Bologna, via
Nazario Sauro 14/b
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Queste schede tecniche d’antiquariato sono
state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro
per la rubrica mensile edita sulla rivista
“L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non
riportate.
Si
ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte
presso il Tribunale di Bologna (www.peritoarte.it).
Scheda di approfondimento.
Il corallo seconda parte: dal Quattrocento al Novecento.
Fonti e documenti d’archivio dimostrano il
progressivo sviluppo dell’attività di pesca a partire dalla metà del XV secolo.
Le coralline (barche per la pesca del corallo) torresi, quelle siciliane, liguri, provenzali e catalane,
gareggiavano per la supremazia della pesca nel Mediterraneo; inizialmente lungo
le coste della penisola sorrentina, di Capri, della Corsica e della Sardegna,
della Sicilia, della Toscana e in seguito in Africa Settentrionale.
L'emanazione del bando contro gli ebrei del
1492 causò l'emigrazione di comunità ebraiche dalla Sicilia, dando impulso alla
produzione, soprattutto di grani per i rosari, in altri centri marittimi
italiani. L'introduzione del corallo nell'arte figurativa data dal
XV secolo. Non era ancora scolpito ma utilizzato al naturale in funzione di
albero, come sostegno di figure mitologiche o religiose, o quale elemento di
sculture complesse, per realizzarne le corna o le zampe di animali spesso eseguiti
in oro. Presso la corte napoletana troviamo i primi tagli, diversi dai
tradizionali grani sferici, a fetta di melone, a lenticchia, ecc.; e sullo
scorcio del Quattrocento cominciarono a essere eseguite le prime sculture. Dal
500' la lavorazione andò affermandosi in Sicilia e in particolare nel
trapanese. La tecnica incisoria permetteva di sfruttare appieno il
materiale grezzo di scarto, la base del cormo piena d'imperfezioni, denominata pedicino, non utilizzabile per la
produzione dei grani e più adatta a lavorazioni scolpite. La montagna di corallo, costituita da ben
85 figure, donata al viceré di Sicilia Filippo II nel 1570 segnò la definitiva
affermazione dell'arte scultorea del corallo in Sicilia. A Genova nel 1500 si
trasferì il maestro Filippo Santacroce di Urbino, portando l'incisione del
corallo ad altissimi livelli qualitativi.
Dal
XVII secolo l'arte del corallo si era ormai estesa a tutta l'Europa. Non solo a
Trapani e a Genova, che rimanevano le protagoniste dell'incisione, ma anche a
Napoli, Marsiglia, Barcellona, dove prevaleva la produzione del corallo liscio.
In Francia e in Germania fu di particolare pregio la lavorazione a cammeo con
la raffigurazione dei potenti del tempo. Negli oggetti preziosi destinati a
ornare la persona prevalevano i temi religiosi tradizionali: e nei lavori
trapanesi, l'ornamentazione era ricca di archi, colonnati e volute. Nel 600' la
lavorazione trapanese del corallo evolve nella caratteristica realizzazione di
pregiate composizioni di rame dorato e cormi rossi di corallo, in manufatti
destinati all'ornamento di arredi sacri e domestici. È, infatti, di tal genere
la prima opera di Trapani che rechi una data e una firma: si tratta dell'enorme
lampada a sospensione (circonferenza m. 1,25) conservata al Museo Pepoli di
Trapani ed eseguita da Matteo Bavera nel 1633. La più antica tecnica è detta a retro-incastro e consisteva
nell’inserimento nel rame di piccoli elementi di corallo levigato, fissati con
pece nera, cera e in alcuni casi con tela. L’opera sul retro era poi rifinita
con un'altra lastra di rame dorato preziosamente decorata a incisione. La solidità
di queste incrostazioni era assicurata dalla perizia dell'artigiano che aveva
l'accortezza di lasciare la base, o radice, del pezzo di corallo un po' più
ampia dell'apertura destinata ad accoglierlo, in modo che vi rimanesse incastrato
e non potesse staccarsi. La decorazione si arricchisce di smalti, in
particolare quelli bianchi che lasciano trasparire i metalli dorati. Questa
tecnica trovò applicazione negli oggetti più vari: scrigni grandi e piccoli,
vassoi, portafiori, cornici, specchiere, candelabri, servizi da scrittoio,
lampade, brocche, ostensori, acquasantiere, calici, pissidi, crocefissi,
capezzali, ecc. Nel Settecento proseguì intensa la lavorazione del corallo.
Marsiglia registrò un consistente calo della produzione, soppiantata dalle
fabbriche italiane nella lavorazione dei grani lisci. In particolare assunse
rilevanza Livorno, grazie soprattutto all'opera delle maestranze ebree, che esportava
molta della sua produzione in India, in Russia, in Cina; da dove importava
pietre preziose. Livorno acquisiva il corallo soprattutto dalla costa africana,
tramite la Compagnie Royale d'Afrique, che fu soppressa in seguito alla
Rivoluzione nel 1793. Per tutto l'Ottocento Livorno restò il porto di maggiore
esportazione, soprattutto del corallo grezzo, semilavorato e lavorato in grani,
verso: Ungheria, Boemia, Polonia, Impero Russo, Francia,
che richiedeva corallo sfaccettato in misure piccolissime, Germania,
soprattutto di sciarpe di rocchielli (ottenuti dalle punte di corallo) e botticelle, Asia
minore per la qualità rosso acceso, Americhe, in prevalenza creazioni di lusso
e i rocchielli sempre a sciarpe di due, tre o quattro fili, Africa
settentrionale, principalmente Egitto e Marocco, dove la domanda di coralli
chiamati in commercio maometti rallentò dal 1873 rispetto alla forte richiesta antecedente. Nel 1957 chiude il laboratorio
dei fratelli Lazzara; segnando la fine dell'attività corallina di Livorno.
Le
opere realizzate in Cina in epoca antecedente al XIX secolo sono scarse, cosi
come sono ancor meno numerose quelle giapponesi e orientali. Una
caratteristica della lavorazione orientale è costituita dal fatto che era
eseguita stando in piedi, tenendo il pezzo da incidere nel palmo della mano, e
non su un rigido banco, cosi da attutire la pressione esercitata sul corallo ed
evitare il possibile danneggiamento dell'opera in esecuzione.
Re Carlo di Borbone con un editto del 1740
richiamò gli ebrei nel Regno delle Due Sicilie, per incrementare gli
investimenti e i commerci nel porto di Napoli. L'Ottocento segnò il trionfo della produzione di Torre del Greco, che si avvalse anche
della notevole quantità di grezzo fornito dai giacimenti di Sciacca. Il mutamento del gusto e il passaggio a un'ampia committenza
borghese, seguente la Rivoluzione, portarono a sviluppare, accanto ai manufatti
incisi, una vasta produzione di gioielleria, soprattutto di splendide parure,
ornamenti per capelli, collane, principalmente a motivi floreali.
Caratteristica è la lavorazione dagli scarti e dei pezzetti più piccoli di
corallo da cui si ottenevano petali e fogliette. Gli ornamenti di corallo
diventarono un obbligatorio accessorio nell'abbigliamento, seguendo i dettami
dalla moda imposta da Parigi, anche in seguito alla passione dimostrata per
essi da Carolina Bonaparte.
Tra i molti laboratori partenopei il posto più rilevante
fu occupato nel 1805 dall’attività del marsigliese,
Paul Barthèlemy Martin, che trovò collaborazione in Filippo Rega, direttore
dell’Opificio di Pietre Dure, che tra il 1809 e il 1811 fece eseguire un guéridon
oggi conservato al Musée National du Château de Fontainebleau. L’opera è
assimilabile a uno dei quattro esemplari che furono commissionati tra il 1809 e
il 1811 al Real Laboratorio delle Pietre Dure di Napoli da Gioachino
Murat, come probabile dono al cognato Imperatore. Tra i ricordi del Gran Tour
diventò consueto riportare dal napoletano un manufatto di corallo, determinando
l'identificazione, ancora attuale, tra la sua lavorazione e il territorio di Torre
del Greco. Il revival storicista portò alla ripresa dei temi neoclassici
soprattutto nell'ultimo quarto del secolo; quando l’importazione di corallo dal Giappone, che meglio si adattava
alla realizzazione di opere plastiche, per dimensioni maggiori e struttura più
compatta, favorì la realizzazione di opere più imponenti.
Le
fasi della lavorazione dei grani di corallo: -Lavaggio, consistente
nell'asportazione della parte esterna più giovane non ancora calcificata.
-Tagliatura. -Bucatura dei cilindri grezzi con il fuso, strumento costituito
dal classico trapano ad arco munito di un ago affilatissimo. L'operazione manuale
realizza un foro di entrata non sempre allineato a quello di uscita.
-Rocciatura, ottenuta tramite mole scanalate che danno la forma globulare ai
cilindretti. -lucidatura.
Per
saggiare l'autenticità del corallo è sufficiente bagnare con una goccia di acido
muriatico (come quello normalmente usato per pulire i bagni) un punto del
corallo (possibilmente non in vista). Si ottiene così una reazione di
effervescenza, causata dallo scioglimento del calcare di cui il corallo è
essenzialmente costituito. Se tale reazione è assente si tratta di
un'imitazione. È altresì necessario osservare con attenzione la presenza dei
segni di accrescimento organico, per evitare di prendere per buone imitazioni
ottenute ad arte con impasti calcarei.