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Nazario Sauro 14/b
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Queste schede tecniche d’antiquariato sono
state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro
per la rubrica mensile edita sulla rivista
“L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non
riportate.
Si
ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte
presso il Tribunale di Bologna (www.peritoarte.it).
Scheda di approfondimento.
Gli
automi nell'arte, parte terza "Dal Cinquecento a oggi".
La produzione di orologi
pubblici provvisti di automi in Occidente fu molto ampia. La parte maggiore è
costituita dagli jaquemarts, personaggi di legno o metallo, che suonavano le
ore colpendo una campana. Famosissimi i due Mori di piazza San Marco a Venezia.
Non ci dilunghiamo troppo su tali orologi, che richiederebbero una trattazione
specifica. Un altro massiccio utilizzo degli automi fu quello applicato alle
fontane, dove la forza motrice dell'acqua era facilmente disponibile. Alla fine del Cinquecento l'ingegnere e architetto Salomon
de Caus (1576-1626)
inventò un cilindro programmabile, come quelli dei carillons, in grado d'imitare
il canto degli uccelli o il suono di differenti musiche. Nel
1615 pubblicò il suo trattato "Les Raison des Forces Mouvantes,
diverses avec machines utiles Tant que sont auxquelles puissantes, dessins
plusieurs de grottes et Fontaines";
e s'installò nel palazzo reale di Heidelberg al servizio dell'Elettore Palatino
Federico V (1596-1632). Circa nel 1614 cominciò a lavorare su
quello che sarebbe diventato il suo capolavoro, un giardino spettacolare noto
come Hortus Palatinus. Anche in Italia, per esempio presso la villa di
Tivoli, esistevano automi collocati nelle fontane, così come ce le ha descritte
nel 1581 Michel Eyquem de Montaigne (1533
–1592)
nel suo "Journal de voyage". Ricordiamo anche le grotte di
Saint-Germain-en-Laye progettate da Tommaso Francini (1571-1651), in cui ad esempio
nella grotta
di Orfeo gli
animali si muovevano avvicinando la testa al dio per ascoltare la musica della
sua cetra. In Giappone, durante il periodo Edo (1603–1868), nacquero le karakuri ningyō, che grazie a
una complessa serie di molle, contrappesi, ruote e ingranaggi di legno compivano
azioni complesse. La Cha Hakobi
Ningyō era in grado di servire il tè; quando si poneva una
tazza sul vassoio, che essa reggeva, si attivava una serie d'ingranaggi, che la
facevano camminare in una determinata
direzione. Oppure la Dangaeri
Ningyō, che eseguiva capriole all’indietro, imitando alla
perfezione i movimenti di un corpo umano. Erano bambole “da salotto” e non
avevano altro scopo che quello di intrattenere e di stupire gli ospiti. Particolare
l'arciere (Karakuri), che è capace di scagliare quattro frecce di cui tre
centrano sempre il bersaglio, ma una non
va a segno. Si tratta di un errore voluto, poiché il colpo che fallisce è sempre lo stesso. Sembra
che ciò sia connesso al pensiero zen,
altrimenti definito “buon senso”. L’arciere sbaglia il colpo semplicemente perché nessuno è perfetto, nemmeno un
automa. René Descartes (detto
Cartesio1596-1650) pose le basi per quella che sarà chiamata cibernetica,
paragonando il corpo umano con quello delle macchine; i nervi e i muscoli a
valvole e pistoni. Hans Schlottheim (1545-1625) di Augusta fu uno dei
più noti costruttori di tali macchine, e realizzò, intorno al 1585, un galeone
medievale, con orologio. Quest'automa, realizzato in rame dorato e acciaio, è
stato progettato per annunziare il banchetto, avanzando lungo una grande
tavola. I marinai di vedetta nelle coffe scandiscono le ore e i quarti d'ora,
battendo le campane con dei martelli. I principi elettori del Sacro Romano
Impero, guidati da araldi, passano in processione davanti al loro Imperatore,
seduto sul trono ai piedi dell'albero maestro. Il gran finale è prodotto dai
cannoni, che aprono il fuoco, generando copioso fumo e frastuono. Nel corso del
Seicento sono stati fabbricati molti tipi di automi, anche in materiali preziosi,
a forma di animali: vermi, ragni, topolini, lucertole, ecc. In Francia nel 1649
un artigiano di nome Camus progettò per Luigi XIV (1638-1715), ancora bambino, una
carrozza in miniatura, con cavalli completi di fanti e una dama nella vettura;
tutte queste figure mostravano un movimento perfetto. Secondo quanto riportato
da P. Labat, il generale de Gennes costruì, nel 1688, oltre a macchine per
l'artiglieria e la navigazione, un pavone che camminava e mangiava. Il
Settecento fu il secolo degli automi. Prendiamo in esame i due inventori più
noti del secolo. Nel 1741 all'Accademia di Lione è stato registrato un atto che
recita testualmente: <Monsieur Vaucanson ha portato a conoscenza di quest'Accademia
un suo progetto, vale a dire la costruzione di un automa che imiterà nei
movimenti tutte le funzioni della vita, la circolazione del sangue, la
respirazione, la digestione, i movimenti dei muscoli, dei tendini, dei nervi e
così via. L'autore ritiene che potrà, per mezzo di quest'automa, fare
esperienze sulle funzioni animali e trarre induzioni per conoscere i differenti
stadi della salute umana, per rimediare così ai suoi mali. Questa macchina
ingegnosa, che rappresenterà un corpo umano, potrà infine servire per una
dimostrazione in un corso di anatomia>. Jacques de Vaucanson (1709-82),
inventore del telaio automatico, programmabile tramite schede perforate, costruì
il flautista, considerato il primo vero androide, di cui sopravvive solo la
descrizione: <La
figura è alta cinque piedi e mezzo, è seduta su una roccia posta su un
piedestallo cubico. Nella parte anteriore del piedestallo si vede sulla destra
un meccanismo che, con la trasmissione di molte ruote dentate, pone in
rotazione un albero a gomiti cui sono collegati, tramite dei fili, sei
soffietti, i quali sono così posti in movimento. Altri tre soffietti sono
collegati allo stesso albero, superiormente ai precedenti. Questi nove
soffietti convogliano l'aria da loro prodotta in tre differenti condotti,
separati. I tre condotti arrivano a tre differenti camere che fungono da
accumulatori. Di qui i condotti si riuniscono e giungono alla cavità della
bocca del flautista. Apposite linguette regolano il flusso e la pressione
dell'aria soffiata. Sulla sinistra del piedestallo, un altro meccanismo a molla
fa ruotare un cilindro lungo due piedi e mezzo e avente una circonferenza di
sessantaquattro pollici. Esso è suddiviso in quindici parti eguali, ciascuna di
un pollice e mezzo. Su di esse si appoggiano altrettanti tasti, le cui leve,
mobilissime, sono mosse da denti posti alla periferia del cilindro. All'altra
estremità delle leve si dipartono dei fili che comandano l'apertura delle
valvole, il movimento delle dita, delle labbra e della lingua del flautista. Poiché
il cilindro, che funziona sul principio di un carillon, è dotato, oltre al moto
di rotazione, anche di un moto di avanzamento lungo il suo asse, è possibile a
ogni giro variare le combinazioni dei movimenti. Lo studio dell'anatomia
raggiunge livelli di eccellente perfezione nell'imitazione del soffio delle
labbra, in modo da poter indurre nel flauto le note di ben tre ottave. Con
l'azione di una levetta che varia l'apertura delle labbra, s'imita l'azione di
un uomo vivo, che è costretto a forzare per ottenere i toni bassi. Con la leva
che ritrae le labbra, s'imita l'azione con cui esse sono allontanate dal becco
del flauto. Con la leva che regola il flusso d'aria che proviene dal serbatoio,
si riescono a imitare perfettamente le azioni dovute ai muscoli del petto>. La
sua più grande opera fu senzaltro un'anatra, un automa di tale versatilità da
non essere ancora stato superato. Tuttora visibili al Museo d'Arte e di Storia
a Neuchâtel (la prima domenica di ogni mese si può vederli in funzione) i tre
automi di Pierre Jaquet-Droz (1752-1824): lo scrivano, il disegnatore, la
pianista. Molti automi, soprattutto uccelli canori, sono stati destinati a
scatole per signore e a tabacchiere, spesso eseguite in materiali preziosi. Sicuramente
la maggioranza degli automi furono inseriti in orologi sia da tasca, sia
d'appoggio. Una categoria particolare è rappresentata dagli automi a soggetto
erotico destinati agli orologi da tasca. Bisogna fare molta attenzione all'alto
numero di falsi prodotti, adattando orologi antichi. Nel corso del XVIII e del
XIX secolo sono stati creati da vari autori, sempre in gran parte destinati a
orologi, molti automi raffiguranti: indovini, prestidigitatori, maghi. Sterminato
il numero di ballerine inserite in scatole musicali. Tutti gli automi erano
molto dispendiosi, soprattutto per il tempo e l'abilità richiesta per la
progettazione e l'esecuzione; ma sicuramente quelli famosi inseriti da Fabergé
(Peter Carl 1846-1920) nelle sue uova furono e sono i più costosi. Dal XX secolo gli automi sono sempre più
relegati alla funzione di giocattoli. Con l'elettronica inizia la moderna era
dei "robot".