Bologna, via
Nazario Sauro 14/b
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Queste schede tecniche d’antiquariato sono
state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro
per la rubrica mensile edita sulla rivista
“L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non
riportate.
Si
ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte
presso il Tribunale di Bologna (www.peritoarte.it).
Scheda di approfondimento.
Il cuoio
decorato seconda parte: dal Rinascimento all'Ottocento.
Dal
Rinascimento l’utilizzo del cuoio decorato s’intensifica, rivolgendosi a ogni
elemento dell’arredo. Dal Seicento si rivestono di cuoio lavorato sedili e
seggioloni. Prima di questo secolo esistono solo rarissime tappezzerie
documentate; per cui se un arredo presenta tappezzerie originali in cuoio e il
suo stile è anteriore al XVII secolo si tratta sicuramente di rifacimenti
storicisti o di falsi. Il cuoio è utilizzato per tappezzare anche le pareti a
partire dalla fine del XVI secolo. A Venezia, tra il XV e il XVII secolo, fiorisce
la tecnica chiamata dei “cuori d’oro” o “cuoi d’oro”; consistente nella
realizzazione di pannelli di cuoio impresso e dipinto. Essa è documentata già
dal XV secolo, importata dall’Oriente e dalla Spagna; facendo di Venezia uno
dei principali centri di produzione. Nel 1572, il medico e studioso Leonardo
Fioravanti, nel suo trattato “Dello specchio di Scientia Universale. Dell’arte
de’ corami d’oro e sua fattura”, detta le norme per la decorazione del cuoio,
tramite l’uso della doratura, dei punzoni e delle lacche e vernici. La pelle
conciata era bagnata, battuta, levigata, tagliata e asciugata. Il disegno era riportato con una tecnica simile alla
xilografia. La superficie era poi punzonata con piccoli ferri o punzoni di bronzo: quadrati, a spina di pesce, a
occhio di gallo, incisi con una linea retta, una
curva di determinata ampiezza, un ornato, ecc. Con
questi ferri il decoratore compone il disegno e lo imprime semplicemente a
caldo, ottenendo un'impronta a secco, incavata sul cuoio, nitida, lucida e
d'intonazione oscura, ottenendo un chiaroscuro tattile. Per ottenere l’ornato dorato si lavava il cuoio con aceto, poi si utilizzava
l’albume d'uovo come mordente, passandolo con un pennello sulle parti impresse.
Dopo l’asciugatura si cospargeva su tutta la superficie della pelle un poco
d'olio di mandorle e si posavano le foglie metalliche (si preferiva utilizzare una
foglia d’argento al posto della più costosa foglia d’oro, che era poi coperta
da una vernice resinosa color oro. Procedimento noto come meccatura) sulle parti da dorare, comprimendole leggermente
con un batuffolo di bambagia. Poi, scaldato il ferro sopra una fiammella fino a
un certo grado di calore, lo s'imprimeva con cura sulla precedente impronta,
ferro per ferro, ripercorrendo tutto il disegno. Il mordente faceva presa solo
nelle parti sottoposte a pressione. Quando tutta la superficie da dorare era
così ristampata, con un batuffolo di cotonina si toglieva la parte d'oro non
impressa e perciò non aderente alla pelle. Si utilizzavano direttamente sulla foglia anche i godroni (in
francese roulette), rotelle di
bronzo imperniate su di un asse fissato con una forcella
a un manico,
su cui sono incise nello spessore del bordo in maniera continua
circolare i disegni da stampare; essi ruotando potevano imprimere un motivo per una
lunghezza teoricamente indefinita. In questo caso bisognava porre particolare
attenzione alla temperatura di riscaldamento del godrone, perché troppo caldo
rischiava di bruciare il lavoro e troppo poco caldo di non permettere
l’esecuzione di tutto il tratto che si vuole operare. Se il ferro è ben applicato, la foglia risulta
luccicante e nitida. Se il mordente è troppo umido, l'incisione rimane piena di
metallo. Il mordente troppo asciutto o il calore insufficiente lo rendono esile
e svanito. Con il calore troppo forte l’applicazione riesce sbavata,
bucherellata e di un tono grigio. La pressione irregolare rende alcune parti
belle, brillanti e nitide e difettose altre. Ancora più veloce era la placca,
che consentiva la decorazione di un intero decoro in un'unica impressione, grazie
all’uso di un torchio, anche con elementi figurati complessi. Oggi sono
disponibili fogli d’ottonella già preparati su una delle superfici con
l’adesivo, in modo da saltare la fase dell’applicazione dell’albume. Ricordiamo
che l’ottonella è disponibile solo dalla seconda metà dell’Ottocento, quando è
stato possibile ottenerla con sistemi elettrochimici. In antico l’oro era
lavorato dai battiloro, che riuscivano a ottenere fino a cento foglietti per
doratore da un solo grammo d’oro (per un approfondimento sulle tecniche di
doratura, vedi le schede tecniche al sito dell'autore). Quindi si procedeva
a una colorazione con lacche o pigmenti coprenti a legante oleoso, che dal
Settecento, impiegò un’ampia gamma di colori. I bordi delle pelli erano uniti cucendoli
assieme e per incollaggio solo dalla seconda metà del ‘600. I decori erano
ripresi dal repertorio tessile: fiori e frutta stilizzata formavano mazzi,
festoni e ghirlande, spesso insieme a stemmi, animali, o putti. A Venezia erano
spesso ispirati dai decori orientali. I maestri “cuoridoro” facevano parte
della corporazione dei pittori. Sono ancora presenti in città i riferimenti
alle sedi di tali attività: ponte del cuoridoro, calle o sotoportego del cuori doro,
ecc. Con il ‘700 la carta da parati portò al declino di quest’arte che dalle
settanta botteghe attive in precedenza le vide ridursi nella seconda metà del
secolo a sette. Alla fine dell’800 era ormai presente un solo artigiano. Alla lavorazione
del cuoio concorrevano anche altre tecniche in uso
dai tempi più remoti con cui si ornavano oltre alle tappezzerie: piani di
mobili, cofanetti, scatole, cuscini, cinture, rilegature di libri, ecc. Una tra
le più importanti era quella dell’incisione
a fuoco, detta anche pirografia. Essa si
eseguiva tracciando un solco con una punta di metallo arroventato, oppure più
recentemente con un apposito apparecchio riscaldante a benzina o elettrico,
detto pirografo. Si realizzava una linea incavata più o meno profondamente, di tonalità
bruna tendente al seppia. Si decalcava il disegno sul cuoio bagnato steso su
un piano liscio. Si maneggiava la punta come se si disegnasse con una matita. Secondo
la profondità che si voleva ottenere, si premeva con maggiore o minore forza,
con movimento fluido, senza soffermarsi sulla pelle, procedendo uniformemente e
senza incertezze. Preferibilmente si utilizzava cuoio liscio di spessore
medio-alto, conciato senza l’impiego di grassi. Dall’Ottocento si sono utilizzati
vari procedimenti per imitare il cuoio, dall’uso di carte e cartoni alla vera e
propria finta pelle, generalmente ottenuta dal petrolio. Su molti arredi
dell’Ottocento è presente un rivestimento ottenuto dai cascami di pelle
incollati su tessuto, da non confondersi con il marocchino, con cui s’indica la
pelle di capra o di montone.
Tutto un capitolo dovrebbe essere dedicato al
settore della legatoria, ma ne faremo oggetto di una prossima scheda
appositamente dedicata a tale argomento.