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Nazario Sauro 14/b
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Queste schede tecniche d’antiquariato sono
state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro
per la rubrica mensile edita sulla rivista
“L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non
riportate.
Si
ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte
presso il Tribunale di Bologna (www.peritoarte.it).
Scheda di approfondimento.
La
scagliola, prima parte, cenni storici.
Questa scheda è stata redatta dalla dottoressa Mara
Bortolotto, perito d'Arte presso il Tribunale di Bologna.
La pietra di luna.
Questo nome deriva alla Scagliola per il fatto di essere
ottenuta dalla Selenite (Solfato di Calcio biidratato) un minerale che si trova
in natura con una caratteristica conformazione a scaglie. I pezzi di Selenite erano
estratti dalle cave e posti in forno, dove alla temperatura di 128° C si
disidrata e incomincia a polverizzare. In seguito la polvere era tolta dal
forno, pestata in un mortaio per polverizzarla completamente, e dopo averla ben
setacciata da ogni impurità si otteneva la polvere bianca detta Scagliola.
Questa polvere rimescolata all'acqua, tende a ricomporre la sua struttura
originaria, ma il gesso che si ottiene è fragile e tenero; però se mescolata a
colle e in seguito essiccata e trattata con oli e cere, raggiunge uno stato di
concreta durezza con buone proprietà di resistenza e impermeabilità.
La scagliola rientra in quel tipo di pratiche
artistiche, che tendono a stupirci per la loro stessa natura curiosa e
particolare, sia per il piacere estetico che ci procurano; sia sotto l’aspetto
tecnico.
Fa parte di una tradizione artigiana, che dura nel
tempo ed evolve continuamente. Questa tecnica sostituisce nella sua esecuzione all’utilizzo
dei materiali più nobili e costosi, quello dei più semplici ed economici. Questo
è un fenomeno che caratterizza tutta la transizione dal Rinascimento al Barocco.
A mano a mano che cresceva la difficoltà di usare certi materiali, sia perché
meno reperibili, sia perché troppo costosi. Il Barocco è uno stile in cui si
utilizzano spesso preziosi intarsi marmorei, ma è costante la presenza dell’imitazione,
quale il finto marmo, o lo stucco usato come pietra. La scagliola si avvale
della bellezza della materia e della raffinatezza tecnologica, che può farci
credere a una preziosità che, di fatto, non c’è. Altri manufatti che ritroviamo nelle tecniche
della scagliola sono i trompe-l’oeil. Essi rendono perfettamente l’imitazione
della realtà che quest’arte riesce a esprimere dandoci il massimo della
soddisfazione e del piacere visivo. La scagliola in definitiva è un’arte che ne
imita un’altra, piuttosto che imitare la natura, sollecitando i sensi a
scambiare per reale ciò che è, di fatto, una sostituzione. Il presupposto di
questa difficile operazione è contenuto in un’elementare necessità, il
passaggio, dalla ricchezza alla povertà ottenendo lo stesso risultato. Anche
se, il carattere imitativo, e l’uso di un materiale non pregiato hanno talvolta
provocato un giudizio riduttivo, che ha relegato la scagliola al rango di
genere artigianale privo di autonomia creativa, essa è in vero una tecnica che
racchiude in sé la bellezza solenne e splendente della materia, che solo per
merito di una raffinata tecnologia può farci credere a una preziosità che, di
fatto, non esiste.
Questo materiale è conosciuto in Italia anche come “meschia”
o “mestura” nel modenese, pasta di marmo a Napoli, come “stuck-marmor” in
Germania e come “ bossi work” in Inghilterra (dal nome dell’artefice italiano attivo
a Dublino alla fine del Settecento). Le opere in scagliola hanno avuto un’ampia
diffusione in Europa tra il XVII e il XIX secolo. In quest’arco di tempo si
sono delineate alcune aree e periodi in cui la produzione, grazie al
verificarsi di condizioni particolarmente favorevoli, ha avuto punte di
concentrazione rilevanti: in Baviera, in Lombardia e nel Modenese; in
particolare a Carpi dove si possono individuare le fasi più precoci, con la
presenza di artefici e opere che vanno diradandosi sullo scorcio del Seicento. Nell’Emilia
Romagna la scagliola ebbe un particolare sviluppo, favorito dal fatto che la
regione è povera di marmi, ma dispone di cave di gesso. In Toscana, invece,
regione che vanta un’antica tradizione, è nel corso del Settecento, fino alla
prima metà dell’Ottocento, che si riscontra il maggior interesse per questo
genere di lavori e s’instaura una rete di contatti che ne consentirà
l’affermazione anche in Inghilterra.
Committenti come Massimiliano di Baviera o il Granduca Pietro Leopoldo
di Toscana, sempre attratti dai diversi aspetti delle arti e delle scienze, e i
viaggiatori inglesi interessati all’artigianato italiano, nel loro entusiasmo
per i lavori in scagliola, erano senz’altro colpiti dai risultati estetici
ottenuti attraverso una tecnica complessa e sempre in via di sperimentazione e
che manteneva all’oggetto finito un carattere domestico e più caldo rispetto
alla fredda perfezione dei mosaici di pietra dura, in cui l’esaltazione del
materiale catturava spesso tutta l’attenzione ponendo in secondo piano
l’insieme dell’opera. Nei lavori di scagliola le potenzialità espressive sono
molte. Il repertorio figurativo e ornamentale si presenta assai vasto e sempre
basato su di un gioco illusionistico. La figura o l’ornamento possono simulare a
prima vista: una tarsia marmorea, di ebano o di avorio, un’incisione, una
pittura su vetro, una natura morta. Tutto espressamente connesso all’abilità
tecnica, alle capacità grafiche del disegno, al gusto e alla creatività
dell’artefice; da questo insieme dipendeva il risultato finale. Alla base stava
una ricerca continua di “ricette” (se così si possono chiamare) frutto del
lavoro artigiano d’importanti botteghe; che erano costantemente alla ricerca di
nuove espressioni artistiche, non solo per la realizzazione di effetti sempre
nuovi e sorprendenti, ma anche per raggiungere una migliore conservazione e una
più brillante e stabile lucidatura della superficie. Hans Kerschpaumer, a
Salisburgo nel 1591, è il primo artigiano di cui abbiamo traccia, a realizzare
piani di tavolo e altri oggetti raffiguranti vedute, uccelli e fiori per il
conte Ferdinando del Tirolo. È di Blasius
Pfeiffer (attivo dal 1587 al 1622) la prima opera giunta a noi,
è la Reiche Kapelle della Residenza di Monaco, iniziata nel 1607, totalmente
rivestita di scagliola a disegni geometrici con inserti di vedute e vasi di
fiori, che fu portata a compimento dal figlio Wilhelm nel 1632. I migliori
risultati si possono attribuire in Italia a due importanti botteghe lontane
dalle manifatture di Corte. La prima la troviamo nella solitudine di un Eremo:
il Paradisino o romitorio delle celle, del monastero di Vallombrosa presso
Firenze. Qui l’abate Enrico Hugford (1695-1771) si era ritirato dedicando il
suo tempo a esercizi religiosi e a lavori manuali. La pace e la bellezza del
luogo erano le condizioni ottimali per la pratica intellettuale e artistica. Il
celebre monaco seppe impiegare ingegnosamente l’arte della scagliola, dedicando
la sua vita al perfezionamento della tecnica pittorica con una sicurezza mai
eguagliata in precedenza, sfruttandone le capacità espressive nella messa a
punto di una virtuosistica pittura lucida e inalterabile. La seconda fu la
bottega livornese dei fratelli Della Valle Pietro e Giuseppe, che raccolse i
maggiori riconoscimenti tra il quarto e il quinto decennio del XIX secolo. La
loro produzione si caratterizza principalmente, per l’uso di supporti neri di
ardesia o di marmo bianco rivestiti di scagliola e decorati con pannelli
pittorici che rappresentano abilmente i luoghi e i monumenti più celebri d’Italia.
La scuola toscana mantenne viva questa produzione nel corso del XVII secolo
attraverso gli allievi di Enrico Hugford e con l’istituzione di una cattedra,
anche se per breve tempo, presso l’accademia di Belle Arti di Firenze, numerosi
furono per tutto l’Ottocento i laboratori attivi a Firenze, dove quest’arte è
tuttora praticata.
In Italia allo stato attuale resta da colmare una
serie di lacune, soprattutto per quanto concerne la produzione dell’Italia
Centro-Meridionale e la storia della scagliola si presenta in un panorama ancor
frammentario. Infatti, una verifica degli esemplari di destinazione ecclesiastica
ancora in loco, oppure conservati nei musei o segnalati sul mercato antiquario,
forniscono spesso elementi preziosi, come datazioni, firme o sigle, che restano
però nella maggior parte dei casi privi di contesto.