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Nazario Sauro 14/b
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Queste schede tecniche d’antiquariato sono
state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro
per la rubrica mensile edita sulla rivista
“L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e didascalie, qui non
riportate.
Si
ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte
presso il Tribunale di Bologna (www.peritoarte.it).
Scheda di approfondimento.
Il tessuto. Seconda parte. Cenni storici
l’ottocento. Tecniche.
Con l’Impero si affermarono
definitivamente le tematiche neoclassiche con fondi fortemente contrastati
scuri o rossi, ispirati dalle pitture parietali pompeiane, e disegni
circoscritti da cornici in composizioni isolate, adatte al centro dei sedili e
degli schienali.( Iniziò
una produzione di disegni adatti a vari ambiti; per cui anche quelli destinati
ai tessuti erano realizzati ad acquarello, piuttosto che messi in carta (disegno su carta quadrettata in
cui ad ogni incrocio corrisponde un punto preciso), in modo da renderli
utilizzabili per altri impieghi. Ogni tessuto acquisì una specifica funzione
sia tipologica che decorativa, obbligando all’acquisto di grandi quantità di
tessuti coordinati tra loro; ciò rese anche più difficile il riutilizzo di
quelli obsoleti. Le doti di un bravo disegnatore non erano più sufficienti ed
occorreva la concorrenza di diverse persone: l’architetto, il disegnatore, il
pittore, ecc.
Nell’abbigliamento maschile si creò una
netta divisione tra i vestiti di corte, sfarzosi e addirittura regolamentati da
appositi decreti, e quelli civili, che adottarono linee semplici e la
prevalenza di colori uniformi, tra cui fu sempre più diffuso il nero; colore
simbolo del terzo stato. Allo sfarzo, all’esibizione di ricchezza, si sostituì
il concetto moderno di distinzione,
basata sull’eleganza dei dettagli e della linea. Le gambe furono via, via
coperte; dapprima da brache corte ed aderenti, poi con l’aggiunta degli stivali
e, dal 1810, dagli “antiestetici” pantaloni. Alla fine del settecento il frac
sostituì la marsina. La decorazione dei vestiti era sempre affidata di norma al
ricamo, più adattabile ai mutamenti costanti delle mode. Col neoclassicismo le
donne rinunciano definitivamente ai cerchi delle gonne, ai busti ed ai
corpetti, che dal XV secolo conformavano artificialmente il corpo, per adottare
vestiti leggeri a vita alta, sotto il seno, che permettono grande libertà di
movimento. In Inghilterra tuttavia i cerchi sopravvissero sino al 1821. Dal
1797 al 1836 fu pubblicata a Parigi la più prestigiosa rivista di moda il
“Journal des Dames et des Modes”;
vero arbitro del gusto dell’epoca.
Joseph-Marie Jacquard, (Lione 1752 - Oullins 1834), meccanico lionese, nel 1793 fabbricò una
macchina per la tessitura che eliminava l'operazione del tiraggio. Ad uno
strumentario di corde e pedali, egli sostituì un semplice meccanismo, che
consentì la selezione automatica dei fili, grazie ad un programma realizzato su
cartoni perforati; rendendo superflua la presenza dei cinque "tiratori di
licci" fino ad allora necessari. Presentata nel 1801, grazie a successivi
miglioramenti, questa invenzione mutò totalmente la manifattura dei tessuti,
istaurando nuovi rapporti di produzione e dando inizio alla costituzione della classe operaia moderna; sancì anche la
divisione tra tessuti economici, prevalentemente di cotone, e quelli di lusso,
di seta. Nel
L’America alla metà del secolo assorbiva da
sola oltre il trenta per cento della produzione; esportando in cambio il
finissimo cotone del sud impiegato nelle tessiture miste. Si trattava di una
stoffa di lusso alla portata solo della grande borghesia. Generalmente essa era
impiegata in arredi tradizionali e per la sostituzione delle tappezzerie
usurate, ma l’esigenza di dimostrare la propria potenza economica portò ad
utilizzarla anche nel capitonné. La seta a grande opera non si presta
per la sua intrinseca fragilità a tale tecnica ed ancor meno il suo raffinato
disegno ad essere interrotto dalla trapunta e dai bottoni. L’alta borghesia
volle così dimostrare di potersi permettere quel lusso dello spreco, che era
fino ad allora appannaggio dell’aristocrazia.
Verso il 1860 incominciò ad
interrompersi il trend positivo. Dal 1854 una malattia del baco da seta si diffuse
rapidamente dalla Francia al resto d’Europa. La sostituzione con sete importate
dall’oriente non era agevole, in quanto al loro basso prezzo non corrispondeva
l’alta qualità di quelle europee. Esse erano più irregolari, grossolane ed
opache, inadatte ai telai meccanici, costruiti per fibre più regolari.
Contemporaneamente la guerra di secessione americana aveva estremamente
rarefatto anche l’importazione dalla Luisiana
dell’ottimo cotone americano. Risultò impossibile produrre industrialmente
tessuti continui in seta e misti, sulle cui lisce superfici risaltava ogni
imperfezione. Per fortuna il gusto più carico d’ornamento, che stava
affermandosi, permise ai sarti ed ai tappezzieri di trovare una soluzione.
Sopravvissero solo quei tessuti la cui lavorazione permetteva di nascondere con
l’utilizzo di orditi più consistenti i difetti nella trama. Ma soprattutto si
ricorse massicciamente all’utilizzo di fiocchi, frange e varie passamanerie,
che non mostravano i difetti del filato e li nascondevano perfettamente
interrompendo continuamente le superfici. Ciò rese gli abiti molto simili alle
tappezzerie. Ne abbiamo un celebre esempio, quando Rossella nel film “Via col
vento” si confeziona un abito utilizzando una tenda.
In questo modo era però possibile
riciclare tali tessuti riutilizzandone gran parte e si rischiò di vederne
scendere il consumo. Nel 1859 William Henry Perkin
perfezionò la tintura all’anilina e grazie alla enorme varietà di disegni
ottenibili da un numero infinito di tonalità il mercato prese nuovo vigore.
Dagli anni 30 erano stati già prodotti altri colori artificiali: nel 1827 il
blu oltremare e nel 1849 il giallo all’acido picrico entrambi da Guinot; la fucsine
nel 59 da Verguin, da cui si traevano le tonalità azuline, coralline, bleu-de-Lyon
ed innumerevoli toni di viola.
La tendenza a valorizzare maggiormente
l’aspetto dell’innovazione tecnico industriale rispetto a quello prima
prevalente dell’invenzione artistica, innestandosi sulla cultura neoclassica,
che già vedeva nell’antico la sorgente principale di ispirazione, portò al
revival storico. Coadiuvato dalla nascita dei grandi musei e delle vaste
collezioni, lo storicismo vede nel passato una specie di grande supermarket da
cui trarre i motivi ispiratori, mischiandoli senza una necessaria cura
filologica. Il Victoria and Albert Museum ad esempio si formò sulla grande
mostra del 1851. Nasceva la figura del moderno designer destinata a progettare
per la produzione, separata da quella dell’artista, con tutte le contraddizioni
che ciò implicava. Ormai il ceto sociale si distingueva principalmente per i
mezzi economici di cui disponeva. La grande Maison Worth riuniva, nella stessa
esigenza di affermazione del proprio status economico, una variegata
committenza di principesse, attrici come la Duse, signore dell’alta finanza
internazionale e celebri mondane.
La
filatura.
Filare significa torcere le fibre in
modo da ottenere un filo continuo.
All’inizio si filava a mano arrotolando
il filo tra le palme, ma ben presto fu inventato il fuso, costituito da un bastoncino uncinato, cui si attaccava
l’inizio del filo. Per agevolarne la rotazione al bastoncino fu applicata la fuseruola, disco
di pietra o di terracotta. Successivamente, come testimoniano diverse fonti
quali la bibbia ed i poemi omerici, la fibra grezza fu arrotolata su di un
bastone chiamato conocchia o rocca. Esemplare l’immagine delle
Parche in cui Cloto fila il filo della vita, reggendo
con una mano la rocca e con l’altra il fuso, Lachesi
lo allunga ad Atropo che inflessibile lo taglia. È solo con il Medioevo che si
introduce in Europa la meccanizzazione. All’inizio si collegò semplicemente il
fuso ad una ruota, mossa da una manovella, poi si aggiunse un’aletta che
permise di arrotolare il filo direttamente in una bobina. Il Rinascimento vide l’introduzione
di un pedale per far girare la ruota. Era nato il filarino, rimasto pressoché immutato fino al novecento. Fino alla
seconda metà del settecento la filatura restò un processo essenzialmente
manuale in forte ritardo tecnico rispetto ai progressi della tessitura. La
comparsa della jenny,
detta in Italia giannetta, e del filatoio ad acqua nel 1770 segnano
l’inizio di sistemi di filatura efficienti, che daranno origine al filatoio
intermittente, con cui si potevano lavorare tutti i tipi di filato, ma il
movimento era ancora manuale; infatti sarà automatizzato solo nel 1830. Dopo il
1870 è adottato il filatoio ad anello, che segna l’ultimo definitivo progresso.
Tessitura.
Una volta avvolto il filato in spole per
l’ordito ed in bobine per la trama si prepara l’orditura sul telaio.
Nell’antichità si utilizzarono soprattutto tre tipi di telai. Il telaio
verticale, quello orizzontale e quello a pesi. Dal cinquecento il telaio
orizzontale fu modificato con l’introduzione di un pedale per sollevare i licci
ed alzare i fili dispari dell’ordito e da allora fu praticamente il solo
impiegato. Il disegno era copiato direttamente sull’ordito. Solo dal
Rinascimento sono utilizzati la messa in
carta, per il disegno di grande dimensione, e l’armatura, per quello più specifico di piccole dimensioni (armatura:
sistema di incrocio di trama ed ordito); essi erano eseguiti su carta
quadrettata e ad ogni quadretto corrispondeva in senso longitudinale un tirante
dell’ordito ed in quello trasversale un punto del disegno. Tre sono le armature
fondamentali. La tela, detta anche taffetas, in cui
il dritto ed il rovescio sono uguali; che si realizza incrociando due fili di
trama con due di ordito. Questo tipo di armatura, come anche gli altri, cambia
nome secondo il tipo di filato utilizzato: taffetas quello di seta, panno di lana cardata, popeline di lana pettinata e di cotone, calicot di cotone. C’è poi il raso detto anche satin,
che è ad effetto di ordito o di trama secondo quale filo è messo in evidenza.
Ed infine la saia o diagonale con effetto diagonale
inclinato a destra od a sinistra. Dalle armature di base si realizzano effetti
diversi ottenendo tessuti quadrettati, rigati, ecc; variando lo spessore dei
fili, intercalando trame diverse, ecc. Vi sono poi un numero illimitato di
armature fantasia, realizzate sovrapponendo all’armatura di base un altro
motivo. I più noti di questa categoria sono:
Il damasco
di fili dello stesso colore, unico prodotto in Europa, fuori dell’Italia, prima
del cinquecento, è ottenuto per slegature
(slegatura, quando il filo della trama o quello dell’ordito passano sopra a più
fili) della trama sull’ordito e presenta il disegno visibile dalle due parti
corrispondenti all’effetto trama sul dritto ed a quello ordito sul rovescio, in
cui si ottiene da una parte il disegno lucido su fondo opaco e dall’altra il
contrario. Il damasco classico è operato su di un’armatura di raso.
Il velluto,
prodotto in Italia dalla metà del trecento, deriva il suo nome dal latino vellus ed è l’unico, tra i tessuti antichi, sicuramente di
origine occidentale. Presenta una superficie ricoperta di pelo, ottenuta con
l’utilizzo di un ferro da velluto
inserito ogni tre o quattro passaggi in modo da fargli passare sopra il filo di
trama, così che dopo averlo estratto si formino degli anelli sporgenti. Questo
tipo ad anelli chiusi è denominato riccio,
mentre si chiama tagliato quello
ottenuto con un ferro da velluto scanalato, che permetteva di passare una lama
sulla scanalatura tagliando gli anelli. Alternando riccio e tagliato, diverse
altezze del pelo, ecc. si ottengono vari tipi di disegni.
Il broccato
è ottenuto sovrapponendo all’armatura di un altro tessuto (tela, raso, ecc.)
trame di colori e disegno diversi, realizzando un effetto di bassorilievo;
spesso si usava filo d’oro o d’argento, realizzato avvolgendo intorno ad un
filo una lamina metallica, in questo caso era detto spolinato
d’oro o di argento (spolino
è il nome della piccola navetta usata per i broccati). Spesso le trame broccate
sono visibili slegate sul rovescio.
Ricordiamo in fine anche due tessuti
ottenuti con tecniche diverse: la ciniglia
che è resa possibile utilizzando un filo provvisto di sfrangiature; ed il Moiré, realizzato pressando un tessuto
con movimento rotatorio in modo da conferirgli riflessi di luce concentrici.
Tintura.
Si può tingere il filato od il tessuto
indifferentemente. Fino alla seconda metà dell’ottocento si usarono solo colori
naturali fissati con mordenti. Tra cui i più usati furono:
Il Campeggio
ed il legno brasile, essenze di legni
delle omonime piante, che danno l’azzurro scuro, il nero ed il violetto.
Il cattù, dall’albero così chiamato,
tinge in bruno.
La cocciniglia,
detta anche chermes, colora con
sfumature dal rosa al violetto. Ottenuta dai corpi essiccati della femmina di
detti insetti.
La guaderella,
lo scottano, lo zafferano, il cartamo ed
il sommaco,
dalle piante di questo nome, per il giallo.
L’indaco,
sempre una pianta, dà un azzurro di varie tonalità.
Dalla metà dell’ottocento le scoperte
delle aniline, dell’alizarina, dell’indigotina e dei coloranti allo zolfo
portò all’utilizzo dei coloranti chimici al posto di quelli naturali.
Stoffe
stampate.
Sono quei tessuti in cui il disegno non
è ottenuto tramite fili di differente colorazione od intreccio, ma mediante
tintura.
Anticamente le stoffe erano
semplicemente dipinte, poi si utilizzarono soprattutto timbri fatti con assi di
legno intagliate e poi coperte di colore, che erano battute sulla stoffa con
mazze in modo da trasferirne il disegno. Altro sistema è quello dei batik, di
origine cinese, realizzati coprendo con cera le parti da non tingere ed
immergendo poi la stoffa nella tintura; analogamente in antico si utilizzava al
posto della cera anche la creta. Di
origine giapponese la tintura a nodi è messa in opera legando con corde cerate
parti di tessuti, che, slegati dopo la tintura, presentano disegni più o meno
geometrici.
Infine ci piace ricordare che i tessuti
policromi furono in alcuni casi, come per la Cina ed il Giappone, la prima
forma di esperienza pittorica.