Bologna, via
Nazario Sauro 14/b
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Queste schede tecniche d’antiquariato sono
state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro
per la rubrica mensile edita sulla rivista
“L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non
riportate.
Si
ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte
presso il Tribunale di Bologna (www.peritoarte.it).
Scheda di approfondimento.
La carta stampata da
arredamento. Parte prima.
Oltre l’uso in legatoria le
carte stampate sono state usate per: la tappezzeria, i gentili (le pagine dei ventagli), le carte da gioco, gli astucci
per strumenti scientifici e musicali, l’interno dei mobili, i contenitori di
giochi da tavolo ed in generale per le scatole. Il termine papier peint compare per la prima volta in Francia nel 1765 ad
indicare i fogli stampati ad inchiostro e rifiniti a colore con le matrici
lignee. In Francia, fino all’abrogazione delle corporazioni nel 1791, gli
artigiani produttori di carte stampate e decorate per uso di arredamento erano
riuniti in quella dei “Dominotiers, Enlumineurs; Sculpteurs et Tailleurs en
cruchefics” con norme corporative risalenti al 1467. I dominotiers sono citati
per la prima volta nel 1260, ma fu dalla fine del Cinquecento, che, sotto
l’influenza dei commerci con l’Oriente, si cominciarono a stampare carte a
imitazione di quelle costose importate dalla Cina e dal Giappone dai mercanti
portoghesi. La scarsa qualità relegò per due secoli il loro utilizzo alle
classi popolari, dove furono impiegate per: gli interni delle botteghe, delle
cassapanche, per rivestire le travi e le cappe dei camini. Dominotiers erano
chiamati gli stampatori d’immagini sacre, denominate appunto dominos, con allusione alla cappa bianca
e nera di origine spagnola o anche alla trilogia; dal latino Dominus, per Dio
padre e Cristo, e dal latino medioevale Mammino, per la Vergine e Madre. Dalla
fine del Trecento quindi, con l’utilizzo delle matrici di legno scolpito, il
loro lavoro si era notevolmente incrementato. Dal XVII secolo e nel corso del
XVIII, per rifornire la nascente borghesia mercantile, si dedicarono alla
produzione di tappezzerie di carta stampata a prezzo contenuto; imitanti i cuoi
di Cordova, gli arazzi e le ricche tappezzerie di broccato. Nel 1648 a
Marsiglia era nata la prima manifattura di stoffe di cotone stampate all’indienne a imitazione di quelle
importate dalle Compagnie delle Indie olandese, inglese e francese, realizzate,
come in India, con l’utilizzo di maschere di cartone ritagliate e poi rifinite
a mano con colori a tempera, miscelati a colla animale o a gomma arabica;
irrobustite e impermeabilizzate con olio di noce tostato miscelato a litargio,
pezzi di cartone sbriciolato e polvere di ossa di cavallo tostate. Nel 1688 Jean
II Papillon sperimentò la tecnica di stampa su carta con matrici di legno di
pero incise (detta papier chinois), preparate con le stesse tinte analogamente
utilizzate dagli stampatori di stoffe; adottando i colori a olio, in
sostituzione di quelli alla trementina; abbandonando definitivamente il sistema
all’indienne. Non usò i colori a tempera utilizzati in Cina, temendo
erroneamente che la colla li avrebbe nel tempo alterati. Egli perfezionò il
sistema di stampa, creando disegni commessi tra di essi a rapporti, in modo da
realizzare, accostando i vari fogli, ampie superfici a disegno continuo (detti
dominos); liberandosi delle piccole misure, cm. 30x40, proprie della lastra
d’incisione di rame. Egli, in ventisette stampe, descrisse minuziosamente il
procedimento di stampa a matrici di legno. La matrice era fissata con quattro
viti alla tavola di stampa, con il disegno rivolto verso l’alto, s’inchiostrava
con due tamponi di cuoio, uno per mano, si posava il foglio avente le medesime
dimensioni, precedentemente inumidito, e si pressava a mano con un rullo di
legno rivestito di stoffa. Nel caso di particolari più raffinati si procedeva a
stamparli tradizionalmente per mezzo delle lastre incise di rame e il torchio.
Dopo averli appesi ad asciugare si spianavano con pietre o pezzi di vetro e si
confezionavano per la vendita in risme da venticinque pezzi. I fogli erano
fragili e la colla provocava, imbibendoli, l’ammorbidimento dei colori, con il
rischio, durante la stesura con la spazzola, di macchie; per favorirne
l’incollaggio si fissava preventivamente un telo alle pareti, che permetteva un
migliore assorbimento della colla e una maggiore robustezza. Lo sviluppo
tecnico, che portò alla produzione per la legatoria delle carte marmorate,
goffrate, dorate e a colla, insieme alla diffusione del papier tontisse (imitante il velluto), spinge i dominotiers a
distinguersi e a specializzarsi nelle carte destinate a usi diversi soprattutto
per l’arredamento; rendendo Parigi e Ausburg i principali centri di produzione.
Nel Seicento operavano in Italia per la produzione di carte stampate: Roberto
Ronco a Milano, Guanesi Baleni a Firenze, Giovanni Benedetto Castiglione a
Palermo. Nel 1755 fu concesso dalla Repubblica veneta ai fratelli Remondini il
privilegio di fabbricazione per “carte damascate e vellutate ad uso di
fornimenti da camera”. Essi impiegarono fino a mille operai. Dalla metà del
Settecento in Inghilterra si cominciarono a incollare i fogli in modo da
ottenere rotoli di strisce più lunghi. Le dimensioni delle matrici per i
papiers peints finirono per uniformarsi alla misura di cm 50x50. Raramente gli
stampatori incidevano il loro nome sulle matrici di legno. La semplice
pressione manuale delle matrici era insufficiente, per cui dapprima si ricorse
al mazzuolo poi alla pressa a leva, lunga cm. 250, che permetteva di graduare
la pressione. Per ogni colore era necessaria una matrice, che doveva essere
applicata quando il colore precedente era asciutto; rispettando i punti di
riferimento, generalmente impressi dai picots,
punte di legno fissate lungo i bordi, che dovevano corrispondere sul rotolo di
carta. Il piano, su cui si poggiava il foglio, era ricoperto da un panno per
ammortizzare la pressione delle matrici. I bordi delle incisioni sulle matrici
dovevano essere smussati, al fine di non tagliare i fogli. Le matrici con il
primo colore venivano stampate su tutto il rotolo e lasciate asciugare, prima
di passare al colore successivo, rispettando l’ordine indicato dal disegno. Si
utilizzavano circa diciotto matrici per stampare un rotolo costituito dai
ventiquattro fogli incollati di seguito; impiegando circa un giorno per
stampare ogni colore. Dal 1778 il rotolo fu standardizzato alla misura di cm.
54 di larghezza per cm. 1069 di lunghezza. Sotto l’influenza dei manufatti
inglesi furono adottati universalmente colori a tempera densi, poi ritoccati a
pennello. A Bologna si utilizzarono colori a tempera rinforzati con colla di
coniglio, polvere di cuoio e di gesso. L’adozione da parte della marchesa di
Pompadour dei papiers peints, per tappezzare i suoi appartamenti di Versailles,
diede l’impulso definitivo alla loro adozione da parte della nobiltà. Le
matrici di legno furono sostituite da Zuber, a partire dal 1826, con cilindri
di rame incisi; egli trovò, verso il 1830, anche il modo di produrre rotoli di
carta in continuo, mantenendo invariata la larghezza. Dopo il 1840 la stampa
continua per mezzo di rulli portò a una rapida espansione del settore, che nel
1860 contava solo a Parigi 300 manifatture; ben presto non ci fu casa priva di
mura ricoperte con carte da parati.