Bologna, via
Nazario Sauro 14/b
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Queste schede tecniche d’antiquariato sono
state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro
per la rubrica mensile edita sulla rivista
“L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non
riportate.
Si
ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte
presso il Tribunale di Bologna (www.peritoarte.it).
Scheda di approfondimento.
Questa scheda è stata curata
dall’antiquaria Cristina Mazzoni, titolare della
galleria “Antico Allegro” Via C. Battisti 1/b, Bologna. Le foto sono di
collezione privata.
CENNI SULL’OREFICERIA POPOLARE NELL’ITALIA MERIDIONALE
DEL XIX SECOLO. Parte seconda.
Come abbiamo visto, nella
scheda precedente, la collana era sicuramente il dono di fidanzamento più
importante e atteso; donata dalla suocera qualche giorno prima del matrimonio.
Alle tipologie illustrate in precedenza si aggiungeva quella di corallo, che
aveva invece un uso più quotidiano e soprattutto legato alle funzioni
apotropaiche, che si riteneva il corallo avesse e cioè di fare “buon sangue” e
di scacciare i guai. I coralli erano a grani sferici o a barilotto, sfaccettati
o lisci, a volte intercalati a vaghi lisci o traforati, a volte completati da
ciondoli a forma di croce (significato religioso) o con simboli di carattere
amoroso.
Nell’Ottocento i luoghi di
provenienza del corallo erano Trapani, Genova e Livorno. Verso il
Questa lavorazione ebbe un
così grande successo che tuttora si chiama “mille facce”. L’Abruzzo è stato in
Italia la zona, che ha impiegato più diffusamente il corallo nel proprio
costume, dall’area picena, scavalcando gli Appennini
fino alla Ciociaria e verso il basso Lazio.
Spesso la famiglia del
marito regalava alla sposa anche gli orecchini e la spilla. Gli orecchini erano
di vari tipi: dai cerchi semplici a quelli che portano inserito un vago di
forma sferica o ovale, liscio o sfaccettato, a quelli a navicella diffusi un po’
in tutta l’area mediterranea.
L’orecchino del tipo a
mandorla è costituito da un corpo più o meno allungato, che si attacca al lobo
e funge da supporto a un pendente che lo impreziosisce. In questo modo la parte
superiore poteva avere un uso quotidiano, mentre nelle occasioni importanti
s’indossava l’orecchino completo. Il materiale impiegato per le decorazioni era
costituito in prevalenza da: paste vitree, corallo (soprattutto in area
Abruzzese), perline scaramazze (soprattutto in area Calabrese) e smalti. Il
tipo di orecchino con pendente a forma di goccia è senz’altro quello che ha
avuto il successo più duraturo; dal “pendeloque”
settecentesco fino ai giorni nostri, ha adornato e abbellito la donna
rendendola più affascinante. All’orecchino è connessa la foratura del lobo ed
ha sempre posseduto virtù di amuleto terapeutico: in tutta l’area italiana era
ritenuto sia per gli uomini, che per le donne un mezzo efficace contro il
malocchio. L’orecchino maschile singolo, portato al lobo sinistro dai marinai calabresi,
serviva a “schiarirsi la vista”; così come pure in alcune zone del Piemonte
serviva a tener lontano il “mal d’occhi”. La perforazione dell’orecchio era
ritenuta utile a preservare i bambini dalle convulsioni, dall’epilessia e dal
mal di testa.
Le spille avevano
principalmente una valenza funzionale, servivano per allacciare il collo delle
camicie, il velo o il fazzoletto. Anch’esse erano sempre decorate o foggiate a
motivi scaramantici, a volte impreziosite da perline scaramazze.
Anche gli spilloni da
capelli erano un ornamento diffuso, realizzati in filigrana d’argento o d’oro,
o costituiti da uno o più vaghi. Erano di uso quotidiano e indossati senza
troppo impegno. L’ornamento meno usato e più raro da ritrovarsi nell’oreficeria
popolare è il bracciale.
Esso è stato riservato per
lungo tempo alle classi aristocratiche e più abbienti. Tuttavia alla fine
dell’Ottocento si diffuse anche nelle classi subalterne. E’ da considerarsi un
ornamento più borghese. La signora “borghese” è più suscettibile alle tendenze
del momento, ai cambiamenti, ha più disponibilità e si permette gioielli
abbinati ai nuovi dettami della moda; per questo dall’abito all’acconciatura i
suoi gioielli non sono facili da definire, oscillano tra i modelli
aristocratici e quelli popolari e mutano continuamente nei materiali e nelle
forme.
L’oreficeria “popolare” ha
continuato a essere prodotta anche all’inizio del XX secolo, naturalmente con
aggiornamenti stilistici, ma non ha mai tradito la sua essenza più pura, quella
di mantenere viva una tradizione che spesso si è tramandata di padre in figlio
nelle botteghe degli orafi-produttori.
La gioia più tangibile è
comunque l’emozione che questi ornamenti ci trasfondono nell’esperienza
tattile: rimanere ammaliati dalla vista delle meravigliose catene, dei generosi
e ridondanti pendenti, dei sontuosi orecchini è una sensazione piacevole, ma
tenerli tra le mani significa rimanere veramente stupiti per la loro
incredibile, insospettabile, “autentica” leggerezza!
Quest’aspetto della leggerezza
è il dato saliente, che meglio ci permette di distinguere l’originale dalla
copia moderna, che non riesce a raggiungere la levità del gioiello popolare
antico.
Per chi vuole approfondire
l’argomento sull’oreficeria popolare nel Meridione d’Italia, un punto di
partenza è senz’altro la collezione conservata al Museo delle Arti e Tradizioni
Popolari di Roma, raccolta in occasione della Mostra di Etnografia italiana,
tenuta a Roma nel 1911 per il cinquantenario dell’Unità d’Italia.