Bologna, via Nazario Sauro 14/b
Tel.
051260619 3356635498 3358495248
Scheda di approfondimento.
Queste schede tecniche
d’antiquariato sono state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro
per la rubrica mensile
edita sulla rivista “L’Informatore Europeo”. L’originale è corredato da foto e
didascalie, qui non riportate.
Si ringrazia per la collaborazione la
Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte presso il Tribunale di Bologna (www.peritoarte.it).
Il
processo di stampa di immagini artistiche. Xilografia.
La xilografia è un’incisione in rilievo. La matrice è una tavola
di legno (preferite le essenze come il ciliegio ed il pero piuttosto che
l’acero o la quercia meno plastici), di uno spessore corrispondente a quello
dei caratteri tipografici mobili (mm. 20-24) assieme ai quali era sovente
stampata. Il legno è detto di "filo" se la tavola è tagliata longitudinalmente
rispetto al tronco oppure di "testa" (introdotta dal 1775, per merito
di Thomas Bewick 1753-1828) se tagliata
trasversalmente. La prima è più morbida, meno precisa ed incisa con sgorbie e
scalpelli; ottenendo un effetto pittorico. Nel secondo caso le matrici di legno
di testa, fabbricate unendo insieme diversi tasselli compatti e privi di
venature, solitamente di bosso, possono essere incise con il bulino, con linee
molto sottili e ravvicinate, come nell’incisione su metallo e con gli stessi
effetti, producendo quindi disegni assai ricchi e dettagliati, anche se quasi
fotografici ed un po’ freddi; inoltre la matrice essendo assemblata non è
vincolata dalle dimensioni del tronco, potendosi unire quanti tasselli si
vogliano. Il disegno sulla tavola è quindi realizzato in rilievo. Le parti
scavate risulteranno alla stampa bianche, mentre quelle in rilievo risulteranno
nere. Le prime stampe su carta ricavate da matrici di legno incise sono state
realizzate in Cina e risalgono al VIII secolo. In Europa, sulla base di alcuni
documenti si deduce che la produzione delle prime xilografie (semplici figure
di santi e carte da gioco) debba risalire alla fine del
Il bulino.
Il
bulino è il più antico procedimento calcografico e prende il nome dallo
strumento utilizzato per incidere il metallo. L'origine risale alla prima metà
del Quattrocento e deriva dalla tecnica usata sui metalli fin dal Medio Evo
dagli orafi, che impiegavano il bulino per ottenere incavi nelle lamine,
generalmente d'argento, poi colmati per rendere evidente il disegno, con una
mistura nera chiamata nigellum (Niello, composto di:
rame, argento, piombo, zolfo e borace). Quando per un controllo del cesello si
mise nei solchi al posto del niello una mistura simile di inchiostro denso e si
vide che questi lasciavano la loro impronta sulla carta umida si ebbero le
prime impressioni a bulino. Con il nome di niello si indicò tanto la lamina
incisa, quanto l'impressione su carta. Successivamente si pensò di stampare su
carta le matrici metalliche incise, con un torchio a cilindri e solo allora
nacque la moderna incisione a bulino, di conseguenza la tecnica calcografica.
Lo strumento per incidere a bulino è formato da una sottile sbarra di acciaio
temperato con un’estremità (detta becco) tagliata trasversalmente ed affilata,
di sezioni diverse: quadrata, triangolare, a losanga, ecc. L'altra estremità è
infissa in un’impugnatura di legno a forma di mezza sfera che si adatta alla
mano dell'incisore, permettendogli di conferire con il palmo della mano una
spinta costante in avanti, facendo forza con il gomito e la spalla, e di
esercitare contemporaneamente una pressione con l'indice sul ferro verso il
basso. L'inclinazione del bulino rispetto la superficie della lastra dipende
dal tipo di affilatura del bulino stesso, ma in generale si tiene l’attrezzo
quasi parallelo al piano. Per incidere si pone la lastra su di un cuscinetto di
cuoio pieno di sabbia, in modo che possa essere tenuta ferma o spostata
facilmente durante il lavoro ruotandolo. Per le curve si fa ruotare la lastra
con la mano sinistra, mentre il bulino deve rimanere pressoché dritto. Si
possono effettuare solo curve ampie e regolari assieme a caratteristiche lente
ondulazioni. Mentre il bulino asporta il metallo, davanti alla punta si forma
un riccio, che si stacca da solo, ma la pressione del bulino crea ai bordi del
segno due leggere sopraelevazioni (barbe) che alla fine del lavoro vanno
eliminate con raschiatoio e brunitoio. I segni incisi trattengono l'inchiostro
per la stampa. I solchi realizzati presentano pareti perfettamente rettilinee e
permettono di ottenere un segno particolarmente netto e preciso, con un inizio
e termine appuntito, determinato dall’entrata e l’uscita della punta nel
metallo, e con variazioni della larghezza e della profondità, cui corrispondono
grigi più o meno intensi, all’interno di uno stesso tratto; ciò non avviene con
l’acquaforte e sono caratteri distintivi di questa tecnica. Nel
Puntasecca.
Si
definisce “puntasecca” l’incisione del disegno ottenuta con la pressione di una
punta sulla lastra senza asportarne il metallo, come avviene con il bulino; in
pratica graffiandola. Lo strumento utilizzato è in prevalenza una punta
affilata di acciaio o una punta di diamante impugnate come una matita. Con una
diversa pressione esercitata sulla punta si determina la variazione di
profondità del solco, che può anche essere molto fondo, mentre la larghezza è
sempre piuttosto limitata; e che stampato, darà un segno più o meno intenso.
Nonostante la maggiore maneggevolezza rispetto al bulino restano i limiti
dovuti alla resistenza del metallo, che impediscono di eseguire curve strette e
regolari o segni tremolanti. Esercitando una pressione sulla lastra per
tracciare i segni, la punta penetra nel metallo, spostando sui lati del solco
sottili lamine, dette barbe, che nella
fase di stampa trattengono l'inchiostro, dando come risultato un segno
vellutato e pastoso, simile ad un disegno a penna, caratteristica peculiare di
questa tecnica. Queste barbe vengono staccate o schiacciate durante la pulitura
della lastra o sotto la pressione del torchio, per questo il segno diminuisce
di forza dopo la stampa di pochi esemplari. L’utilizzo di lastre tenere,
prevalentemente di rame, facilita il lavoro, ma lo rende ancor meno resistente.
Per queste sue caratteristiche la puntasecca non si presta come tecnica
riproduttiva di ampie serie, potendosi stampare da dieci ad un massimo di
quaranta fogli secondo le punte e le lastre usate per l’incisione. Con
l’acciaiatura (tecnica di deposizione elettrolitica disponibile dal 1834) si
può arrivare a tirarne qualche centinaio, ma a scapito della qualità. Nel
Punzone o interassile.
Il
punzone è un'incisone diretta che è eseguita su di una lastra di rame o zinco
senza l'intervento di acidi, come nel bulino. Ma a differenza del bulino si usa
un attrezzo chiamato per l'appunto punzone (in inglese stippling
tool) che serve ad imprimere la lastra creando una
serie di punti che daranno nel loro insieme la figura desiderata. Tale
becchettatura o punzonatura crea delle barbe sul metallo, che come nella
puntasecca possono essere lasciate o eliminate secondo l’effetto che si vuole
ottenere.
Maniera nera o mezzotinto.
La
tecnica d'incisione della maniera nera o mezzotinto
fu inventata nel 1642 dal tedesco Ludwig von Siegen
(1609-1680) ed ebbe il suo maggiore sviluppo nell'Inghilterra del Settecento.
Arrivò alla sua perfezione formale, quando l'incisore Abraham Blooteling (1640-90) costruì nel 1671 quello che fu
considerato in seguito lo strumento classico per la granitura delle lastre a mezzotinto il pettine detto: rocker dagli inglesi, wiegen dai tedeschi e berceau
dai francesi. Esso è composto di una piccola mezzaluna d'acciaio il cui
tagliente anziché avere un filo continuo è formato da un’acuminata seria di
punte ed un manico centrale per l'impugnatura.
La
maniera nera nacque in un periodo in cui era molto diffusa l'incisione di
riproduzione e in quel senso si sviluppò, consentendo tonalità liquide,
trasparenze e sfumature finissime con cui riprodurre e diffondere i soggetti
dipinti dai grandi maestri. Ebbe fortuna soprattutto nel Settecento e
nell’Ottocento per poi essere soppiantata decisamente dalle più sofisticate
tecniche di riproduzione fotografica. Oggi sono pochissimi gli incisori che
praticano la maniera nera e che ne percorrono i caratteri espressivi in modo
autonomo; infatti, è un metodo di incisione particolarmente faticoso e lento.
Per
realizzare un'incisione alla maniera nera è indispensabile l'uso di una matrice
di rame ricotto (tenero), accuratamente lisciata, su cui fare la preparazione
di fondo con il pettine, la cui azione deve essere ondeggiante con un leggero
avanzamento incrociando i passaggi in modo da lasciare sul rame piccoli segni
puntiformi uniformemente distribuiti. I segni sono della stessa natura delle
tracce lasciate dalla puntasecca. La preparazione è terminata, quando non
esiste più alcuno spazio della matrice esente dalle tracce del pettine. La
maniera nera inverte il processo creativo consueto del pittore-incisore, che
normalmente procede nel suo lavoro aggiungendo segno a segno, tono a tono. In
questo caso si tratta invece di togliere il nero di fondo, che sarebbe stampato
dalla lastra granita, procedendo attraverso l'infinita gamma dei grigi fino al
bianco. Si agisce direttamente con due strumenti: il brunitoio e, per le
campiture grandi, il raschietto. Il brunitoio è uno strumento costituito da un
manico terminante con un puntale di acciaio a forma di piccola unghia allungata
e liscia, con il quale si abbassano le barbe lasciate sul rame dal pettine,
mentre con il raschietto si possono eliminare del tutto. La tiratura che si può
ottenere da una lastra incisa in questo modo è costituita da non molti
esemplari, al massimo una quarantina. Il mezzotinto
si riconosce dalla trama del tratteggio fitto e meccanico realizzato dal
pettine, dalla varietà e pastosità dei neri e dai veri e propri passaggi
chiaroscurali, che solo esso consente appieno.