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Nazario Sauro 14/b
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Queste schede tecniche d’antiquariato sono
state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro
per la rubrica mensile edita sulla rivista
“L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non
riportate.
Si
ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte
presso il Tribunale di Bologna (www.peritoarte.it).
Scheda di approfondimento.
Il corallo prima parte: dall'antichità al Quattrocento.
Per la pesca del
corallo, fino a tempi recenti, si sono utilizzati attrezzi devastanti; e
purtroppo ancor oggi, che la raccolta può compiersi solo con sommozzatori
autorizzati, si continua con queste pratiche illegali, che hanno portato alla
rarefazione dei banchi di corallo. Uno di questi attrezzi è la Croce di S.
Andrea, composta di quattro braccia disposte a croce, con superiormente all'estremità delle specie di rampini per strappare
il corallo e fissate al di sotto un groviglio di reticelle per raccoglierlo;
essa permette di entrare negli anfratti dove il corallo cresce a testa in giù e
di sradicarlo. Un altro utensile molto simile è l'Ingegno, composto di un palo
su cui sono fissate alcune corde con legate a varie distanze delle reticelle;
esso riesce a operare a maggiori profondità della Croce di S. Andrea, fino
oltre i 40 metri, dove è molto buio e il corallo cresce e si sviluppa verso
l'alto su pareti perpendicolari nei luoghi in cui la corrente marina non permette
il deposito di detriti sulle rocce.
Il corallo fu
lavorato sin dall'antichità sia in Europa sia in Asia; alcuni reperti di grani
risalgono a 10000 anni a. C. L'assenza di maschere subacquee non consentiva una
chiara visibilità e i pescatori, procedendo a casaccio, spesso scambiavano
comuni anemoni marini per coralli; contribuendo a ingenerare la credenza che il
esso fosse una pianta, molle In acqua e i solidificantesi a contatto con
l'aria. Solo nel Settecento si scoprì che le ramificazioni coralline sono
create da colonie di piccoli animali (polipi) secernenti una sostanza calcarea.
Lo scheletro calcareo, durissimo è ricoperto da uno strato di tessuto molle
chiamato cenosarco, che è rimosso durante la lavorazione. Fu Henry Lacaze-Duthiers, nel 1864, a stabilirne
definitivamente la natura con la sua monumentale opera “L’histoire naturelle
du corail”.
Il mito greco-romano descriveva così la nascita del corallo: esso era nato
dalle gocce del sangue, che cadendo dalla testa recisa della Medusa, adagiata
da Perseo su dei ramoscelli acquatici, li bagnavano, tingendoli di rosso e pietrificandoli.
Alcune Ninfe marine, accorse, li raccolsero per adornarsene i capelli e così
facendo ne dispersero i semi in mare, dando in tal modo origine al corallo. La
diffusione del corallo nell'antichità è ancora oggetto di studio. Le fonti parlano principalmente di un impiego a scopo
profilattico e medico. Nell’Antico Egitto la polvere di corallo era sparsa sui
campi per propiziare i raccolti; scarabei e amuleti di corallo erano posti a
protezione dei defunti nella loro nuova vita ultraterrena. Il corallo polverizzato, era utilizzato per cure e ricette, per
le presunte proprietà, soprattutto astringenti e rinfrescanti, che si pensava possedesse
contro numerose malattie. Presso i Greci esso era appunto
impiegato come medicinale e il materiale, soprattutto grezzo, per offerte di
ramoscelli ai templi; ma anche, più marginalmente, per la gioielleria. I Romani
consideravano il corallo efficace sia per la cura
di varie malattie sia come amuleto, in particolare per la protezione dei
neonati.
Il loro interesse prevalente per le perle li portò a scambiarne grandi
quantità, sembra alla pari un grano contro una perla, a partire dal I secolo
d.C.; quando dall’Egitto romano, tramite il Mar Rosso, se ne intensificarono le
esportazioni verso l’Oriente e i porti dell’Arabia e dell’India. I Romani furono i primi a realizzarne piccole sculture e opere
d’arte.
Alla metà del I sec. d. C. il corallo è ormai esportato in tutti gli empori
della costa occidentale dell'India, fino al Malabar. Reperti di corallo sono
stati segnalati a Ràjgàht, Benares e a Maski nel Deccan meridionale. Perline di
corallo, in notevoli quantità, sono state ritrovate a Sri Lanka, più
precisamente a Ridiyagàma e Anuràdhapura. Le fonti attualmente note non
consentono di indicare, fino all'età medioevale, altri momenti nella storia
delle esportazioni di corallo mediterraneo verso il subcontinente indiano, testimoniate
con sicurezza da autori e documenti arabi solo a partire dal X sec. d. C. Il
corallo è sempre stato considerato in possesso di virtù apotropaiche
(scaramantiche, propiziatorie), da cui derivava l'uso di indossare monili o di
scolpire statue a esempio a forma di pene. Reperti archeologici documentano la
presenza di amuleti e gioielli in corallo del Mediterraneo anche in Afghanistan
e in Cina. Nel Medioevo l’interesse delle popolazioni dell’Arabia, così come
dell’Estremo Oriente per i coralli continuò; come raccontato da Marco Polo nel "Milione",
esso era molto ambito sia dai Mongoli sia dai Tibetani. L’interesse per il
corallo è testimoniato da alcuni splendidi artefatti appartenenti alla
straordinaria collezione "De Simone, di Torre del Greco" tra cui: un'armatura
di un cavaliere della Mongolia, un piatto rituale del Nepal e alcuni gioielli
dello Yemen. Dal popolo nomade della Mongolia gli è stato attribuito la valenza
di energia vitale e di equivalente del fuoco, potenziato dall’accostamento al
turchese, simbolo dell’aria. In Mongolia, come in altre regioni d’Oriente, i
gioielli in corallo si supponeva svolgessero una funzione protettrice nelle
varie fasi della vita: la nascita, la circoncisione, la pubertà, il matrimonio.
Nello Yemen con l’affermarsi dell’Islam, durante il VII secolo d.C., si andò
rafforzando l’ammirazione per il corallo, inteso come simbolo di bellezza (nel
Corano le vergini nel giardino del paradiso sono paragonate a rubini e coralli).
La tradizione della gioielleria yemenita è strettamente correlata con la
comunità degli orefici ebrei stabilitisi nella penisola già in epoca antica. È
necessario ricordare i Celti, che ebbero un tale culto per il corallo che,
quando venne loro a mancare, perché avviato su altri mercati più remunerativi,
ne crearono un sostituto nello smalto rosso.
La
principale differenza tra Occidente e Oriente nella lavorazione del corallo non
è costituita da tecniche diverse, ma da un differente approccio culturale.
L'Occidente predilige l'aspetto formale e poco si cura di conservare il
naturale andamento strutturale del materiale; al contrario l'Oriente si preoccupa
di preservarlo, conservando nei manufatti le torsioni tipiche dei rami. Due sono le principali lavorazioni del corallo: quella liscia e
quella incisa. La lavorazione liscia realizza sfere, cannettine per collane,
barilotti, olivette, e cabochons. L’incisa, eseguita dai Maestri, consiste
nello scolpire nel corallo medaglioni, motivi floreali, statuine, ecc.
L’artista oltre a tenere conto dell'andamento del corallo deve saperne
percepire le potenzialità e realizzarle a colpi di bulino. Sono necessari, oltre
al talento, anni di tirocinio e di studio.