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Scheda di approfondimento.
Queste schede tecniche d’antiquariato sono
state scritte dall’antiquario Pierdario Santoro
per la rubrica mensile edita sulla rivista “L’Informatore
Europeo”.
Si
ringrazia per la collaborazione la Professoressa Mara Bortolotto, perito d'Arte
presso il Tribunale di Bologna (www.peritoarte.it).
Tecnica di fusione
dei modelli in bronzo ed in ottone.
Parte seconda.
Dopo avere descritto la volta scorsa le modalità di
fusione a cera persa proseguiamo ora il discorso con quelle per:
La fusione in terra.
Si può ricorrere alla fusione in terra per
bassorilievi, medaglie, placchette, pannelli, vasi, od anche figure a tutto
tondo (con o senza l’ausilio dell’anima, che sarà tenute in posizione da
appositi appoggi fuoriuscenti alle estremità del modello), ecc; purché non sia
richiesta una riproduzione molto particolareggiata e non siano presenti
sottosquadri eccessivi (per sottosquadro s’intende qualunque parte posta su un
piano sottostante quelli superiori e per questo motivo tale da rendere
impossibile l’estrazione di uno stampo in un sol pezzo, come ad esempio il
dietro di un braccio o di una piega della veste).
Per eseguire gli stampi si utilizzano le “staffe”,
che sono generalmente di ferro, rettangolari, somiglianti a cassetti senza il
fondo. Le più piccole sono grandi come scatole da scarpe, ma n’esistono anche
con i lati di qualche metro. S’impilano una sull’altra in numero variabile a
seconda della grandezza del modello. Le pareti sono concave verso l’interno (in
modo da trattenere la zolla di terra refrattaria) e provviste all’esterno di flangie forate, con la duplice funzione di servire da
manici e di permettere l’inserimento degli “spinotti” (perni di ferro lunghi un
palmo, del diametro di 12,
Esistono molti tipi di terre refrattarie, più o meno
fini, somiglianti a sabbie con l’aggiunta di agglomeranti; devono essere
preparate ogni volta prima dell’utilizzo, gettandole inumidite contro una
parete a formare cumuli. La terra così preparata è molto soffice, stringendone
una manciata rimane un’impronta perfetta del pugno spessa un dito.
Per la formatura (costruzione dello stampo) si posa
la prima staffa (chiamata staffamatta, in quanto come
vedremo si tratta di una staffa provvisoria) su di un piano, si posizionano in
verticale al suo interno uno o più tubi conici (che poi estratti lasceranno
nella zolla di terra refrattaria i canali per la colata), si colma di terra
refrattaria, la si comprime con la piletta (grosso pestello di ferro con la
testa d’ottone), si aggiunge altra terra e si torna a pestare la zolla fino a
raggiungere la densità desiderata e si rasa la superficie con una spatola. I
modelli pianeggianti sono posati sopra il piano di terra, mentre è necessario
inserire quelli di un certo spessore in nicchie appositamente scavate. Si riempiono
gli eventuali vuoti lungo il profilo del modello con apposite spatole, dette da
formatore, fino ad ottenere il seppellimento di: una metà del lavoro, se sono
sufficienti due staffe, come per i pezzi piani; le parti iniziali se invece
sono necessarie più staffe, come per i pezzi più grandi. A questo punto, dopo
aver spolverato il modello, si passa una mano di polvere di grafite
(distaccante molto usato in antico) o di licopodio (polvere idrorepellente più
moderna) su tutta la superficie, sia del modello, che della zolla di terra. Si
appoggia una seconda staffa, la si fissa inserendo gli spinotti, si riempie di
terra refrattaria e si comprime come in precedenza. E via di seguito con altre
staffe se necessario a seconda della grandezza del lavoro, passando sempre tra
una e l’altra del distaccante, fino a coprire e chiudere nella terra
completamente il modello. Si capovolge il tutto tenendolo ben serrato e si
toglie la staffamatta da cui si era partiti scoprendo
la parte inferiore del modello, che viene spolverato e si ripassa il tutto con
il distaccante, si sovrappone una nuova staffa con i suoi spinotti, si riempie
di terra refrattaria e la si comprime nuovamente; tale operazione è necessaria
al fine di seppellire l’intero modello in terra refrattaria ben compressa. Si
assestano alcuni colpi di mazzuolo sui lati delle staffe, al fine di provocare
il distacco dei modelli dallo stampo di terra. Aperte e separate le varie
staffe si estrae il modello. Nel caso di oggetti pianeggianti, mediante viti
inserite in appositi fori filettati eseguiti sul retro dello stesso, per di un
lavoro accurato, o più abitualmente con le unghie; motivo per cui, nelle
fusioni più grezze, alle volte sono presenti sui bordi tracce di queste
“unghiature”. Si estraggono i tubi conici, che erano stati inseriti e si
connettono i canali, lasciati da detti tubi, con canaletti incisi sulle facce
interne delle zolle di terra refrattaria contenute dalle staffe, ai bordi
dell’impronte lasciate dai modelli; tali canali e canaletti una volta, richiuso
lo stampo, serviranno per l’entrata e l’uscita del metallo fuso durante la
colata. Se il lavoro è particolarmente curato, con apposite procedure, si posa
a contatto del modello un impasto più fine, che permette una maggiore cura dei
particolari. Da ultimo si rompe lo stampo di terra e si pulisce la fusione
grezza dai residui. Le fusioni in terra sono più agevoli e meno costose, ma
generalmente di qualità inferiore a quelle a cera persa e possono essere
replicate partendo dal modello quante volte si voglia. Esse presentano inoltre
il vantaggio di una minore riduzione delle misure della fusione in confronto a
quelle del modello rispetto alla tecnica di fusione a cera persa indiretta.
La terra viene miscelata con sterco e peli di
animali affinché, durante il riscaldamento, tale materiale bruci e si crei una
certa porosità da cui possano uscire i vapori creati durante la fusione,
evitando la creazione di tensioni o bolle.
In tutti i casi bisogna inoltre tenere conto che i
singoli pezzi da usarsi come modelli devono essere progettati e provati
affinché fusi in metallo s’incastrino perfettamente tra loro, non essendo poi
possibile aggiungere materiale; ed in quanto, ad ulteriore complicazione, un
pezzo pieno si ritira, durante il raffreddamento del metallo, in una
percentuale maggiore di un pezzo cavo. La divisione in parti ed il relativo
intervento a carico dei vari innesti (maschio-femmina), affinché risultino
perfettamente solidali a lavoro ultimato, è compito del modellista fonditore,
che adotta il tipo d’incastro a seconda del modo di bloccaggio previsto
(chiodatura, spinatura, saldatura o viti e dadi).
Il cesello è eseguito con bulini e martello fissando
il pezzo da cesellare su una ciotola semicircolare riempita di pece, del peso
d’alcuni chili, scaldandolo per farlo aderire perfettamente o per distaccarlo
ogni volta che si deva accedere ad una sua parte; ulteriore motivo che rende
necessaria la divisione dell’opera in più parti.
Da quanto descritto si comprende quale importanza
rivestisse all’epoca la preparazione del modello e degli stampi ed il loro
possesso. Per questa ragione molto spesso si ricorreva alla copia da fusioni
realizzate da altri, il che creava continui contenziosi tra i fonditori. In
ogni caso quando si copia dobbiamo ricordarci che, a causa di quanto detto sui
ritiri, si otterrà sempre un’opera più piccola dell’originale e questo ci
permette di riconoscere ad esempio i rifacimenti posteriori, se c’è la
possibilità di confrontarli con un originale.
Riassumendo se in linea di massima le fusioni a cera
persa sono da considerarsi di maggior valore di quelle in terra, e quelle a
fusione diretta ancor più per la loro unicità; è pur sempre vero che
l’intervento del cesellatore risulta senz’altro essere esso a determinare la
qualità ultima del manufatto ed il suo conseguente valore.