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Queste schede tecniche d’antiquariato sono state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro

per la rubrica mensile edita sulla rivista “L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non riportate.

Si ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte presso il Tribunale di Bologna (www.peritoarte.it).

 

Scheda di approfondimento.

 

Il vetro. Prima parte.

Il vetro probabilmente è esistito da sempre: si forma  in modo naturale a seguito di fenomeni fisici che portarono ad innalzamenti repentini della temperatura ed alla fusione di sabbia, quarzo e rocce silicee. Il vetro si presenta duro e compatto, ma, al contrario di altri materiali come ad esempio il ferro, è in grado di passare dallo stato liquido a quello solido senza alcuna trasformazione strutturale. La fluidità tipica del vetro, ogni volta che è riscaldato, è la sua caratteristica saliente. Il vetro fonde totalmente tra i 1300 ed i 1500 gradi. Fino al Rinascimento i forni non riuscivano a raggiungere temperature superiori ai 1100 gradi, appena sufficienti a realizzare la fritta, quel insieme di minerali necessari a fabbricare i mattoni di vetro, con cui poi si fabbricavano le opere. L’incompleta fusione comportava la presenza di impurità e bollicine, che lo rendevano più o meno trasparente. È sempre necessario raffreddare molto lentamente il manufatto, onde evitare la cristallizzazione dei componenti silicei, che rende il vetro opaco e fragile. I forni erano mantenuti costantemente accesi, per mantenere la temperatura così faticosamente raggiunta. La sostituzione del calderone era un’operazione drammatica. Penetrando per non più di due minuti da un foro praticato in una parete, avvolti in panni bagnati, gli operai si alternavano nel forno incandescente per sganciare, caricare il vecchio e collocare il nuovo. Il combustibile era costituito dal legno e solo dal cinquecento si sviluppa in Inghilterra, a causa della rarefazione dei boschi, il forno conico alimentato a carbone. La lavorazione tipica del vetro è quella realizzata a caldo. Le ulteriori lavorazioni eseguite a freddo, come il taglio alla mola o l’incisione a diamante, sono comuni anche ad altri materiali.

Si pensa che già l'uomo all'età della pietra utilizzasse questo tipo di prodotto naturale per costruire strumenti affilati. La tradizione, come riportato da Plinio, vuole che a scoprire il vetro e a prendere coscienza di questo materiale fossero i Fenici in modo fortuito, accendendo fuochi sulle rive del fiume Belo in Siria e provocando la fusione per il calore di blocchi di nitrato, dando origine a granuli di materiale duro e semitrasparente.

Oggi la più anticha testimonianza della lavorazione del vetro è costituita dal ritrovamento di una barra di vetro blu del tardo periodo sargonide (XXIII secolo a.C.) rinvenuta ad Eshnunna, in Mesopotamia. Solo intorno al XVI - XV secolo a.C. (da questa data esistono fonti scritte), in Mesopotamia (Iraq) e nel nord della Siria, iniziò la produzione di piccoli vasi e balsamari, realizzati modellando il vetro attorno ad un nucleo di materiale inerte, argilla e sterco, che era poi rimosso. Tale procedimento di formazione dal nucleo si diffuse rapidamente e fu adottato per oltre 1500 anni fino alla scoperta del metodo per soffiatura. Correttamente Plinio indicava, nella sua storia naturale, le tre componenti fondamentali del vetro: il natron, una soda naturale; la silice presente nella sabbia, che conteneva anche il terzo elemento la calce. Si otteneva un vetro verde bluastro a causa della presenza di impurità di ferro, che solo con un’accurata selezione della sabbia poteva risultare incolore; ma già in epoca romana erano usati quali decoloranti il manganese e l’antimonio. Il biossido di manganese ossida i sali ferrosi dandogli una colorazione giallastra; ma, grazie al suo colore violetto, risulta complementare del giallo ed otticamente lo annulla rendendolo incolore.  Con ossidi metallici e diverse temperature si realizzavano varie colorazioni: dal rame il turchese, il blu chiaro, il verde scuro, il rosso rubino e quello opaco; dal cobalto il verde intenso; dall’antimonio il bianco, il giallo e l’arancio opachi; dal manganese il verde giallognolo e quello rossastro; dal ferro il verde bottiglia ed il blu pallido. Questi primi vasi potevano essere sia in vetro monocromo, decorato con filamenti colorati, sia in vetro a mosaico. Sempre in quest’epoca è attestata un'attività vetraria in Egitto, come dimostrato da due vasetti, ora conservati a Monaco e Londra, con il nome del faraone Tutmosi III (1490 - 1436 a.C.), che probabilmente importò, dopo le sue vittoriose guerre in Mesopotamia e Siria, lavoratori da quelle terre. In Grecia il vetro era chiamato keyanos, come risulta da documenti micenei, per la produzione di monili e placchette per l’intarsio dei mobili; un uso principesco di lusso riportato nei testi omerici. Durante l’età del ferro dal IX secolo una nuova fase produttiva su ampia scala portò alla ripresa dell’industria vetraria, con la produzione da parte dei fenici di intarsi di vetro su avorio. Alla metà del VIII secolo a.C. ricomparvero i contenitori in vetro eseguiti in serie, oltre ad una particolare produzione di vasi a pareti molto spesse e quasi trasparenti, le cui forme imitavano quelli in metallo e pietra. Oltre al sistema di formatura dal nucleo i fenici usarono anche quello della cera persa, in cui il modello di cera era inglobato in una forma di argilla; una volta sciolta la cera durante la cottura della creta, lo spazio vuoto era riempito per colatura dal vetro, poi si liberava il manufatto rompendo ed eliminando la forma, che lo conteneva. Tra questi si trovano phiàlai, vasi potori in forma di coppe semplici e lobate, e rhyta, vasi configurati in forma umana o animale. Questo artigianato, collegato alle vicende dell'impero assiro, scomparve con la sua caduta (612 a.C.). Tra l’VIII e il VI sec. si inizia la produzione di ciotole semisferiche per bere, dette da palmo, ottenute per formatura mediante pressatura (schiacciamento) della levata (termine indicante la quantità di vetro necessaria, levata dal forno; detta anche bolo) di vetro su di una forma; tale schiacciatura si ottiene posando la massa di vetro sulla forma e facendola adagiare, mediante riscaldamento, sulla stessa. Ma è soprattutto in età ellenistica, a partire dalla metà del sesto secolo a.C., che i vasi in vetro, prodotti dal nucleo, si diffusero maggiormente. La produzione mediterranea può suddividersi in tre periodi: dal 550 al 400 a.C. con le vetrerie di Rodi, 340-200 a.C. nelle Magna Grecia durante il dominio macedone, 150-50 a.C. in area sirio-palestinese.  Ed è proprio dal III secolo che la produzione ellenistica e quella romana si caratterizzano per la qualità dei vasi prodotti a mosaico. Il mosaico era ottenuto filando canne di vetro, che affettate mostravano trasversalmente complessi disegni concentrici. I dischetti ottenuti venivano affiancati su di una piastra e fusi insieme uno contro l’altro fino a formare un unico piano, cui poi si dava la forma desiderata, sempre per pressatura. Una curiosa applicazione del mosaico era quella realizzata in Egitto dove le canne raffiguravano solo metà di un volto e solo dopo averle affettate si univano due metà per ottenere un viso completo. Un’altra splendida decorazione era realizzata applicando disegni in foglia d’oro alla superficie esterna del vaso, che poi era coperta da un altro strato esterno di vetro; in questa epoca le due pareti non erano fuse insieme, come fu fatto poi in tarda epoca romana e rinascimentale, ma restavano relativamente separate in un doppio strato. Un altro curioso utilizzo del vetro pressato in stampi è quello della produzione delle phalerae medaglie con l’effige dei membri della famiglia imperiale, portate dai legionari di basso rango, al posto delle più preziose d’argento e di bronzo argentato, durante le parate; esse erano in numero di nove.

A partire dal I secolo d.C. inizia la produzione di vetri per finestre.

Tuttavia, l'invenzione più rivoluzionaria della storia del vetro fu l'introduzione della soffiatura nella seconda metà del I secolo a.C.; documentata da ritrovamenti, avvenuti a Gerusalemme, di scarti e canne per soffiare. La soffiatura rimane tuttora la principale tecnica di lavorazione del vetro sia artigianale che industriale. Essa, originaria dell'area siro - palestinese, unita all'utilizzo di stampi, consentiva, infatti, di produrre una maggiore quantità di oggetti in tempi rapidi riducendo notevolmente i costi di realizzazione. Dal 40 d.C. si fabbricano piccole bottiglie quadrangolari e dal 70 altre più grandi poligonali, la cui altezza è generalmente compresa tra i 10 ed i 40 centimetri. La tecnica di lavorazione della soffiatura è abbastanza semplice. Quella libera avviene fondendo a temperature elevate il vetro in grandi crogioli, destinati ad accogliere la miscela durante il processo di fusione all'interno della fornace; da questi il vetraio prende con l'estremità della propria canna una piccola parte, il bolo, allo stato fluido e leggermente vischioso, stato che si mantiene fino a 500°, poi soffia nella canna e allargando e stringendo la forma soffiata, anche con l'aiuto di pinze e semplici strumenti, dà all'oggetto la conformazione desiderata. La soffiatura dentro matrice è realizzata soffiando la massa di vetro dentro la forma, che a contatto con essa si raffredda e si distacca; il vasaio poi, estratto l'oggetto, lo completa con l'orlo e l'applicazione, se prevista, di anse e piede. Il vetro caldo aderisce quasi istantaneamente a contatto con l’altro vetro caldo. Le matrici impiegate, potevano essere anche a due o più valve di terracotta, marmo, metallo e legno. Nelle produzioni ellenistiche e romane l'ingrediente principale era la sabbia; un tipo di estrema finezza che consentiva di ottenere del vetro abbastanza puro, si trova in Campania, tra Cuma e Liternum, vicino al fiume Volturno. Nella composizione del vetro distinguiamo ingredienti primari, silicati, gli alcali ed i carbonati di calcio e secondari, gli agenti coloranti ed il vetro rotto. I silicati, che costituivano l'ingrediente base, si ottenevano principalmente dalla sabbia; poiché questa, raggiunge il punto di fusione solo ad elevate temperature, erano aggiunti gli alcali, di origine minerale (soda) o vegetale (soda e potassa), composti di carbonato di sodio, che consentivano di fondere la miscela a temperature non troppo alte ed inoltre di mantenere il più possibile plasmabile la massa vetrosa. Infine, i carbonati di calcio, il terzo ingrediente del vetro, servivano a rendere l'impasto vitreo insolubile in acqua. Frammenti di vasi o scarti di lavorazione erano aggiunti sia per una forma di recupero, sia perché permettevano di accelerare la fusione degli altri ingredienti a temperature meno elevate. Altra tecnica molto particolare usata per produzioni raffinate, era quella del vetro – cammeo consistente nel sovrapporre ad uno strato di vetro dal colore intenso, comunemente blu cobalto, un secondo strato di vetro bianco opaco, che era poi in parte rimosso a seconda del disegno da realizzare. Risultava un notevole effetto di contrasto tra il disegno risparmiato in bianco ed il fondo scuro. Nella tarda età augustea, oltre ai rinomati centri di produzione di Roma, Sidone ed Alessandria, il vetro era lavorato anche in Spagna e nelle Gallie. Durante i primi due secoli dell'Impero, i manufatti italici risalivano le grandi arterie fluviali delle Gallie e del Norico, giungendo nelle vaste pianure dell'Europa centrale ed anche nella penisola iberica e nelle province africane; arrivando a dominare in Occidente il mercato interno e quelli provinciali. Tra il II ed III secolo d.C. si determina un'inversione di tendenza, con la nascita e lo sviluppo dei grandi centri vetrari nelle province. Tra il IV ed il VII secolo in area proto-bizzantina sono stati rinvenuti vetri da finestre, sovente scambiati per piccoli piatti, diffusi anche in Italia, soprattutto per le vetrate delle chiese. Tra la fine del IV ed il V sec. d.C., con le grandi migrazioni dei popoli germanici, si assiste ad un complessivo arretramento delle produzioni occidentali rispetto a quelle orientali. Gli oggetti in vetro sono di qualità sempre più modesta, e tale situazione di decadimento culminò nel VII secolo, quando la produzione era rivolta solo ad oggetti d’uso. L'unica eccezione sembra riguardare le produzioni merovinge, dinastia franca tra il 450 ed il 751, eredi della grande tradizione renana e quelle della successiva carolingia fino alla frantumazione del loro impero all’inizio del 900. Il divieto di seppellire i defunti insieme ai loro averi promulgato nel VII secolo dalla chiesa portò alla scomparsa dei corredi funerari; inoltre dal IX secolo fu parimenti vietato l’utilizzo dei calici di vetro, perché poteva accadere che si rompessero disperdendo il prezioso contenuto. Vetri da finestre erano prodotti prima del 1000 nel monastero benedettino di San Vincenzo al Volturno ed un frate vitrearius sovrintendeva alle vetrate nei monasteri del nord Europa. Fino al 1000 si era utilizzate solo la soda naturale, il natron; da questa data nel nord si inizia ad usare la potassa, ricavata dalle ceneri delle felci e di altre piante del sottobosco.

 

 

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