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Nazario Sauro 14/b
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Queste schede tecniche d’antiquariato sono
state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro
per la rubrica mensile edita sulla rivista
“L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non
riportate.
Si
ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte
presso il Tribunale di Bologna (www.peritoarte.it).
Scheda di approfondimento.
La
carta stampata da arredamento. Parte seconda.
Metodi di stampa della carta.
Nella scheda precedente abbiamo descritto come si
realizzavano e si stampavano le matrici di legno nel processo xilografico.
Continuiamo nella descrizione della produzione dei Papiers peints. Si potevano affiancare anche più strisce ottenendo
pannelli composti di due, tre o quattro rotoli, che poi erano rifiniti a mano,
sia nei punti di contatto, sia per dare caratteristici effetti luministici, in
particolare con il bianco. Un ciclo pittorico poteva essere composto di più
pannelli. Si trattava di una tecnica complessa, che richiedeva per ogni
soggetto, fino a 150 cliché. Essi potevano essere dipinti a colori, come le splendide
carte panoramiche, od a grisaille, cioè con il bianco e varie tonalità di
grigi, come il famoso ciclo di Psiche. I colori preferiti erano il rosso, il
giallo ed il verde, affiancati anche da viola, blu, toni del marrone e
naturalmente bianco. In aggiunta al tradizionale giallo ottenuto dalla
bollitura dei semi d’Avignone ed al bruno terra di Siena tra il Sei ed il Settecento,
si aggiunsero altri colori chiari. L’azzurro, composto da indaco macinato con
la biacca. Il giallo, orpimento (solfuro d’arsenico) stemperato nell’acqua. Il
verde, indaco macinato mischiato con l’orpimento stemperato, facendoli bollire
insieme. Il rosso, legno del brasile bollito mezza giornata sciolto in lacca. La
tavolozza dei colori era forzatamente limitata dagli alti costi dei pigmenti e
degli estratti naturali fino alla metà dell’Ottocento, quando furono scoperti i
colori chimici nel 1859 da William Perkin, che perfezionò la tintura
all’anilina; ad esempio l’esercito utilizzò a lungo per le divise il colore
rosso, che era particolarmente economico. Per altre indicazioni sui colori
utilizzati nelle varie epoche, vedi le schede pubblicate in precedenza sul legno. In Italia furono molto attive le
stamperie: Remondini di Bassano e Bertinazzi di
Bologna.
Il Dizionario delle Arti e Mestieri, del Grisellini,
del 1769 descrive minuziosamente il procedimento per tingere i fogli con il
decoro marmorizzato, secondo il
risultato voluto: caillouté (acciottolato) e peigné (pettinato). Dapprima si prepara
un liquido di base, mettendo in fusione in acqua della gomma adragante, per circa cinque giorni in una cassetta impermeabile, fatta di
piombo o di legno ben connesso delle dimensioni del foglio da tingere e
profonda una decina di centimetri, fino
ad ottenere un fluido della consistenza dell’olio. Gomma adragante, o dragante, dal greco tragakantha, essudato secco ricavato dai fusti e i rami di leguminose del
genere Astragalus, originarie del sudest europeo e del sudovest
asiatico; di cui il maggior produttore mondiale è l’Iran, ma è presente anche
in Iraq, Siria e Turchia. Ogni
colore è miscelato con fiele di bue, fatto invecchiare tre giorni, che possiede
la proprietà di mantenere i liquidi distinti, impedendo che si possano
mischiare tra loro. Dopo aver fatto riposare nella cassetta la gomma adragante
in modo che si sia distesa uniformemente, si poggia sulla superficie un foglio
per pochi istanti al fine di uniformare ulteriormente la gomma sulla superficie
del liquido. Con un pennello si deposita una piccola quantità di colore, che se
è ben preparato si distenderà uniformemente, e via via analogamente ogni
colore, ciascuno con il suo pennello; cominciando dall’azzurro, poi il rosso,
il giallo ed il verde. Per ottenere il bianco basta versare un po’ di fiele,
che allontanando i colori lascerà la superficie del foglio da tingere naturale.
Si ottiene il disegno caillouté
facendo sgocciolare il colore, che secondo la quantità avrà la forma di punti o
di piccoli sassi (caillous). Per ottenere quello peigné, con una bacchetta si mischiano a piacere i colori e con un
pettine con i denti di ferro si pettina ulteriormente la superficie da una
parte all’altra. A seconda di come si pettina, si ottengono disegni variati,
imitanti differenti tipi di marmi. A questo punto si poggia un foglio per pochi
istanti tanto che sia disteso su tutta la superficie, ma non s’imbeva d’altro
che del colore. Per ogni foglio si ricomincia da capo. La carta goffrata
(a rilievo) si ottiene incidendo il disegno voluto su di una lastra di rame e
passandola, dopo averla riscaldata, insieme con un foglio fra i rulli del
torchio calcografico. Per metallizzare
(decorare ad argento o oro; oppure con stagno o ottonella) i fogli si trattano
con un mordente le parti da metallizzare e si passa il foglio di carta al
torchio coperto dal foglio di lamina scelto, con insieme sopra una lastra di
rame riscaldata liscia o incisa se si vuole ottenere la goffratura. Poi con una
spazzola morbida si asportano le parti del foglio metallico non adese. Altro
metodo è quello di stendere sulle parti da metallizzare la droga (composta di gomma, zucchero candito, miele e acqua con
acquavite), applicarvi la lamina e una volta che il tutto è asciutto, asportare
l’eccesso con la spazzola e battere il foglio su una pietra col martello,
ottenendo una brunitura (processo di
lucidatura dei metalli) brillante. Si può anche applicare solo della limatura,
ottenendo un effetto polverizzato. La carta vellutata, detta tontisse si
ottiene gommando con un adesivo la superficie di un foglio colorato, tutto o
parte di esso se si vuole ottenere un disegno, anche con stampi, e cospargendola
di cimatura di panno di lana. Il processo del vellutaggio che permette di ottenere la carta tontisse è ancora in
uso. L’uso di questa tecnica è attestato a Norimberga intorno al 1470 e si
applicò con molte imperfezioni a tappezzerie murali dal Cinquecento in
Inghilterra, nei Paesi Bassi, in Germania ed in Francia. Nel Settecento
l’imitazione dei ricami e dei velluti inglesi si diffonde dappertutto fino
all’America (flock papers).
La carta a
colla si ottiene decorandola in vario modo con il colore, miscelato con
colla di amido di mais o farina di grano:
sgocciolandolo, spruzzandolo, spugnandolo, lavorandolo con le dita, con stampi,
ecc. Il disegno ottenuto è detto, secondo il metodo di lavorazione: macchiato,
radicato, spugnato, spruzzato, sbruffato, tartarugato, ecc. Naturalmente tutti
i procedimenti descritti esigono che, una volta asciutto, il foglio sia
spianato su una superficie dura con una pietra o con un pane di vetro.
Tutti i processi di stampa tesero a ridurre i costi
di produzione e resero accessibili i manufatti oltre che alla nobiltà ed
all’alta borghesia anche al nascente ceto medio. Essi permisero di sostituire
le costose carte da tappezzeria importate dalla Cina, dipinte a pennello,
prodotte dal 500’ appositamente per l’esportazione, la cui fabbricazione
risaliva al II secolo avanti Cristo. Nel 1796 fu inventata a Monaco la tecnica
di stampa litografica, ottenuta disegnando direttamente con colori grassi la
pietra da stampa (vedi le schede già edite sull’incisione); che, dopo essersi
diffusa a Londra nel 1801, si affermò anche in Francia dal 1815 e in Italia
grazie a Giovanni Dell’Armi a Roma dal 1803.
Dalla metà del secolo anche in Italia si diffondono
le tecniche di stampa fotografiche portando alla produzione industriale
moderna.