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Nazario Sauro 14/b
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Queste schede tecniche d’antiquariato sono
state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro
per la rubrica mensile edita sulla rivista
“L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non
riportate.
Si
ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte
presso il Tribunale di Bologna (www.peritoarte.it).
Scheda di approfondimento.
L’avorio
prima parte, materiali e tecniche di riconoscimento.
L’avorio è ricavato dalle zanne di vari animali,
esse sono denti particolarmente sviluppati, interamente costituiti di dentina,
un tessuto osseo composto di migliaia di piccolissimi tubicini disposti in
senso longitudinale, che, nell'animale giovane, contengono una sostanza
oleosa. Questa sostanza permette all'avorio di avere la sua caratteristica
lucentezza, che gradualmente si perde con l'età. L’avorio è un materiale osseo resistente
e compatto, composto di strati sovrapposti di dentina, una sostanza color crema
dall’aspetto opaco, costituita per circa il 60% da sostanze minerali e per il
resto da sostanze organiche. I diversi strati di dentina sono disposti in modo
da intersecarsi l'uno con l'altro e generare una struttura a grana fine,
resistente e relativamente elastica, di durezza pari a circa 3 della scala di
Mohs (divisa da 1 a 10; da 3 a 5 sono classificati i materiali semiduri, che si
rigano con una punta d’acciaio). Gli strati si depositano a partire dalla polpa
centrale della zanna, pertanto quelli più interni sono i più recenti.
Le zanne di elefante fino al Medioevo provenivano
essenzialmente dall’Asia, essendo più sicuro il commercio via terra, piuttosto
che quello via mare. Successivamente prevale il commercio dall’Africa. L’avorio
africano è in linea di massima migliore di quello asiatico. Le zanne d’elefante
si dividono in due categorie:
-L’avorio duro, proveniente dalle regioni boscose a
clima umido.
-L’avorio dolce, proveniente dalle zone secche e non
boscose, ad esempio l’Etiopia e la costa di Zanzibar. Queste zanne perdono poco
a poco la loro compattezza e la punta si fessura.
Il colore e la qualità dell’avorio variano secondo
la zona di provenienza:
-Dalla Guinea quello considerato migliore, biondo
giallastro, duro, pesante, poco trasparente, a grana molto fine.
-Dal Sudan dolce e semi dolce grigiastro. Molto
simile, ma di qualità inferiore, quello del Senegal e della Costa d’Avorio.
-Dal Camerun, Angola e Gabon duro e rosato.
-Dal Congo sia dolce, sia duro, verdastro.
-Dal Mozambico grigiastro, duro, dolce.
-Da Zanzibar, Tanganica, Niger e Kenya bianco
giallastro, sia dolce, sia duro.
Le
zanne tolte di recente all’animale presentano una tinta olivastra, che con il
tempo sbiadisce.
Le zanne più belle possono misurare m. 2,30-2,50 e
pesare tra i 75 e gli 80 kg.
L’avorio
è ricavato anche dalle zanne di altri animali mammiferi: il cinghiale e il
facocero entrambi appartenenti alla famiglia dei suidi, il leone marino e il
tricheco del sottordine dei pinnipedi, il narvalo dell’ordine dei cetacei, i
denti d’ippopotamo che superano per finezza e durata le zanne d’elefante. Si
utilizzano anche i denti di alcuni grandi felini. Il dente sinistro del narvalo
maschio cresce costantemente e può raggiungere la lunghezza di tre metri, pare
serva all’animale come sensore. In antico (dal Duecento) esso era ritenuto il
corno del mitico liocorno (unicorno), aveva valore elevatissimo e a esso erano
attribuite proprietà magiche; al punto che un dente di narvalo, l’Ainkhürn, fa
parte del tesoro inalienabile del Sacro Romano Impero dalla metà del cinquecento
(cm. 243, conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna) ed era uno degli
oggetti che conferiva sacralità agli imperatori. Nel XVII secolo il “liocorno
in polvere” era uno dei medicamenti più costosi della farmacopea antica. L’avorio di narvalo è il migliore subito dopo quello di
elefante: resistente, dalla densa struttura e di colore bianco che tende a
conservarsi nel tempo. Il suo valore pratico è limitato dalla ridotta misura di
diametro della zanna (pochi centimetri) e dalla cavità interna, che ne percorre
due terzi della lunghezza totale.
Esistono diversi tipi di avorio artificiale,
fabbricati già dall’Ottocento. Si utilizzavano scarti di avorio, di corno e di
osso, sciolti in prodotti chimici e in seguito colati in stampi. Oggi si amalgamano
gli scarti d’avorio in resine plastiche. Tali prodotti sono spesso chiamati genericamente
“avoriolina”, anche se l’avoriolina prodotta nell’Ottocento era quella
costituita da pasta di cellulosa opportunamente inumidita e poi diluita e
amalgamata a ossa polverizzate. La celluloide è stata inventata nel 1869, quando
imita l’avorio, si può riconoscerla dalle venature che tentano di imitare le
linee di Schreger (le linee di accrescimento naturale), che risultano troppo
regolari. Per ottenere tali linee si mescolano due plastiche dalle diverse
tonalità crema, in modo da copiare le fasce a linee ondulate tipiche
dell’avorio. La celluloide è più fragile e meno densa dell’avorio. Un ottimo
sistema per identificarla consiste nello strofinarla energicamente, allora si
sentirà un caratteristico odore di canfora. I falsi avori spesso non presentano
macchie, sono perfettamente bianchi sulla superficie, troppo per essere
credibili. I falsi prodotti agli inizi del Novecento possono essere di plastica
a base di caseina (plastica derivata dal latte), che però risulta troppo
leggera, non presenta alcuna grana sulla superficie e al tatto è simile alla
cera. Tali falsi a volte recano la "firma" dell'intagliatore impressa
sulla base, dove compaiono striature con lo stesso andamento di quelle dei
lati. La sezione di un pezzo d'avorio, come la base, mostra invece
losanghe concentriche. Un mezzo sicuro per riconoscere l'avorio falso, che è
apparso dalla fine del secolo scorso, è l'osservazione delle sottili screpolature
longitudinali, che caratterizzano il materiale originale e che sono imitate in
quello contraffatto. Avvicinando un oggetto d'avorio a una sorgente
luminosa, in modo che le linee risaltino, e facendolo ruotare lentamente di 90
gradi, le screpolature, nel caso dell'avorio autentico, saranno sempre meno
visibili o scompariranno del tutto, mentre su quello falso si vedranno sotto
ogni angolazione; in questo caso, inoltre, saranno più profonde e regolari di
quelle che appaiono negli originali. Si può anche osservare un pezzo in
avorio fino a trovare delle linee curve incrociate in cui si possono
riconoscere le sezioni trasversali delle zanne originali. Tali disegni sono
lievemente diversi l’uno dall’altro per colore e trasparenza e sono estremamente
caratteristici. In certi sono evidenti, mentre in altri è necessario cercarli
con attenzione. Nell’avorio d’ippopotamo i tubuli presentano struttura
pieghettata, nell’avorio di tricheco sono rettilinei e di diametro maggiore,
mentre in quello di capodoglio sono fini e ramificati e immersi in una matrice
granulare, anche se spesso sono camuffati con un tratteggio a motivi simili a
quello dell’avorio di elefante. L'avorio di tricheco è formato da strati
diversi ed è quindi meno compatto dell'avorio di elefante e più soggetto a
fratture. In generale le materie
plastiche e le resine moderne non mostrano alcun tipo di granulosità. Con un
esame accurato si possono notare le tracce lasciate dal metodo di lavorazione
realizzato per fusione: scarsa rifinitura, bollicine esplose a causa del
riscaldamento, materiale in eccesso, ecc. La plastica si presenta tiepida al
tatto, mentre l’avorio è freddo. Le imitazioni in linea di massima presentano
un grado di finitura inferiore agli originali: sia perché prodotte con un calco,
sia perché essendo destinate a una produzione più numerosa non sono curate come
l'originale.