti, servono a
sciogliere meglio i colori, rendendoli più scorrevoli; o gomma adragante,
glicerina e ancor meglio la bava di lumaca per ritardarne l’asciugatura quando
si debbano dipingere superfici più ampie e rendere il colore più brillante,
ecc.
Il supporto più comune impiegato è la carta ottenuta
dagli stracci, i migliori sono quelli di lino; gli altri tipi di carta
fabbricati con la pasta o la fibra di legno tendono ad ingiallire, ad impastare
e modificare le tonalità dei colori. Sono stati impiegati anche le lastre
d’avorio ed i fogli di pergamena. La carta inumidendosi tende a deformarsi, è
quindi necessario lavorare su fogli tenuti tesi. Per mettere in tensione i
fogli uno dei metodi più pratici consiste nell’inumidirli e poi tenderli su una
tavoletta ripiegando i bordi e fermandoli con fermagli, asciugandosi la carta
si tira perfettamente.
La differenza tra l’acquerello ed il guazzo consiste
sostanzialmente nell’uso o meno del colore bianco. Nell’acquerello non si usa
il bianco come colore, ma si utilizza la chiarezza del supporto lasciandolo
trasparire a seconda dello spessore della pennellata e non colorando le parti
che devono apparire bianche. Nel guazzo al contrario si usa il bianco sia puro,
che mischiato agli altri colori. Con l’acquerello si ottengono disegni
trasparenti, con strati di colore sottili ed in cui prevale la delicata armonia
delle tonalità. Bisogna procedere per diminuzione dal chiaro allo scuro, la
sovrapposizione di vari strati e sconsigliata e non dovrebbe mai superare le
tre mani. Sono indispensabili sicurezza di mano e conoscenza approfondita della
tecnica, non sono permessi ripensamenti e correzioni. Data la sua trasparenza
si presta perfettamente a colorare le stampe. La conservazione del disegno ad acquerello
non è facile. In pratica non si possono usare fissativi, che rendono lucente il
colore e col tempo ingialliscono. L’umidità e la luce sono veri nemici; l’una
deteriora sia la carta, che la gomma, l’altra secca il colore, causandone il
distacco. Come tecnica vera e propria essa si definisce all’inizio del
Settecento, quando compare per la prima volta con il suo nome.
Come
abbiamo già scritto nella scheda precedente gli inchiostri diluiti sono stati
usati nell’antichità per realizzare delle specie di acquerelli e nel Medioevo
si usò l’acquerello per illustrazioni, ma è con Albrect
Dürer (1471-1528) che possiamo considerare nascere la
moderna tecnica dell’acquerello. In Inghilterra John Wite,
al seguito della spedizione nelle coste americane di Sir Walter Releigt, dipinse ad acquerello nel 1585 il paesaggio del
Nord Carolina, dando impulso alla grande scuola inglese, culminata nel 1804
nella fondazione della “Società dei pittori ad acquerello”.
La
caratteristica fondamentale del rapido essiccamento ne ha fatto uno dei metodi
preferiti per la pittura eseguita all’aria aperta e per quella ispirata alla
natura. Durante il Grand Tour furono molti gli acquerelli
che descrissero le vedute ed i monumenti visitati. Caratteristici del
Biedermeier sono gli acquerelli d’interni. Questa tecnica è particolarmente
indicata per fissare le sensazioni ad esempio dei mutamenti atmosferici, e
conobbe grande sviluppo in epoca romantica. Il suo basso costo unito ad una
relativamente semplice modalità di preparazione e conservazione dei colori,
insieme al diffondersi del dilettantismo negli ambienti borghesi portarono a
decorare anche gli arredi, mobili, paraventi, scatole, ecc; parimenti la
pittura ad acquerello divenne una delle materie di educazione, ad esempio delle
signorine della buona società.
Un monaco scoprì alla fine del Quattrocento che
aggiungendo bianco di zinco all’acquerello il colore diveniva opaco e coprente,
dando alle dorature delle miniature un maggiore risalto. Nasceva la pittura a
guazzo. Questa tecnica non ha conosciuto nel tempo momenti di particolare moda
o cultori che l’abbiano prediletta in maniera specifica, anche se molti artisti
importanti ne hanno fatto uso, basti pensare a Rubens.
Con il guazzo la materia è più spessa, vischiosa
come per il colore ad olio. Al contrario dell’acquerello si può passare dallo
scuro al chiaro in quanto i colori possono essere progressivamente schiariti coll’aggiunta
del bianco. Anche il nero è utilizzato mischiato per scurire i colori, ma
bisogna prestare attenzione al fatto che alcuni di questi mutano, come il
rosso, che diventa marrone, i gialli verdastri, ecc. Come collante si usava
oltre alla gomma arabica anche la colla animale (ottenuta dalla bollitura dei
ritagli di pergamena). Al di là dei vari procedimenti con cui si realizzano i
colori, la definizione più corretta per il guazzo è quella di acquerello
coprente. Un’importante caratteristica è quella di essere un colore molto
versatile, che può essere applicato praticamente a qualsiasi supporto, purché
non unto, viceversa dell’acquerello predilige le superfici meno assorbenti e
richiede quindi una preparazione del fondo (imprimitura).
Essendo un colore coprente la sua luminosità è data esclusivamente dalla luce
che esso è in grado di riflettere e mai dal trasparire del supporto.
La pittura a tempera occupa un ruolo fondamentale
nell’Arte fino alla fine del Quattrocento, quando le viene progressivamente
preferita quella ad olio. Fin dall’antichità dalla Cina a Babilonia, nelle
tombe egizie come nelle catacombe cristiane, troviamo dipinti eseguiti a
tempera. Il termine deriva da temperare-stemperare, che indica l’operazione del
diluire i colori in acqua. Al di là delle varie formule in sostanza si
definisce tempera un colore solubile all’acqua, che vede la presenza di
pigmenti come coloranti e di uovo come legante. Sono utilizzate la varie parti
dell’uovo: l’albume, soprattutto come legante nelle miniature medioevali; il
tuorlo, nella tempera propriamente detta; albume e tuorlo insieme, per colori
più economici. Spaccato l’uovo si lascia scivolare il contenuto da una mano
all’altra, facendo filtrare l’albume tra le dita; poi si appoggia il tuorlo su
di un foglio di carta per asciugarlo; quindi si afferra con due dita e si fa
sgocciolare il rosso d’uovo in un vasetto forando la pellicola del tuorlo, che
deve essere eliminata. Quasi tutti i pigmenti sono miscelabili con l’uovo senza
subire particolari alterazioni delle tonalità. Si utilizzano da tre quarti ad
una parte ed un terzo di uovo per una parte di colore, a seconda del tipo di
pigmento e si diluisce con acqua a piacere. La tempera dopo la completa
essiccazione, che richiede per divenire chimicamente stabile anche un anno,
diviene il colore più inalterabile utilizzato sinora dall’uomo; esso non
ingiallisce e non scurisce, come accade spesso per il colore ad olio.
D'altronde essa non è malleabile come
l’olio e non consente di fondere una pennellata nell’altra come
nell’acquerello. La qualità di essiccare superficialmente rapidamente, circa un
giorno, se permette di sovrapporre diverse pennellate in tempi relativamente
brevi, non tollera di mischiarle tra loro come con l’olio e quindi non si può
ripassare una pennellata. Se da un lato il lavoro deve essere quindi preventivamente
programmato, dall’altro esso è reso più facile per il fatto che il colore
asciugandosi non schiarisce o scurisce significativamente. Un altro limite è
rappresentato dalla limitata elasticità, che obbliga all’utilizzo di supporti
il più possibile rigidi; la maggiore possibilità di usare come elemento di
sostegno le tele è stato uno dei fattori che ha favorito il prevalere della più
elastica pittura ad olio. All’uovo, per ottenere colori più densi e lucenti, possono
essere aggiunte: resine, gomme ed oli essiccativi; per una resa più scorrevole
e per colori più chiari: latte, birra o vino. Le assi di legno sono state il
principale supporto delle tempere. Erano tagliate fino al Seicento,
prevalentemente con accette. La presenza del segno della sega le data
generalmente dal
Storicamente conosciamo tre fasi fondamentali della
pittura a tempera, contraddistinte dalle modalità di esecuzione. In quella più
antica, sino al passaggio tra Due e Trecento, il colore era dato in applicazioni
successive. Si procedeva per aggiunzione sia stendendo il colore uniformemente
in progressione, insieme il rosa su tutte le carni, il verde su tutti i tessuti
di quel colore, ecc; sia modificando il colore già preparato in precedenza con
l’aggiunta di altri pigmenti e non realizzando contemporaneamente i vari colori
che si intendevano usare. In pratica si delineavano le figure, poi si
coloravano tutte le varie parti modificando più volte lo stesso colore, quindi
si dipingevano i particolari, rilievi ed incavi, ed infine si lumeggiava con i
chiari e si ripassavano i contorni. In questo modo si permetteva l’astrazione
essenzialmente grafica di modelli figurativi tradizionali simili stereotipati e
la loro trascrizione nelle varie opere. Tale modalità consentiva un risparmio
dei colori, che essiccati non sono più impiegabili. Tale sistema era derivato
dalla tecnica di esecuzione delle miniature, che venivano appunto realizzate
applicando i singoli colori uno alla volta su più pagine parallelamente;
essendo necessario attendere ogni volta che esso fosse asciutto prima di
accostarvi il successivo. Il passaggio contemporaneo dalle pontate alle giornate
nell’affresco (di cui parleremo nella prossima scheda) segna un analogo passaggio
alla fase intermedia nell’uso della tempera. L’innovazione fondamentale, dalla
fine del Duecento, è costituita dall’esecuzione di un particolareggiato disegno
preparatorio, che definisce figura per figura i vari elementi coloristici. I
colori sono accostati e non sovrapposti, dipingendo completamente ogni singola
figura con i vari colori, preparati e conservati in singoli vasetti;
procedimento che, implicando un maggiore spreco, risultava più costoso.
Logicamente i particolari sono ottenuti sovrapponendo i colori. Va delineandosi
l’autonomia dell’artista rispetto ai modelli stereotipati, ben espressa dai
disegni preparatori. In entrambi questi due periodi, grazie alla citata
capacità di adesione della tempera su ogni supporto, la tavola è preparata con
un fondo dorato a foglia, che permette la resa di colori luminosi; da qui il
termine fondioro. La terza fase si sviluppa nel secondo
Quattrocento e consiste nell’uso della velatura, che riempie per successive
trasparenze sovrapposte. La ricerca è volta all’ottenimento di profondità
spaziali contenute in linee precise, che definiscono con accuratezza ogni
particolare. A tal fine per ottenere particolari effetti di brillantezza e
luminosità, si mischiavano al colore sostanze oleose e resinose (tempera grassa), ad esempio il Mantenga
riusciva a conferire una lucentezza gemmea ai suoi dipint.
Si avvia quella ricerca che porterà Jean Van Eych
alla consacrazione della pittura ad olio. Tra la tempera pura e questi ritocchi
con aggiunte a volte si usava fissare con la vernice la superficie. Quindi
attenzione che in questo caso la vernice non è lo strato finale del dipinto, ma
può essere anche intermedio. In epoche successive è accaduto anche il contrario
e cioè che si rifinissero a tempera, dopo aver sgrassato la superficie, pitture
ad olio.
Da ultimo ricordiamo, senza fare un lungo elenco
delle sostanze chimiche coloranti, la principale suddivisione dei pigmenti.
Naturali organici, suddivisi in vegetali quali: l’indaco, il campeggio, lo
zafferanone, ecc; ed animali quali: la porpora, la cocciniglia, il nero di
seppia, ecc. Naturali minerali: le terre, come