Ottocento, la base della
modernità.
Di Pierdario Santoro.
L’Ottocento
fu un secolo estremamente complesso, pieno di fermenti, di progresso materiale
ed intellettuale. Oggi nel nuovo millennio forse siamo abbastanza distanti da
esso e possiamo tentarne un esame critico, scevro da quei giudizi ideologici,
che hanno visto il Novecento di volta in volta esaltarlo con nostalgico
desiderio dei bei tempi antichi, sereni e prosperi; o denigrarlo come massima
espressione della cultura di una borghesia gretta, attaccata al soldo o
gaudente e dissipatrice, esempio d’ogni gusto pacchiano tipico del
parvenu. La maggioranza dei testi nostalgici dell’Ottocento è
stata scritta mentre ancora erano vivi gli ultimi garibaldini o le nonne, che
di quel secolo ricordavano la gioventù ed i valzer di Johann Strauss.
Per contro dal secondo dopoguerra, un’analisi storica troppo unilaterale,
vi ha riconosciuto l’origine del potere borghese, causa dei molti mali
delle masse oppresse, o peggio la nascita romantica del superuomo di Thomas
Carlyle, che con la sua mistica dell’eroe avrebbe fatto da apripista ai
Mussolini ed agli Hitler. Senz’altro l’Ottocento è stato
anche questo, ma se i primi dimenticarono in fretta l’effettiva tragedia
dell’inurbamento e dello sradicamento d’ampie parti della
società, a seguito della rivoluzione industriale e del più
sfrenato liberismo. I secondi allo stesso modo scordarono che esso è
stato il secolo in cui hanno preso forma i capisaldi della moderna
società occidentale, dal concetto di libertà personale a quello
di democrazia, dall’abbattimento definitivo d’ogni teocrazia, al
rispetto assoluto per tutte le fedi e tradizioni, scelte individualmente o
sedimentata nelle comunità. Movendo dalla consapevolezza che il XIX°
secolo ha segnato un progresso dell’umanità senza pari in quasi
tutti i campi: da quello scientifico, a quello politico, al medico, allo
psicanalitico, al letterario, all’artistico. Ha dato i natali a Richard
Wagner, Karl Marx, Sigmund Freud, Vincent Van Gogh, charles Darwin, Giuseppe
Verdi e l’elenco potrebbe riempire questo libro. Cosa rappresenta allora
nella storia questo secolo?
Per tentare di dare una
risposta ritengo sia necessario affrontare i vari aspetti che compongono il
quadro d’insieme, gettando un sguardo allo sviluppo economico ed a quello
artistico nelle sue varietà letterarie, musicali, pittoriche. E
soprattutto partire dagli aspetti pratici del vivere, condividendo le parole di
Mario Praz: “Il senso ultimo d’un armonioso arredamento, è
sì di rispecchiare l’uomo, ma di rispecchiarlo nella sua essenza
ideale: è un’esaltazione dell’io. Per questo forse ancor
più della pittura, della scultura, e perfino dell’architettura, il
mobilio rivela lo spirito di un’epoca”; alle quali possiamo
aggiungere che conoscere le tecniche produttive intrinseche di un’opera
d’arte, ci permette un’analisi approfondita, una conoscenza
strutturale meno influenzabile del giudizio critico artistico, sempre
maggiormente soggetto all’ottica del presente.
Il clima di
un’epoca.
Iniziamo cercando di
immedesimarci nell’atmosfera di una casa ottocentesca, per comprendere
quali fossero gli stimoli cui erano soggetti i nostri antenati.
La cucina è rimasta uno degli ambienti che
ha subito i minori mutamenti fino a tempi recenti, in essa il funzionale
prevale sull’ornamentale. L’ambiente si presentava fumoso per
l’ampio focolare con gli alari ed il girarrosto, una piattaia, il tavolo
massiccio su cui si preparavano i cibi e le pentole, che affisse ai muri
costituivano un rustico ornamento. Per secoli quest’ambiente rimase
pressoché immutato, finché nel corso dell’Ottocento le
stufe a carbone od a legna, il variare dell’illuminazione e nuove norme
igieniche non ne iniziarono la lenta evoluzione. Nella camera un servo accanto
al camino soffiava sul fuoco, per alimentarlo prima del risveglio dei padroni.
Durante la notte una veilleuse ha rischiarato con una tenue luce la stanza per
allontanare le tenebre, praticamente totali, e permettere in caso di
necessità di utilizzare il pitale, normalmente conservato nel comodino e
non di rado svuotato dopo l’uso nel vicolo. I servizi igienici erano
pressoché inesistenti ed i rari bagni erano collocati presso le cucine,
per utilizzare in comune le condotte di scarico; fino al 1880 le vasche da
bagno erano abitualmente costituite da tinozze trasportabili vicino al camino
della camera dell’occasionale utilizzatore. Nelle case ricche esistevano
apposite sale da bagno, particolarmente in voga dal neoclassico in poi, con
vasche celate spesso sotto ampi divani o con monumentali vasche di marmo, ma
fino alla fine del secolo abitualmente prive del cesso.
Col far della sera tutta la casa
condivideva un’eguale semioscurità, interrotta da candele e lumi
ad olio, i grandi lampadari erano accesi abitualmente alla presenza di ospiti,
ma con l’avanzare del secolo, cortinaggi sempre più pesanti
provvidero a mantenere tale atmosfera anche di giorno. Il sole con i suoi raggi
violenti era sentito ostile da un’umanità abituata alla penombra,
e ci si proteggeva con l’abbigliamento. Le donne utilizzavano oltre agli
ampi cappelli il parasole, ma anche velette e guanti, oltremodo necessari in un
mondo generalmente lurido e nel quale un contatto casuale poteva essere fonte
di trasmissione di scabbia ed altri tipi di parassiti. Al gemtlemen non
mancavano egualmente mai cappello e guanti e spesso un solido bastone ornamento
tipologicamente tanto vario, che un mio amico collezionista ne possiede alcuna
migliaia. All’inizio del secolo per la mancanza di tutte quelle norme
igieniche, che ci appaiono oggi tanto normali, e verso la fine per i fumi delle
industrie, dei riscaldamenti e dell’illuminazione, le metropoli
apparivano generalmente nerastre. Basti pensare che a Londra una farfalla, la
cavolaia bianca, mutò di colore divenendo scura, per seguire quelle
norme sull’adattamento genetico alla selezione naturale, che Charles
Darwin andava scoprendo. A Roma in Via Margutta si può leggere una
lapide, in cui l’incaricato papalino prescrive le multe, e per chi non
poteva pagare il numero di nerbate e di giri di ruota, da comminarsi a chi
avesse lordato la pubblica via. La lapide di marmo la dice lunga sul
perpetrarsi nel tempo di un andazzo abituale, cui non era sufficiente porre
rimedio il consueto bando cartaceo. Nella vita pubblica per tutto
l’Ottocento il caffè svolse l’importante funzione non solo
di ritrovo mondano, ma anche artistico, tanto da coniarsi il termine di
caffè letterario. In Italia ne sopravvivono alcuni famosi, come il
caffè Pedrocchi di Padova od il Florian di Piazza San Marco. Ancor
più adatti a favorire l’incontro mondano furono quelli collocati
nei teatri, frequentati dai signori nei palchi e dagli spiantati nei loggioni.
Alle origini del secolo.
Ogni epoca raramente
coincide con i limiti temporali del calendario, l’Ottocento non fa
differenza. Esso inizia con la presenza in Europa dell’impero
napoleonico, nato dalla Rivoluzione e dal Neoclassicismo. E il primo movimento
culturale e politico che incontriamo anche in Italia, ma esso prende avvio
molto prima. Per comprenderne l’origine e lo sviluppo è dunque
necessario accennare brevemente alla storia del
La tendenza al
monumentale, al solenne, al patetico scompare già col primo
Rococò, per lasciare posto ad un gusto del leggiadro e
dell’intimo. Il colore e la sfumatura prevalgono fin dall’inizio
sulla linea grandiosa, salda, obiettiva, del Barocco e la nota della
sensualità e del sentimento è d’ora in poi sempre presente.
Il Rococò è arte dell’aristocrazia e dell’alta
borghesia come il Barocco lo fu della monarchia. Si sviluppò il tema caratteristico
del 700, quello pastorale. L’Arcadia fu sempre concepita come fuga dal
gran mondo e dagl’obblighi di Corte, un sogno poetico in cui godere dei
vantaggi di una vita civile senza dover ottemperare ai suoi vincoli. Da sempre
ogni civiltà complessa e raffinata ne ha fatto per due millenni il
simbolo di felicità e di libertà. Tale desiderio nacque da una
società troppo civile e sazia degli agi della corte e della
città, non dal contatto e dal rapporto diretto con il popolo, ma da una
visione romantica degli umili e da un sentimento derivato dalla natura. Il
contadino ed il pastore non si entusiasmano certo né per la natura,
né per il loro duro lavoro quotidiano, ma la poesia bucolica nata in
epoca ellenistica resiste, da Teocrito (310-
Di fronte a dame e
raffinati cavalieri travestiti da contadini, che discutono civettualmente
d’amore, non viene certo in mente a nessuno la semplicità del
popolo. L’Arcadia perde ogni contatto con il reale e serve solo a
mascherare la realtà della vita concreta, essa non è altro che
una nuova forma giocosa dell’arte erotica.
Si formavano due grandi
gruppi con le stesse abitudini, gusto e linguaggio: il popolo, e chi gli stava
sopra. L’aristocrazia e l’alta borghesia si fusero in un unico ceto
depositario della cultura.
L’attività
edilizia dal re e dallo stato passò ai privati, prevale il gusto
borghese per le piccole dimensioni, perciò si sostituisce al Barocco
massiccio, statuario e corposo un’arte decorativa virtuosistica, delicata
e nervosa. Paragonata all’arte barocca sfrenata, soverchiante e
tumultuosa quella rococò appare più debole, minuta e gretta, ma
anche più leggiadra. Il Rococò disgregando il classicismo del
Barocco preparò il terreno all’arte della borghesia, con la sua
sensibilità al pittoresco e la sua tecnica già impressionistica.
Le precedenti antitesi furono sostituite dalla scelta attuale tra preferire
l’intelletto e la conoscenza razionale od il sentimento e
l’intuizione. Si approntava il terreno culturale per i due grandi
movimenti che influenzeranno anche il secolo successivo: l’Illuminismo
degli enciclopedisti ed il sentimentalismo dei romantici, che con il mito del
buon selvaggio mutava l’appello arcadico ponendo al centro l’uomo
con i suoi istinti irrazionali.
Diversi fattori stavano
contribuendo all’allentamento dell’organizzazione del lavoro nelle
corporazioni. Per diritto feudale il faubourg St. Antoine ed alcuni altri
luoghi eclesiastici erano esentati dagli obblighi corporativi e vi potevano
lavorare anche artigiani privi di maîtrise (titolo attribuito
dalle corporazioni ai propri membri, che solo permetteva di commerciare
pubblicamente la propria produzione, assoggettandola all’obbligo di
apporre la propria stampigliatura). Anche i lavoratori stranieri potevano
lavorarvi, ma con l’obbligo di vendere i loro prodotti tramite mercanti e
maestri autorizzati. Inoltre il re poteva accordare privilegi, che pure
esoneravano da molti di tali obblighi, come quello di usare per le diverse
lavorazioni solo operai iscritti alle corporazioni d’appartenenza, e
spesso dal pagamento stesso delle tasse; per tale motivo gli arredi prodotti da
questi artigiani presentano spesso una più perfetta armonia ed unitaria
concezione.
Per favorire la
nobiltà, che si sentiva messa alle strette, fu promulgato l’editto
del 1781 con cui la borghesia fu esclusa dalle alte cariche nell’esercito
e nel clero. In compenso essa raggiunse il suo pieno sviluppo intellettuale e
materiale. Erano nelle sue mani il commercio, l’industria, le banche,
l’appalto delle tasse, le professioni liberali, il giornalismo, la
letteratura, quindi tutte le posizioni chiave, ad eccezione appunto degli alti
gradi nell’esercito a corte e nella chiesa.
Contro la tradizione del
Barocco e del Rococò ci si mosse da due direzioni: da una parte Rouseau,
Richardson, Hogart e Jean-Baptiste Greuze con il naturalismo ed il sentimentalismo;
dall’altra con il classicismo ed il razionalismo Anton Raphael Mengs,
Jacques-Louis David, Johann Winckelmann e Karl Lessing. Queste correnti
propongono un’ideale di semplicità puritana in contrapposizione al
fasto aulico della tradizione. Esso sopravviveva in Francia più a lungo
che in Inghilterra, ma verso la fine del secolo ormai è dominante in
Europa l’arte borghese, divisa in progressista ed in conservatrice, ma
non esistette più un arte viva in sostegno degli ideali e delle
ambizioni della corte e dell’aristocrazia. Raramente si è
verificato un tale capovolgimento, che portò la borghesia a sostituire
la nobiltà nell’egemonia culturale ed artistica e parallelamente
al cambiamento radicale del gusto con il passaggio dalla decorazione all’espressione.
Nella seconda metà del 700 vi fu uno sviluppo senza precedenti,
prosperarono i commerci e le industrie, enormi somme passarono di mano tra
imprenditori e speculatori. Non solo i grandi banchieri e gli appaltatori
iniziarono a gareggiare in splendore con la nobiltà, ma anche la media
borghesia partecipò sempre più largamente alla vita culturale. La
borghesia si impossessò della cultura. Oltre a scrivere i libri e
dipingere i quadri li comprava. Essa divenne la classe colta depositaria della
cultura, la principale lettrice di Voltaire (Arouet François-Marie,
detto) e di Jean-Jacques Rousseau. Il più grande collezionista del tempo
è Antoine Crozat figlio di una famiglia di mercanti.
L’Accademia
pretendeva, come nella teoria politica la monarchia assoluta, di proporre
l’ideale classico come eterno ed immutabile, derivato da Dio stesso.
Criticandola l’Arte perde la maiuscola e si propone ai comuni mortali,
divenendo più accessibile, meno pretenziosa. Il paesaggio eroico viene
sostituito da quello pastorale idilliaco; il ritratto perde il connotato di
opera destinata al pubblico per diventare domestico, per uso privato. Il quadro
storico e quello sacro perdono terreno. Charles Maurice Talleyrand disse:
“Chi non ha vissuto prima del 1789 non conosce la dolcezza della
vita” con ciò alludeva non solo all’ideale edonistico, ma
soprattutto alla dolcezza delle donne, l’amore aveva perso sia la sua
natura istintiva che quella passionale per diventare raffinato, divertente,
trasformandosi da passione in abitudine. Si raffiguravano ovunque nudi, che
diventano il tema preferito dell’arte. Negli affreschi, sugli arazzi dei
salotti, nelle incisioni dei libri, dai bronzi alle porcellane non si vedono
che seni, braccia, fianchi e gambe intrecciate in tutte le pose. L’ideale
stesso di bellezza femminile muta, nell’età barocca la donna
è matura ed opulenta, ora si preferiscono tenere giovinette ancora
bambine. François Boucher fece della “pittura dei seni e dei
culi” uno stile nazionale trasferendo anche nelle incisioni ed in tutta
l’arte minore motivi prettamente erotici. La donna nel suo pieno rigoglio
riconquisterà il suo posto nell’arte con il romanticismo di
Thèodore Géricault ed il classicismo di Jacques-Louis David, con
il trionfo della media borghesia.
Dopo il Rococò non
vi sarà più un canone formale di validità universale e
l’artista dovrà autonomamente conquistare un suo stile personale.
Nella seconda metà del XVIII° secolo sorse la moderna borghesia, che
imporrà all’arte la sua concessione individualista, in una
continua ricerca dell’originalità, sostituendo all’idea di
stile consapevolmente condiviso in una comune visione di valori, il concetto
moderno di “proprietà culturale”. È la fine della
teoria dell’art pour l’art a favore del nascente
romanticismo e realismo.
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Jean-Jacques Rousseau
vide giustamente in Jean-Baptiste Greuze il propagandista politico dei nuovi
ideali, il creatore di quella idea stereotipata del popolo e dei suoi costumi
morigerati, con l’apoteosi della famiglia borghese, e di quella pittura
aneddotistica fonte dei cattivi prodotti dell’ottocento.
Contemporaneamente a lui Jean-Baptiste-Siméon Chardin dipinse in maniera
più schietta ed onesta quadri permeati da una modestia borghese, che sono
tra il meglio dell’arte del settecento, superando la visione tutto
sommato aristocratica di Jean-Baptiste Greuze, piena dei luoghi comuni tipici
dei ceti superiori nella critica alla borghesia, preparando il campo ai valori
della rivoluzione.
Assai differente la situazione della Germania per
tutto il Settecento a causa della generale arretratezza si determinò una
situazione particolare che portò gran parte dei maggiori talenti ad
emigrare in Francia od in Inghilterra. La corporazione imponeva da sei ad otto
anni di apprendistato, da trascorrere in gran parte all’estero. La
mancanza di scuole, fatta eccezione per
Nei decreti emanati
dall’autorità sull’itineranza sono spesso citate quali mete:
Berlino, per la vicinanza del grande mercato russo e dove esisteva una gilda
dei fabbricanti di sedie all’inglese, tanto in voga ai tempi di Johann
Wolfgang Goethe da doversi dare la patente d’inglese a ciò che si
considerava alla moda; Neuwied, ove era stabilito il grande laboratorio di
Jacques-Louis David Roentgen; e Vienna. Londra e Parigi con il loro milione d’abitanti
costituivano un grande mercato ed in più erano già piene di
colonie di tedeschi; artisti, prelati, aristocratici ed artigiani famosi.
L’Inghilterra
già nel settecento era una nazione moderna nella quale i cittadini
godevano di una libertà personale sconosciuta altrove, le distinzioni di
classe ed i privilegi sociali erano legati al possesso della terra e non come
nel resto d’Europa a mistici diritti di sangue. Il Parlamento
rappresentava il conflitto tra i due blocchi contrapposti: la corona ed i
nobili da una parte, il ceto d’impronta capitalista dall’altra. Un
terzo gruppo composto dai piccoli imprenditori, dai contadini e dai salariati
non trovava ancora rappresentanza. La trasmissione del titolo di Lord
esclusivamente al primogenito unificava i cadetti al resto della gentry,
creando una distinzione verso il basso, determinata da un comune orientamento
ideologico e livello culturale, che possiamo raccogliere nel termine di gentleman.
Ciò spiega in una certa misura come il passaggio
dall’aristocratico Rococò al Romanticismo borghese avvenisse qui
in maniera relativamente indolore.
Con la costituzione di un
pubblico di lettori stabile e relativamente ampio si verificò un certo
qual livellamento culturale, che rese omogeneo questo insieme di soggetti.
La rivoluzione
industriale, la creazione del pubblico.
L’importanza assunta dalla
borghesia agiata determinò la nascita di tale pubblico, riuscendo a
garantire una certa indipendenza economica agli scrittori, qui non più
costretti a dipendere dal mecenatismo, che cessò verso la metà
del secolo e dal 1780 non vi sarà più alcuno di essi, che
necessitasse di appoggi privati. Il numero dei lettori crebbe alla metà
del secolo, fra i ceti superiori già alla fine del settecento il leggere
divenne un’abitudine necessaria ed il possedere libri tanto naturale
quanto sarebbe sembrato strano all’inizio del secolo.Tale sviluppo fu
favorito dal nascere dei periodici, che al principio del secolo costituiscono
la grande novità in letteratura. La funzione dell’editore quale
mediatore tra l’autore ed il pubblico si afferma insieme
all’emancipazione del gusto borghese dai canoni aristocratici. Daniel
Defoe, figlio di un macellaio, diede voce all’ottimismo della borghesia,
descrivendo nel suo “Robinson Crusoe” il tipico rappresentante del ceto
medio; solerte, volenteroso, inventivo e tenace, che realizza con le sue sole
forze dal nulla il benessere e la sicurezza.
Si poté
così sviluppare un’attività letteraria moderna in cui il
rapporto dello scrittore con il pubblico è anonimo e corrisponde al
principio borghese di libera circolazione delle merci; con la creazione di un
nuovo soggetto il critico, che ha il compito di rappresentare il livello medio
del gusto del lettore.
Precedentemente
un’artista era tanto più rispettato quant’era alto il rango
del suo protettore, ora lo è nella misura del suo successo. Nasce
l’idea del genio artistico soggettivo ed originale con una sua
personalità creatrice, che diviene l’attore della rivolta contro
la costrizione delle rigide meccaniche regole dello spirito conservatore e
convenzionale.
La rivoluzione
industriale portò alle estreme conseguenze la divisione del lavoro
già preesistente e con la meccanizzazione e la razionalizzazione dei
metodi produttivi rese definitiva la divisione tra lavoro e capitale. Il
capitalista si formò una nuova etica legata all’impresa, mentre il
lavoratore smarrì il proprio senso etico del lavoro, perdendo le antiche
distinzioni di mestiere. Contadini inurbati, artigiani, uomini donne e
fanciulli diventarono tutti semplici manovali all’interno di
un’industria meccanizzata regolata rigidamente.
La vita rurale e la
ricchezza basata sul possesso terriero non avevano conosciuto in pratica la
speculazione ed il rischio relativo all’investimento di capitali, anche
nella finanza e nel commercio il generale atteggiamento era relativamente
cauto. Lentamente quanto inesorabilmente la nuova industria spinse ad
investimenti sempre più ingenti ed al capitale si aggiunse la
definizione “di rischio”, obbligando gli imprenditori ad esporsi
per somme troppo elevate. Pur nella generale prosperità si generò
un sentimento di ansietà contrario ad un facile ottimismo. A causa del
rischio connaturato in tale attività non può essere posto nessun
vincolo alla libertà di movimento dell’imprenditore, nessun freno
statale, che ne comprometta la concorrenza sul mercato. La rivoluzione
industriale consistette essenzialmente nella vittoria di tali principi
sull’antico ordinamento medievale e mercantilistico. L’economia
moderna cominciò con il principio del lassez-faire e con esso si
affermò l’ideologia del Liberismo, cui solo era possibile
collegare l’idea della libertà individuale. L’artista
reagì al principio della libera concorrenza esprimendo i propri affetti,
affermando la sua personalità, partecipando al lettore l’intimo
dissidio tra l’anima e la coscienza e risolvendo con un romanticismo
programmaticamente individualista il suo desiderio di ribellione alla
spersonalizzazione, esasperata dalla divisione del lavoro.-La borghesia
usò l’austerità del costume contro la mentalità di
corte, cui rimprovera la frivolezza e la propensione allo spreco, di cui altri
facevano le spese.
Nel romanzo il
romanticismo ricerca l’effetto immediato teso a stupire, da questa
necessità nacque il romanzo storico ed i primi racconti paurosi pieni di
atmosfere misteriose e di pathos a buon mercato. Un’opera per risultare
efficace doveva svolgersi in un continuo crescendo, per impressionare doveva
essere un dramma continuo e completo, anche se suddiviso in tanti piccoli
drammi, ognuno con il suo finale. Il livello culturale si abbassò e
l’Ottocento difetterà di quel gusto sicuro ed equilibrato proprio
del Rococò e dell’arte aulica. Jean-Jacques Rousseau
influenzò quasi tutti i pensatori del settecento, un influsso di tali
proporzioni fu possibile solo perché egli fu la vera espressione ed il
più profondo interprete delle inquietudini del suo tempo. Fu il primo
vero ribelle. Senza la sua concezione di un presente depravato non sarebbe
stato possibile il romanzo ottocentesco della delusione, senza il suo
pessimismo storico-filosofico non ci sarebbe stata la concezione tragica di
Heinrich Kleist o di Johann
Christoph Friedrich Schiller.
Lo sviluppo della musica.
Soprattutto nella musica
l’influenza di Jean-Jacqes Rousseau fu tale da determinare un mutamento
forte ed improvviso come in nessun altro campo. Alla generazione di Johann
Sebastian Bach se ne contrappose una nuova, cui la fuga sembrò forma
antiquata. La musica antica, con la trattazione uniforme del contenuto emotivo
con la sua forma rigida e solenne ed il pesante contrappunto, appariva dominata
e moderata. La nuova musica prese ad esempio le idee di semplicità,
intimità ed immediatezza, con una forma accentrata, a sviluppo
drammatico, con una ascesa, un acme e possibilmente un conflitto ed una
soluzione, contrapponendosi alla ricerca dell’effetto costante equamente
distribuito nella composizione. I borghesi avevano conosciuto la musica solo
nelle rare occasioni di balli, alle feste religiose od in chiesa. Durante il
Settecento si costituirono società che daranno concerti a pagamento per
un pubblico sempre più numeroso. Si formò così un mercato
libero, corrispondente a quello letterario con i suoi editori, i periodici ed i
giornali. Il pubblico, che pagava di volta in volta, andava conquistato
continuamente ed è per ottenere il successo che si fu costretti a
moltiplicare gli effetti ed a renderli sempre più forzati, fino a
determinare lo stile carico ed intenso, che caratterizzò la musica
dell’ottocento. L’affrancamento del compositore dal committente
segnò il passaggio tra l’opera scritta su ordinazione destinata ad
un rapido oblio, spesso dopo una sola esecuzione, e la creazione imperitura.
Franz Joseph Haydin scrisse quasi cento sinfonie, Wolfgang Amadeus Mozart la metà e
Ludwing Beethoven soltanto nove, per quest’ultimo ogni composizione non
è solo il frutto di un idea nuova, ma segna anche una nuova tappa nella
sua evoluzione artistica. La principale fonte di guadagno divenne la vendita
delle opere per le ripetute esecuzioni nei concerti. L’idea
dell’opera unica irrepetibile ed inconfondibile si attua nella musica
ancor più che nella pittura.
Il romanzo borghese di
soggetto familiare aveva costituito una novità assoluta, ma è nel
dramma che assistiamo ad un completo rivolgimento. Questo genere artistico
costituì una vera e propria arma nella lotta contro l’ancien
regime. Dapprima spogliò le virtù eroiche dell’aristocrazia
della loro concezione di carattere assoluto, sostituendole con quelle borghesi
della parità dei diritti, della democrazia e della nuova morale, poi
introdusse quale argomento centrale il conflitto sociale ed una visione
naturalistica della realtà. Nasceva l’unione tra radicalismo e
realismo-naturismo propria di tutto l’Ottocento. L’eroe diventa una
specie di superuomo giustificato nella sua azione dalle cause naturali che la
determinano, egli vince anche quando soccombe e supera il destino avverso,
è un ribelle militante. La morale diviene relativistica, il povero
è ladro ed assassino, ma non per sua colpa, così lo hanno fatto i
privilegi e l’oppressione dei ricchi. Quest’arte letteraria si
trasformò lentamente da strumento della rivoluzione borghese in uno dei
suoi maggiori elementi di critica, il ribelle non agisce solo contro
l’ordine costituito, ma contro ogni potente. Nella lotta contro il
destino vengono via via messi in discussione tutti i pilastri della morale
borghese e la sua pretesa di incarnare una morale universalmente valida.
La letteratura
diventò un fatto comune a tutta l’Europa. Nel medioevo il latino
aveva costituito la base della sua universalità, come durante il Barocco
ed il Rococò lo era stato il francese, ora nasce il nuovo concetto di
concerto di voci diverse, secondo ad esempio la visuale di Johann Wolfgang Goethe.
La teoria e la pratica di una letteratura universale si determinarono su quelle
dei fini e dei metodi del commercio mondiale.
Premessa necessaria.
Prima di trattare da
vicino l’evoluzione degli stili dell’Ottocento è necessario
porre alcune distinzioni e precisazioni di metodo. In questo secolo assistiamo
all’affermazione della borghesia, tuttavia dal punto di vista della
storia dell’arte permane una netta distinzione tra la committenza
importante e quella minore; è senz’altro la prima, costituendo la
parte più consistente del mercato, che continua a determinare
l’evoluzione artistica. Solo dal 1830 i redditi pro capite iniziarono a
registrare aumenti sempre più accelerati ed insieme
all’accresciuta produzione industriale sposteranno lentamente l’ago
della bilancia, fino a giungere ai giorni nostri alla preponderante influenza
di un pubblico di massa, con l’affermazione definitiva del concetto di
design. Bisogna sempre distinguere tra i manufatti del primo tipo, eseguiti
dagli artigiani più abili ed affermati con materiali costosi e
puntualmente ispirati alla moda del momento e gli altri, prodotti poveramente
da artigiani minori con lunghe sopravvivenze di stili ormai sorpassati. Da
sempre un’abile artigiano lavora per chi lo può più pagare,
trasferendosi, finché lo sviluppo dei trasporti e delle tecniche di
commercializzazione non hanno permesso una distribuzione differente, ove la
produzione richiede il meglio, sempre che non gli sia impedito dalla presenza
di qualche tipo di vincolo. I meno abili debbono forzatamente accontentarsi di
un mercato adeguato alle loro capacità. Tutto ciò si riflette
nella marcata differenza dei loro prodotti. Il termine ebanisti nasce nel
Seicento, allorquando le corporazioni parigine segnano una rigida distinzione
tra questi, cui solo è consentito l’utilizzo di materiali rari e
costosi, dei quali il più impiegato allora era per l'appunto
l’ebano, ed i falegnami destinati alla produzione corrente con
l’utilizzo di legni poveri locali, spesso forniti dallo stesso committente,
che era spesso anche il proprietario del bosco.
La bottega
dell’ebanista dispone di tutta una serie di lavoranti destinati
all’esecuzione delle varie fasi costruttive, spesso a loro volta iscritti
alle proprie corporazioni; Jean-Baptiste Gilles Youf nel suo laboratorio di
Lucca, impiantato al seguito di Elisa Baciocchi, disponeva di circa 170
lavoranti. Ben diversa la composizione della modesta bottega di campagna o
collocata in un area impoverita e costretta ad ispirarsi ed imitare gli stili
che con molto ritardo giungevano dai centri più importanti, con
l’utilizzo di materiali locali a basso costo e tecniche decisamente meno
raffinate. Di certo segare un’asse dello spessore di qualche centimetro
richiede minor abilità che segare un’impiallacciatura vicina al
millimetro e minor investimento il maneggiare una sega personalmente, che
utilizzare manodopera specializzata nell’uso di una sega a più
lame. Egualmente il legname esotico d’importazione, che giungeva
prevalentemente dalle americhe dopo un lungo e periglioso trasporto su veliero,
costituiva un genere di lusso, in grado di far lievitare enormemente il prezzo,
insieme ai bronzi dorati ed agl’altri materiali preziosi.
Un valido esempio
può essere costituito dal raffronto dei prezzi fatturati in varie
epoche. Alla fine del 600 un tavolo di noce costava 10 lire francesi; un
bureaux di noce 80; una scrivania alla Mazzarino, intarsiata con rame e stagno,
200; le comode eseguite da Boulle per il Trianon a Versailles, in ebano
intarsiato e bronzi dorati, tra le 1000 e le 1500; si giungeva per pezzi
straordinari, come i cabinets eseguiti da Gucci per i Gobelins, alla
astronomica cifra di 30500. Si pensi che un pasto in una locanda economica
costava 5 soldi e un posto letto 1 soldo (una lira era pari a 20 soldi), ed il
salario giornaliero di un operaio specializzato era di circa 15 soldi.
Analogamente alla fine del 700 si passava dalle 60 lire per uno scrittoio di
noce alle 200 per una comode in legno satin. Anche i laboratori più
prestigiosi dovevano ricorrere agli anticipi di danaro per l’acquisto dei
materiali sia direttamente dal committente, che dal marchand-mercier
(letteralmente commerciante tappezziere, già il nome indica la potenza
economica di chi poteva commerciare le stoffe). Ciò valeva per l’ebanista
francese, come per quello italiano. A Milano viene pubblicato nel 1822 il
manuale “Segreti diversi concernenti le arti e i mestieri”
contenente svariate ricette per la tintura dei legni, ampiamente estratto dal
più celebre “Chimie appliquée aux arts”. E se il
Giuseppe Maggiolini tingeva i legni per creare una tavolozza ancora più
ampia dell’ottantina di essenze naturali che già impiegava, nel
1850 nel laboratorio dei Luigi Falcini si tingevano le essenze per risparmiare,
non potendosene permettere gli alti costi per i mobili prodotti autonomamente,
senza committenza. All’inizio dell’Ottocento la mano d’opera
incideva in misura molto inferiore rispetto ai materiali alla formazione del
prezzo, la stessa comode di mogano valeva 300 o 600 franchi a seconda che le
modanature fossero o no rivestite di bronzo dorato. Mobili di estremo lusso
come quelli di porcellana potevano costare anche 10000 lire. Nel 1855
L’imperatrice Eugenia acquistò all’esposizione universale di
Parigi una toilette monumentale per 8000 franchi. D’altronde alla fine
del secolo si poteva comprare in Italia una camera da letto completa
impellicciata con 300 lire. Altra notevole fonte di spesa era costituita dalle
tappezzerie, il cui costo spesso superava quello degli arredi; l’ambiente
più costoso risultava essere la camera da letto, ove l’impiego di
stoffe era maggiore, essendo utilizzata come luogo di ricevimento a fini di
rappresentanza almeno fino al 1820.
Per descrivere
l’evoluzione stilistica è dunque giocoforza tenere in considerazione
principalmente la produzione ebanistica, trascurando quella minore; senza tener
conto delle attuali valutazioni del mercato a volte insensatamente superiori
per oggetti di scarso valore artistico. Sono tali mobili significativi , che
determinano comunque nel tempo la reale tendenza del mercato, anche se oggi le
fluttuazioni della moda possono temporaneamente spingere il prezzo di arredi
modesti oltre il loro reale valore storico ed artistico. E sempre preferibile,
quando possibile, orientare la scelta verso mobilia, che comporti
l’impiego di materiali rari e preziosi, uniti ad una esecuzione virtuosa,
tali elementi non solo ci illustrano la qualità dell’arredo, ma
costituiscono il migliore filtro per facili contraffazioni, rendendosi
decisamente difficile la falsificazione di materiali e di abilità oggi
quasi scomparsi. Bisogna anche tener conto che le novità non generano
direttamente la diffusione del gusto, e che quando appare un’innovazione
essa risulta dapprima scioccante, poi lentamente si producono degli
adattamenti, che spesso ne seguono la linea con realizzazioni meno eclatanti.
La nascita del
neoclassicismo. Lo stile dell’Europa.
Johann Joachim Winckelmann indicò
nel disegno lineare, puro, nella “nobile semplicità e nella
tranquilla grandezza” i dettami del nuovo stile, in contrasto soprattutto
con il vuoto virtuosismo, la finzione e l’artificialità del
Rococò, contro il gusto sensuale e capriccioso per cercare un valore
spirituale dell’arte. Per la prima volta il passato non fu esaminato con
il gusto dell’arte contemporanea, ma si vollero indicare in esso i
dettami con cui giudicare l’arte del presente. Bisognava rivolgersi
all’antico, che appare come una ineguagliabile primavera artistica della
umanità, scomparsa come “lo stato di natura” di
Jean-JacquesRousseau. Tutti i preromantici tedeschi da Gotthold Efram Lessing,
a Herder, a Johann Wolfgang Goethe condividono queste idee e vedono
nell’antico la fonte di rinnovamento a cui attingere, l’esempio di
una umanità perfetta, per sempre scomparsa. Così per Georg
Wulhelm Friedrich Hegel “La contemplazione dell’ideale classico
aveva condotto Winckelmann, come per una sorta d’ispirazione, a rivelare
un nuovo significato sugli studi sull’arte che egli sottrasse ai
pregiudizi banali ed al pregiudizio dell’imitazione. Egli
sottolineò con vigore la necessità di ricercare il vero concetto
dell’arte nella storia e nei suoi capolavori.” Johann Wolfgang
Goethe così descrive nel “Viaggio in Italia” Lady
Hamilton’s: “…abbigliata alla greca, con un costume che la
veste mirabilmente; ella poi si scioglie le chiome, servendosi d’un paio
di scialli, continua a mutare posa, gesti, espressioni…Ciò che
avrebbero aspirato a creare tante migliaia d’artisti lo vediamo come
realtà in moto” la stessa atmosfera rareffata, sospesa nel tempo
c’è consegnata da questo quadretto. L’antico divenne
ispirazione per la vita quotidiana e nel 1788 la pittrice Elisabeth
Vigée-Lebrun, un anno prima della rivoluzione e del suo esilio, tenne
nella sua casa di Parigi una cena greca, il famoso “super grec”, in
cui abbigliò ed acconciò i commensali alla greca e servì
piatti greci in autentico vasellame antico. Pochi anni più tardi durante
una festa rivoluzionaria, adagiata su di un triclinio nuda, per tre giorni la
moglie di un tappezziere rappresenterà sulla scalinata del Sacre
Cœur la dea ragione; nella stesa posa in cui Canova raffigurerà
Paolina come Venere Vincitrice.
La classicità era
stata interpretata dall’umanesimo rinascimentale in senso antiscolastico
ed anticlericale, dal Settecento secondo il punto di vista dell’etica
dell’assolutismo monarchico. La borghesia progressista legò il
proprio classicismo rivoluzionario all’ideale stoico e repubblicano al
punto di rimanervi fedele in tutte le sue manifestazioni. Alla vigilia della rivoluzione
erano presenti in Francia diverse tendenze artistiche, il Rococò ancora
attivo in Jean-Honoré Fragonard con la sua arte coloristica e sensuale,
il naturalismo proprio di Jean-Baptiste-Siméon Chardin, Jean-Baptiste
Greuze con il suo sentimentalismo stereotipo e l’evidente classicismo di
Joseph-Marie Vien.
L’alta borghesia
consolidandosi aveva svuotato a tal punto l’ideale moralità
borghese da diventare una delle principali sostenitrici della cultura
Rococò, prestando il fianco ai critici del potere comunque esercitato.
Il 1789 è anche
l’anno dei grandi giuramenti: quello della Pallacorda, George Washington
alla costituzione americana, e tanti altri seguirono negli anni seguenti. Il
giuramento è un atto sacrale, patto tra uomini, che impegna per la vita,
fonte di nuova sovranità opposta a quella antica del diritto divino.
Complementare
all’opera di Jacques-Louis David quella di Pierre Paul Proud’hon si
caratterizza per un diverso angolo d’osservazione. Nel primo prevale
l’anima marziale, maschia e severa, nell’altro un’indole di
un eleganza più frivola e femminea. Questa dicotomia è rilevabile
un po’ in tutta l’arte dell’Impero, in cui possiamo
distinguere tra ambienti ed arredi con un’impostazione del primo tipo ed
altri con quella del secondo.
Napoleone è
l’ultimo sovrano per la cui glorificazione fu elaborato uno stile
condiviso dalla corte e dalla società. Neoclassicismo ed Impero sono
stili sopranazionali, che anche prima dell’unificazione in un unico
dominio politico costituirono la base comune della cultura occidentale. L’editore della celebre “Recueil” di Percier e Fontaine e
di “Voyage dans
Il neoclassicismo in
Italia.
In
Italia il panorama culturale non muta, anche qui l’inizio del secolo vede
tutto un fervore di iniziative editoriali, anche se meno aggiornate di quelle
inglesi e francesi. A Firenze si era stampato tra il 1796 ed il 1798 il
“Magazzino di mobilia”; a Milano “ dal 1806 i disegni
degl’allievi della scuola di ornato dell’Accademia di Brera; nel
1805 il “Corso elementare di ornamenti architettonici ideato e disegnato
ad uso dei principianti” di Ferdinando Albertolli; nel 1811
“Invenzioni diverse di mobili ed utensili sacri e profani” di
Pietro Ruga; nel 1825 “Raccolta di vasi antichi, Candelabri, Tripodi,
Sarcofagi, Lucerne, Altari, Cippi, ecc.” di Donato Vaselli tratte dal
Piranesi; nel 1827 di Giovanni Magazzari “Raccolta de’più
scelti ornati sparsi per la città di Bologna”; sempre a Bologna
nel 1827 di Antonio Basoli “Compartimenti di camere per uso degli Amatori
e Studenti delle Belle Arti”. In tutte queste pubblicazioni il gusto
prevalente è ancora quello Luigi XVI°. Dal
Dal 1808, grazie alla stabilizzazione del
potere napoleonico, le corti satelliti dell’Impero iniziarono un generale
ammodernamento con l’importazione di mobili da Parigi e con commissioni
agli artigiani locali. Punto di forza delle manifatture toscane e romane era
costituito dal commesso di marmi e pietre dure, che vide impiegare in epoca
napoleonica fino a cento operai nelle sole officine dei fratelli Pisani a
Firenze. Altro merito di Roma, Firenze e Napoli fu il mosaico ed il micromosaico.
Quest’ultimo fu ottenuto nel 1770 da Giacomo Raffaelli, che fondendo gli
smalti opachi, creati dal 1731 per
A Bologna Carlo Filippo
Aldrovandi fu senz’altro il principale protettore delle arti,
plenipotenziario del regno d’Italia con studio personale a Fointenbleau,
intraprendente mecenate cercò di far concorrenza alle terraglie di
Wedgwood. Queste all’inizio del secolo avevano invaso il mercato europeo
con prodotti, che non richiedevano la stesura di una pittura di fondo grazie all’impasto
di terre bianche, rendendole particolarmente economiche; determinando anche in
Italia il declino di storiche manifatture. Egli istallò nel suo palazzo
di via Galliera un laboratorio di ceramiche, in cui si sperimentarono varie miscele
di terre e di fritte, non essendosi ancora rinvenuti in Italia quei depositi di
terre bianche, che vedranno poi lo sviluppo delle terraglie della zona di
Bassano. L’Aldrovandi si fece edificare l’omonima villa, unico
esempio di palazzo neoclassico ancora esistente a Bologna, ricorrendo anche
all’opera di Pelagio Palagi
La scarsità di
edifici neoclassici, fu in parte dovuta al fatto che le truppe francesi
risiedevano in quel territorio e gravavano per il loro mantenimento sulle
popolazioni locali. Analogamente a Ferrara erano di stanza gli austriaci ed
anche quella città non partecipò all’edificazione
significativa di palazzi neoclassici. Bologna era pervasa più che
altrove da sentimenti giacobini, ricordiamo che qui fu promulgata la costituzione
della Repubblica Cisalpina il 26 marzo 1797, prima in Italia, mai entrata
ufficialmente in vigore per l’arrivo delle truppe francesi; e lo stesso
anno adottato il tricolore. Essa fu la capitale della repubblica Cisalpina e
sede dei tre Direttori, peraltro mai effettivamente entrati in carica, per i
quali furono approntate le sale del palazzo comunale (recentemente aperte al
pubblico ed in cui sono collocate alcune pendole di produzione francese, tra
cui una identica a quella del carro di Ettore, con cui giustamente si apre il libro
“Mobile Impero, il neoclassicismo tra Emilia e Lombardia”, Artioli
editore).
Tappezzerie e carte da
parati.
Nell’arredamento un
posto di primaria importanza era costituito dalle tappezzerie ed in particolare
dai tendaggi, si trattava non solo di una scelta di gusto, ma anche di
un’esigenza pragmatica. Le vicende concitate di quei tempi portavano a
preferire arredi eseguibili in tempi ristretti e facilmente modificabili. I
colori preferiti erano il rosso, il giallo ed il verde, affiancati anche dal
viola, blu , i toni del marrone e naturalmente il bianco. La tavolozza dei
colori fino alla metà del secolo, quando furono scoperti i colori
chimici nel 1859 daWilliam Perkin che perfezionò la tintura
all’anilina, era forzatamente limitata dagli alti costi dei pigmenti e
degli estratti naturali; l’esercito utilizzò a lungo per le divise
il colore rosso, che era particolarmente economico. Una valida alternativa alle
pitture parietali ed all’encausto era costituita dai papiers peints
ottenuti imprimendo con matrici di legno fogli di carta. Si trattava di una
tecnica complessa, che richiedeva per ogni soggetto fino a 150 cliché.
Fino alla fine del 700 i fogli disponibili erano quadrati di dimensione ridotta
e dovevano essere incollati per ottenere strisce di una certa lunghezza, dal
1778 per standardizzare la produzione fu fissata la misura massima delle
strisce in una larghezza di
L’importanza del
mogano, i bronzi dorati, i lamierini.
Dall’ultimo quarto
del 700 l’ebanisteria elegge quale principe dei legni il mogano, nelle
varietà di Cuba e delle Antille. l’Impero ne fece un’uso
quasi esclusivo fino al blocco continentale, imposto da Napoleone
all’Inghilterra il I° novembre 1806, che portò alla sua
rarefazione in Europa. Il mogano costituiva una delle principali voci
d’importazione, da quando alla fine del secolo precedente
I bronzi cesellati e
dorati a fiamma decorano ogni produzione importante e caratterizzano gli
interni fino al 1830. Erano prodotti per oltre il 90 per cento a Parigi, dove
esisteva un indotto in grado di occupare nelle sole fonderie artistiche oltre
9000 operai. In Italia esistevano centri di produzione nelle principali
città ed in particolare a Napoli, Roma, Firenze ed a Milano; dove i
fratelli Manfredini impiantarono su invito del viceré Eugenio Beauharnais
una fonderia, presso la fontana dell’ex convento dei Paolotti, anche con
lo scopo di insegnare l’arte del cesello e della doratura. Nelle regioni
italiane sia per la sopravvivenza di una mobile tradizione dell’intaglio,
sia per difficoltà di approvvigionamento, ma soprattutto a causa di una
produzione provinciale priva di mezzi economici e spesso anche delle
capacità tecniche ed
artistiche, si utilizzarono spesso decori in legno intagliato ed in
pastiglia dorati. Quest’ultimi, ancora più poveri, erano ottenuti
pressando un’amalgama di gesso e colla in appositi stampi di legno
intagliato precedentemente trattati con un distaccante. Dopo il 1820 si
utilizzarono allo stesso scopo lamierini dorati a vernice (la doratura a
vernice si ottiene immergendo il manufatto in acido fino a renderlo simile
all’oro, proteggendolo poi con una vernice trasparente), stampati con un
sistema di punzonatura, in tutte le varianti di stili possibili, che ne
permisero l’applicazione anche a mobili eseguiti in precedenza, sia a
fini decorativi, sia per ovviare al poco pratico sistema di apertura di
cassetti e sportelli con la sola chiave. Motivo per cui in molti mobili
provinciali, definiti usualmente Luigi XVI°, sono spesso presenti.
Ciò è facilmente riscontrabile sia dalla esistenza dietro a dette
placchette di fori, testimoni della presenza di precedenti pomelli, sia
dall’osservazione di slabbrature evidenti dietro le serrature, provocate
dal logorio delle chiavi. Ovviamente dove la presenza di lamierini risulti
originale in linea di massima tali arredi debbono ritenersi prodotti dopo
l’Impero. Si ricorse dalla fine del Luigi XVI in Francia, dal
Lo stile Carlo X° (
Carlo X di borbone fratello di Luigi XVI, salito al trono di Francia dal 1824
al 1830),
Esso consiste
nell’intarsiare a traforo con disegni eseguiti con essenze scure legni
chiari. In Italia ebbe una qualche diffusione soprattutto in Piemonte sotto
l’influenza dei lavori di Gabriele Capello e di Enrico Peters per Pelagio
Palagi ed in Lombardia di quelli del Maffezzoli. E erroneo, anche se di moda,
l’uso invalso di definire Carlo X° quanto genericamente prodotto nel
secondo terzo dell’Ottocento. Ancor più sbagliata tale definizione
quando riguarda arredi scuri intarsiati con disegni chiari, come quelli
magnificamente eseguiti da Gorge Smith, dopo il
Restaurazione e Luigi
Filippo in Italia.
Felice Giani (1758-1823)
fu il principale artefice del rinnovamento operatosi a Bologna e nelle Romagne
durante i primi vent’anni dell’ottocento. Grazie alla sua scuola,
cui si formarono i principali artisti, a partire dall’Impero si
realizzò la decorazione interna dei principali palazzi dell’epoca.
La committenza era talmente numerosa da non permettere l’esecuzione ad
affresco, laboriosa ed anche costosa, e fu eseguita come nel caso che
proponiamo direttamente a tempera. Fra gl’incarichi più
prestigiosi il Felice Giani fu incaricato tra l’altro della decorazione a
Faenza di palazzo Milzetti; e sempre a lui si ispirarono gran parte degli
arredi eseguiti nel secondo decennio del secolo, caratterizzati dalla laccatura
bianca ed oro tipica di molti mobili da parata Impero eseguiti in Italia ---,
meno costosi dei modelli in mogano e bronzi dorati alla stessa tipologia si
ispira questo paliotto. E quelle già citate a pag. Come presidente
dell’Accademia di Belle Arti sempre l’Aldrovandi sostenne
l’opera di Antonio Basoli, che aggiunse alle classiche vedute a finte architetture
il repertorio tratto dalle grottesche cinquecentesche, restando comunque vicino
al Giovanni Piranesi più che alle nuove tendenze storiciste.
A Napoli con il ritorno dei Borboni si assiste
all’adozione di mobili di gusto bidermeier, ben diversi da quelli
eseguiti da Gioacchino Murat così tipicamente impero, che erano stati
composti spesso con elementi di scavo, indice della forte tendenza archeologica
precedente.
A Torino dagl’anni
venti assistiamo ad una lenta ricerca di affermazione delle proprie origini da
parte dei Savoia, che puntarono ad arredare in stile Ancien régime le
proprie residenze, incominciando da Palazzo Carignano destinato a Carlo Alberto
e la sua sposa. Tuttavia sia il maestro dell’intaglio Giuseppe Maria
Bonzanigo, sia quello dell’intarsio Giuseppe Maggiolini, non riuscirono
ad aggiornarsi e restarono sempre più emarginati dalla moderna
committenza borghese. Vittorio Emanuele I° (1820-21) nei due anni di regno
aveva cercato di restaurare la monarchia semplicemente tornando indietro
all’arte classicheggiante, come se l’Impero non fosse esistito.
Carlo Felice (1821-31) svilupperà il tema del ritorno in senso Revival,
cercando nel gotico le origini profonde della dinastia. Carlo Alberto (1831-49)
vide nello storicismo una scelta organica, in cui la necessità politica
si inseriva ad uso risorgimentale ricreando un passato ricostruito
filologicamente ed omogeneo stilisticamente, servendosi dell’opera di
Pelagio Palagi, nominato architetto di Corte. Il Palagi si servì di
abili artigiani tra cui spiccavano Gabriele Capello, detto il Moncalvo, maestro
dell’intarsio e dell’intaglio, che nel 1863 impiegava nella propria
impresa più di cento operai; ed Enrico Peters, che si era trasferito a
Genova dall’Inghilterra nel 1817, impiantando uno dei più moderni
laboratori in Italia con produzione aulica, ma anche borghese, sempre di
esecuzione curatissima. La ricostruzione archeologica viene dal Palagi
esercitata in maniera più naturalistica, meno fredda di quanto
analogamente accadeva in Germania con Karl Friederich Schinkel e con Leo fon
Klenze. L’impostazione di Palagi è ancora pienamente neoclassica,
egli progetta insieme alle architetture anche gl’interni e gli arredi,
disegnandone fin nei più minuti particolari i decori, coinvolgendo in
una progettazione globale perfino i soprammobili (vedi il completo da camino
del gabinetto etrusco al Castello di Racconigi ed il centrotavola in scagliola
pubblicato a pag.
Le Esposizioni e le
scuole.
Il programma di spese statali, unito alle
esposizioni pubbliche (il primato in tal senso è italiano, la più
antica esposizione è del
Il passaggio dal dal
Neoclassico al Biedermeier. Il Romanticismo; Nazareni, Puristi, Preraffaeliti.
Il pittore Isabey
eseguì nel 1816 una serie di acquarelli per la decorazione di un
servizio di porcellana, destinazione che già chiarisce la tendenza del
nascente Biedermeier a porre la casa al centro degl’interessi umani,
sostituendo alla glorificazione di personaggi e battaglie quella dei valori
domestici. Qualsiasi mezzo può essere finalizzato alla diffusione di una
comune cultura. In essi è ben indicato come era divisa una tipica
giornata durante e subito dopo l’Impero napoleonico: dalle tre alle
cinque il sonno, dalle cinque alle sette il risveglio, dalle sette alle nove il
lavoro nello studio, dalle nove alle undici la colazione, dalle undici alle
tredici le udienze, dalle tredici alle quindici la toilette, dalle quindici
alle diciassette la passeggiata, dalle diciassette alle diciannove il pranzo,
dalle diciannove alle ventuno le visite nel salotto, dalle ventuno alle
ventitre lo spettacolo, dalle ventitre all’una la musica ed il tè,
dall’una alle tre il ballo ed il gioco. Una vita precisa come
un’orario ferroviario.
Jacques-Louis David
fondò una scuola cui aderirono quasi tutti i giovani artisti, il suo
successo non ebbe precedenti, la sua divenne, oltre l’esilio, fino alla monarchia
di luglio, ”la scuola” per eccellenza di tutta la pittura europea.
La sua adesione ai fini della propaganda politica fu totale e dimostra al di
là di ogni dubbio che l’arte può essere grande anche quando
si pone al servizio del potere. Sotto l’Impero egli si misurò con
il grande quadro celebrativo raggiungendo ulteriori traguardi, ma
incominciò a pagare il prezzo del distacco dal naturismo e dalla
spontaneità, irrigidendo il suo sentimento del classicismo e cominciando
a rivelare i segni di quell’accademia che riuscirà fatale alla sua
scuola. Nel ritratto fu Jean-Antoine Gros il massimo pittore dell’impero,
in esso egli riuscì ad esprimere a pieno l’immagine di uomini in
cui gli ideali rivoluzionari sussistono quale fonte di coscienza energica ed eroica
del proprio ruolo. Theodore
Géricault fu tra i primi ad esprimere le inquietudini della
sensibilità romantica, riuscendo però ad unire all’ansia
dell’evasione, al morboso timore per il presente, la grandezza tragica,
espressione patetica di una malinconia, che resta esaltazione della vita.
Nel chiostro di
sant’Isidoro a Roma, ambiente scelto per abbandoni mistici e rievocazioni
medievali, dal 1810 si riunirono alcuni tedeschi, che si contrapposero al
neoclassicismo in nome di una nuova religiosità cattolica di tendenza
primitivistica, fondata da Friedrich Overbeck nacque la setta dei Nazareni.
Essi condividevano la stessa base ideale, con il rifiuto dell’arte
rinascimentale e della forma grande, opulenta ed autonoma, per il ritorno
all’arte preclassica, gotica, antecedente Raffaello. In Italia tra il 1830 ed il 1840 nasce
il movimento dei Puristi, cui aderì il pittore Tommaso Minardi, che
sbocca nel 1843 nel “Manifesto dei Puristi”; anche Ingres
simpatizzo per un breve periodo per i Primitivi. In Inghilterra nel 1848 si
costituì la confraternita dei Preraffaeliti tra Dante Gabriele Rossetti,
Wiliam Holman Hunt e John Everet Millais. I Preraffaeliti seppero unire allo
spiritualismo vittoriano, ai soggetti storici religiosi, ai simboli fiabeschi
una gioia del minuto particolare, nella gaia riproduzione di ogni stelo e di
ogni piega delle vesti, una rara perizia tecnica, che comportò una
sensazione di stilizzato e d’irreale.
Nel 1813 il Cicognara
pubblicò il I° volume della:”Storia della scultura in Italia”,
in cui si rigetta la definizione di barbara data all’arte medievale, si
considera lo spirito di religione quale formatore di quell’arte, e si
ribadisce, in opposizione al positivismo, che: “i risultati preziosi
delle scienze restringono il genio delle arti e imbrigliano
l’immaginazione.”
All’inizio
dell’Ottocento l’opposizione romantica all’illuminismo, come
alla rivoluzione, portò la borghesia a reagire contro quella che gli
appariva sostanzialmente come una perdita del potere di controllo
sull’arte, con l’elaborazione della teoria della “Art pour
l’Art”. Il classicismo come il romanticismo trovarono entrambi lo
spazio per la loro definitiva affermazione nella rivoluzione, che elaborando
definitivamente il concetto della libertà dell’individuo ne
fondò le necessarie premesse. E all’interno della scuola
davidiana, tra gli allievi più dotati, che --- maturò il
Romanticismo, che solo tra il 1820 ed il 1830 divenne stile d’avanguardia
e cominciò a contrapporsi al Neoclassicismo visto come stile ormai
conservatore. Nel 1799 appare “
La rivoluzione
provocò un reale mutamento della composizione e degli orientamenti del
pubblico degli amatori d’arte. Nel Settecento Parigi grazie ai salons era
divenuta la capitale artistica d’Europa, ma il pubblico aveva
dell’arte una visione pratica legata al suo utilizzo ed era uno dei mezzi
con cui esprimere la vicinanza delle classi colte alla corte e la sua distanza
dai ceti inferiori. Durante l’Impero si consolidarono i rapporti diretti
tra artisti e pubblico di amatori con interessi ora puramente estetici,
favorendo negli artisti la libertà di scelta e lo sviluppo delle
inclinazioni personali. L’inferiorità vissuta dall’artista,
di fatto annoverato tra i servi, cessò con
Nel teatro si
svilupparono due importanti forme popolari il vaudeville, una commedia
inframmezzata da canzoni, ed il melodramma, anch’esso provvisto di
accompagnamento musicale, ma di soggetto serio e sovente tragico.
L’enorme successo di questi generi popolari fu dovuto sia
all’apertura dei teatri alle masse, sia al fatto che la censura
napoleonica e poi quella della Restaurazione, non impedirono a questi generi,
considerati minori, di trattare argomenti d’attualità e di
descrivere con franco spirito critico i costumi dell’epoca. Il melodramma
sconta una struttura rigorosamente divisa in tre parti, con una situazione
iniziale caratterizzata da forti contrasti, un’intermedia in cui
l’urto violento tra i personaggi sfocia in un finale in cui il cattivo
è punito, il bene e l’amore trionfano. Per trent’anni fino
al 1830 il melodramma dominò la vita del teatro parigino. Il
Romanticismo costituì una delle più importanti svolte dello
spirito, segnando un’intera epoca. Dal Gotico mai si era così
esaltata la sensibilità ed il diritto dell’artista a seguire le
proprie inclinazioni.
Nell’ideale romantico riconosciamo una
morbosa incertezza per il presente che spingeva a ricercare nel passato quegli
ideali che lì ritiene gia pienamente realizzati. Pittori come
Füssli prepararono il terreno con le loro visioni arcane, mitiche,
all’esoterismo goticizzante.
Il neogotico e la nascita
dello Storicismo. (F.S.30)
Il sentimento
gotigizzante nasce in Inghilterra fin dall’inizio del Settecento e si
realizza già compiutamente alla metà del secolo nel piccolo
castello neogotico di Strawberry Hill. Anche in Francia durante l’impero
sono realizzati arredi ed ambienti neogotici, ad esempio Jacob nel 1804
fornisce gli inginocchiatoi gotici per la cappella del Petit Trianon ed alla
Malmaison Giuseppina Beauharnais, fa realizzare nel 1805 una galleria gotica.
Anche in Italia il gusto per il Neogotico si diffonde nel secondo quarto del
secolo, ne è un esempio l’acquarello di Garnier del 1845, che ci
descrive un salotto di palazzo Giustiniani di Roma dove, come era abituale la
goticità è ottenuta con il trattamento ogivale della
sommità dei mobili. Egualmente è la decorazione, che trasforma in
neogotico l’impianto tipicamente biedermeier della scrivania e delle
librerie qui a fianco illustrati.
Nella storia e nel passato, contrariamente al
Neoclassicismo che vi vedeva un esempio da seguire, il Romanticismo
ricercò continuamente analogie e stimoli, che avvertiva come sussistenza
e fondamento della sua sensibilità. Il più valido contributo al
nostro tempo deriva da questa concezione del processo storico come flusso
ininterrotto, continua lotta i cui la vita spirituale è solo elemento
del generale processo. Lo Storicismo nasce dall’idea che la comprensione
dell’arte, delle istituzione, dell’oggi è possibile solo
analizzando il loro originarsi storicamente. Il Romanticismo costituì
l’ideale di una società, che non credendo nei valori assoluti,
ritenne possibile giustificarli solo accettandoli per il loro carattere
affermatosi storicamente. Esso costituì una delle armi più valide
della borghesia nella sua lotta contro i valori assoluti dell’Ancien
Regime. L’illuminismo e la rivoluzione avevano suscitato enormi
speranze, il cui fallimento fu imputato in gran parte al ceto degli artisti,
attaccati da ogni parte per avere spinto troppo o troppo poco il processo
rivoluzionario. Con
Quando i romantici analizzano se stessi si fa
strada l’idea dell’esilio ed il sentimento della nostalgia. Essi
parlano continuamente di terre lontane soffrono del loro isolamento nella
società , ma anelano a ciò ch’è ignoto e distante,
disprezzano quanto li circonda. La rivoluzione aveva privato l’uomo dei
riferimenti tradizionali e gli aveva reso la piena libertà di scelta con
l’obbligo di creare da solo il proprio destino. La rivoluzione
industriale subordinò alla produzione materiale il principio di moralità.
L’artista si ritrovò quindi solo e si sentì isolato e quasi
respinto da una società, che dopo il congresso di Vienna tese a
ripristinare i valori tradizionali e si rifugiò appunto nella fuga
romantica.
Quante analogie ritroviamo con il presente, dove,
dopo la fine degli ideali degli anni sessanta, sia di quelli dei figli dei
fiori, che di quelli della sinistra rivoluzionaria; dopo la fuga fricchettona o
nell’eroina, con la caduta degl’ultimi ideali di comunismo e della
grande paura della bomba; dopo la scomparsa dei blocchi, assistiamo al fiorire
di esotismi e etnicismi in una visione new-age ed in una frenetica ricerca
dello strano e del diverso, di sapore prettamente romantico.
La scomparsa del mondo nuovo promesso dalla
rivoluzione, l’incalzare di una vita frenetica continuamente costretta a
adattarsi allo straordinario processo tecnico del secolo, il rapido mutamento
dei rapporti tra le classi, con il costituirsi del nuovo proletariato urbano ed
il crollo di riferimenti certi, che per secoli avevano orientato
l’umanità, portò, dopo il 1830, all’accettazione
dello Storicismo e dell’Eccletismo. Rifugio sicuro per una società
disorientata, che solo nel passato vedeva una qualche fonte di solidità
e di sicurezza. La borghesia produttiva creò una scissione netta tra il
fuori ed il dentro, tra il mondo del lavoro e quello domestico, rinchiudendo
sempre più, con l’avanzare del secolo, gli affetti in una
casa-bomboniera, ch’è l’opposto della fabbrica e del mondo
frenetico della concorrenza e del liberismo.
Con il 1830 si concluse definitivamente il
neoclassicismo ed iniziò realmente l’Ottocento. Fino alla prima
guerra mondiale assistiamo ad uno svolgimento relativamente omogeneo della
storia dell’arte. Dal tempo della monarchia borghese di Luigi Filippo
iniziarono a delinearsi i caratteri di un intero secolo e tutto sommato di quei
valori in cui ancora ci riconosciamo. Stendhal (Beyle Henry, detto) e
Honoré de Balzac per primi indagarono le difficoltà morali, i
conflitti ed i problemi propri della nostra vita.
Tra il 1830 ed il 1910
assistiamo ad un’evoluzione intellettuale continua ed organica, da
Stendal (Beyle Henry, detto) a
Marcel Proust tre generazioni affrontarono le stesse problematiche. Da questa
data è ormai lampante che la borghesia fu il solo pubblico in grado di
costituire un mercato soddisfacente per le opere d’arte. D’ora in
poi, se voleva trovare acquirenti, gli artisti dovettero servire
l’ideologia liberista, sempre ribelli nell’atteggiamento, ma non
per questo meno utili portavoce nei fatti.
Il liberismo realizzò leggi di mercato,
che appariranno d’ora in avanti sfuggire al controllo
dell’individuo, per assumere un carattere automatico. Il sacrificio
personale e la necessità di dedicarsi agli affari trascurando ogni altro
interesse, per resistere ad una sempre più pressante concorrenza,
nell’aspirazione monomaniaca e spietata al successo e soprattutto
l’automatismo del meccanismo, resero il sistema incontrollabile,
sinistramente implacabile. Dalla frustrante consapevolezza di
incontrollabilità e dall’incertezza costante del futuro personale,
nacque lo scetticismo, il pessimismo ed il desiderio di estraniazione. Il
pensiero socialista, la bandiera rossa appare la prima volta nel 1832,
esplicitò e portò alla ribalta le esigenze del proletariato
industriale, costituendo non solo un ulteriore elemento di instabilità
del potere borghese, ma soprattutto la più profonda base critica dei
suoi ideali liberistici.
Negli atteggiamenti dei giovani
bohèmiennes non c’era solo l’odio per la vita borghese e la
volontà di creare scandalo ma soprattutto il desiderio di isolarsi dalla
vita reale, prende corpo l’idea, tuttora ampiamente condivisa, che solo i
giovani possono essere progressisti. Il concetto dell’arte per
l’arte permise questo estraniamento contrapponendosi all’ideale
rivoluzionario di un arte militante. Per altro i bohèmiennes non solo si
sentirono vicini al proletariato, ma effettivamente le loro condizioni furono
le stesse, il che li spinse a posizioni sempre più estreme.
In Inghilterra il
Romanticismo nacque in una nazione indebolita e disorientata dal duro conflitto
con Napoleone, caratteristiche tali da spingere la borghesia quantomeno a
dubitare dell’incrollabile fiducia nel progresso e nel liberismo, che
costituivano le fondamenta del suo esistere. Percy Bysshe Shelley, John Keats e
lord Gorge Gordon Byron, i più giovani tra i romantici, avviarono una
critica, forte del loro umanesimo, contro la politica di sfruttamento e di
oppressione operata dal capitale. Il Romanticismo sorse in Inghilterra dalla
reazione liberale alla rivoluzione industriale e proseguì direttamente
il Preromanticismo settecentesco. Mentre in Francia il Neoclassicismo si
frappose fra di essi. I migliori poeti di tale generazione non trovarono
consenso nel pubblico e sentendosi senza patria si rifugiarono all’estero,
così come accadeva in Germania ed in Russia. Ciò portò
alla nascita in Francia dell’arte per l’arte, in Germania
dell’idealismo ed in Inghilterra dell’estetismo; tutti movimenti,
che distolgono dalla realtà e dalla lotta politica attiva. Nel romanzo questo
segnò la consacrazione dell’eroe orgoglioso, solitario e
perseguitato dal destino. L’inquietudine del romantico diventa contagio
“il male del secolo”. La musica subì una definitiva
trasformazione ad opera del romanticismo, che la considerava l’arte per
eccellenza. La gloria di Carl Maria Weber, Fryderych Franciszek Chopin, Franz
Liszt, Richard Wagner riempì tutta l’Europa e superò il
successo dei poeti. Solo la musica resterà sino alla fine
dell’Ottocento pienamente romantica.
Lo sviluppo tessile.
Lione dominò il
mercato della seta a grande opera del secolo. Dal 1825 con la fondazione
della “Scuola centrale delle Arti e delle Manifatture” gettò
le basi per lo sviluppo tecnologico, che porterà nel 1880 alla
meccanizzazione completa di tale produzione. Il telaio semi-meccanizzato
Jacquard del 1801 viene introdotto, grazie ad ulteriori perfezionamenti, nella
tessitura delle sete lionesi intorno al 1840.
L’America alla metà del
secolo assorbe da sola oltre il trenta per cento della produzione; esportando in
cambio il finissimo cotone del sud impiegato nelle tessiture miste. Si tratta
di una stoffa di lusso alla portata solo della grande borghesia. Generalmente
essa è impiegata in arredi tradizionali e per la sostituzione delle
tappezzerie usurate, ma l’esigenza di dimostrare la propria potenza
economica porta ad utilizzarla anche nel capitonné. La seta a grande
opera non si presta per la sua intrinseca fragilità a tale tecnica
ed ancor meno il suo raffinato disegno ad essere interrotto dalla trapunta e
dai bottoni. L’alta borghesia vuole così dimostrare di potersi
permettere quel lusso dello spreco, che era fino ad allora appannaggio
dell’aristocrazia.
Verso il 1860 incomincia
ad interrompersi il trend positivo. Dal 1854 una malattia del baco da seta si
diffonde rapidamente dalla Francia al resto d’Europa. La sostituzione con
sete importate dall’oriente non era agevole, in quanto al loro basso
prezzo non corrispondeva l’alta qualità di quelle europee. Esse
erano più irregolari, grossolane ed opache, inadatte ai telai meccanici,
costruiti per fibre più regolari. Contemporaneamente la guerra di
Secessione americana aveva estremamente rarefatto anche l’importazione
dalla Luisiana dell’ottimo cotone americano. Risultò impossibile
produrre industrialmente tessuti continui in seta e misti, sulle cui lisce
superfici risaltava ogni imperfezione. Per fortuna il gusto più carico
d’ornamento, che stava affermandosi, permise a sarti ed a tappezzieri di
trovare una soluzione. Sopravvissero solo quei tessuti la cui lavorazione
permetteva di nascondere con l’utilizzo di orditi più consistenti
i difetti nella trama. Ma soprattutto si ricorse massicciamente
all’utilizzo di fiocchi, frange e varie passamanerie, che non mostravano
i difetti del filato e li nascondevano perfettamente interrompendo
continuamente le superfici. Ciò rese gli abiti molto simili alle
tappezzerie.
In questo modo era
però possibile riciclare tali tessuti riutilizzandone gran parte e si
rischiava di veder scendere il consumo. Nel 1859 William Henry Perkin, come
abbiamo già detto, perfezionò la tintura all’anilina e
grazie alla enorme varietà di disegni ottenibili da un numero infinito
di tonalità il mercato prese nuovo vigore. Dagli anni 30 erano stati
già prodotti altri colori artificiali: nel 1827 il blu oltremare e
nel-1849 il giallo all’acido picrico entrambi da Guinot; la fucsine nel
59 da Verguin, da cui si traevano le tonalità azuline,coralline,bleu-de-Lyon
ed innumerevoli toni di viola.
La grande Maison Worth
riuniva nella stessa esigenza di affermazione del proprio status economico,
l’unico ormai a contare, una variegata committenza di principesse,
attrici come
Verso la
metà del secolo.La stampa e la sua influenza sul romanzo. Le similitudini
con il teatro.
Nel 1836 Emile Girardin
fondò il giornale “
Per far fronte alla
richiesta sorsero vere e proprie manifatture letterarie, gli autori associavano
scrittori minori per una vera e propria produzione in serie. Allo stesso Dumas
fu contestato in una azione giudiziaria di aver pubblicato più pagine di
quante materialmente avrebbe potuto scrivere. La divisione in puntate obbliga
ad uno stile particolare. Ogni capitolo deve avere un suo svolgimento con un
crescendo drammatico ed un finale adatto ad eccitare la curiosità e
l’aspettativa per il successivo episodio, è evidente
l’attinenza con il melodramma ed infatti anche il romanzo dovette
assumere in parte le regole dello svolgimento teatrale. Il romanzo
d’appendice ed il melodramma, da cui nasce l’operetta il genere
più amato di tutto l’Ottocento, furono il segno di un generale
livellamento del pubblico, una democratizzazione della letteratura, cui
contribuì l’ampliarsi della rete ferroviaria e dei trasporti
capaci di portare ai teatri masse di pubblico sempre più considerevoli.
Mai prima un’arte aveva trovato un’accoglienza così unanime
tra ceti tanto diversi. L’operetta assunse quali precipui caratteri,
l’assoluta mancanza di verosimiglianza delle scene, tanto più
apprezzate quanto più irreali, fantastiche, fiabesche e vorticose. Essa conobbe
la maggior fioritura tra il 1855 ed il 1867, con il secondo Impero. Le
traversie economiche della fine del sesto decennio, insieme con la scomparsa di
quella tranquilla spensieratezza propria di un pubblico economicamente sicuro,
posero termine al suo apogeo. Rimase ancora a lungo fino alla prima guerra
mondiale quale espressione dei bei tempi andati, che una parte d’Europa
continuò ad identificare con Napoleone III° ed Jacques (pseudonimo
di Eberseht) Offenbach e l’altra con Johann Strauss e Ceco-Beppe. Ma anche la grand’opera
subì una sorte analoga, e se già nel teatro barocco i costumi e
gli scenari soverchiavano la scena, la sensibilità borghese
accentuò la ricerca del monumentale e dell’imponente, come
tutt’oggi sopravvive ad esempio in Aida, e se il Barocco riflette la
grandiosità aulica della corte, il Neobarocco mostrò appieno il
suo sfrenato bisogno di grandiosità. La grande opera riuscì ad
affermarsi uniformemente in tutt’Europa, perché la cultura
borghese francese era per tutti d’esempio. Nell’arte di Richard
Wagner ritroviamo appieno tale teatralità, lo stesso amore di Napoleone
III°,
La borghesia vuole distrarsi, distogliere il
pensiero dalle fatiche del lavoro e quindi pretende che anche l’artista
più che un vate sia un maître de plaisir. Il concetto
d’arte per l’arte diventa uno strumento, in mano ai romantici per
affermare la completa libertà dell’autore ed in mano alla
borghesia per rendere possibile, anche nell’arte, quella divisione del
lavoro, che caratterizza il liberismo. Da ora in poi ogni arte postromantica
porrà alla sua base l’invenzione, il sentimento, e l’ispirazione,
che si riterranno più vere, più vicine alla vita della
costruzione sapiente, l’abilità ed il gusto critico. Se per i
classici la coerenza e la chiarezza rendono plausibile un carattere, ora una
figura poetica risulta tanto più accettabile quanto più è
complicata e legata ad un’interpretazione soggettiva del pubblico. Tutta
la concezione moderna assunse a principio dell’arte la trovata felice, la
fantasia improvvisa e l’intuizione, che sono i doni dell’ispirazione,
cui giova all’artista abbandonarsi. L’incapacità di
comprendere l’uomo con la stessa sicurezza del classicismo origina la
complicatezza della psicologia moderna.
Il Biedermeier. L’affermazione del
collezionismo. I musei.
Nel periodo che va dal 1800 al 1830, si sviluppano
i grandi musei europei. Dopo Parigi ecco sorgerne a Londra, Milano, Venezia,
Monaco, Berlino, ecc. La loro nascita sovente è frutto di lasciti
privati, come avverrà ad esempio a Bologna con l’acquisizione
delle collezioni di Pelagio Palagi. Anche in area austrungarica nel 1802 il
conte Szécheny dona la sua collezione per la creazione di un museo
ungherese; nel 1811 l’arciduca edifica a Graz il museo nazionale della
Stiria; nel 1815 l’imperatore Francesco I° crea il gabinetto
nazionale dei prodotti manifatturieri collegato al politecnico; e poi nel
1818-a Brünn, nel
Lo stile Biedermeier non solo trovò rapidi
motivi di diffusione in condizioni comuni all’Europa postrivoluzionaria,
quali l’esigenza di arredi meno costosi dopo il dissanguamento delle guerre
napoleoniche, e l’introduzione di linee tondeggianti in reazione alla
rettilinearità neoclassica ed adatte ad esprimere con l’uso delle
sole essenze, essendo i decori bronzei estremamente costosi, la ricchezza della
decorazione; ma usufruì di una circostanza pubblicitaria senza
precedenti. Nel 1815 si apre il Congresso di Vienna. Il Garde-Meuble imperiale
si trovò di fronte alla gravosa incombenza di ospitare i delegati
provenienti da ogni parte d’Europa con tutto il loro seguito. Si dovette
approntare un gran numero di alloggi ammobiliati secondo il rango
dell’ospite cui erano destinati, seguendo una rigida etichetta:
1. mobili in legno lucidato,
tappezzati di seta, per il maggiordomo, i nobili e le dame.
2. mobili in quercia bionda
per i consiglieri ed i precettori.
3. mobili in quercia grigia
per gli ufficiali di corte e i domestici.
Per tale motivo sono tuttora presenti nel
Garde-Meuble austriaco un così gran numero di mobili Biedermeier.
Dopo aver vissuto in ambienti confortevoli e
tutto sommato pregni di una loro eleganza i delegati riportarono in patria una
forte influenza dello stile dominante nella capitale politica d’Europa.
Il Biedermeier viene riconosciuto nella sua
autonomia stilistica solo dopo cinquant’anni per la prima volta nella
mostra sul congresso di Vienna curata dal Museo austriaco dell’Arte e
dell’Industria nel 1897. Fino allora il termine (nato nel 55
dall’unione dei nomi di due personaggi satirici di “Fliegende
BlÄtter”: Biedemann e Brummeimeier, che diventarono il
signor Biedermeier) era usato in senso dispregiativo e si considerava lo
stile Impero quale ultimo stile organico prima dello storicismo. Nel 900 gli
architetti e gli artisti dell’avanguardia viennese da Hoffmann a Moser
ritrovano nel Biedermeier la fonte della loro ispirazione, nella ricerca di
riforma dell’arte in senso moderno. Essi identificano in tale stile
l’epoca dell’oggetto utilitario e borghese, simbolo di
funzionalità, di semplicità e di lavoro artigianale ben eseguito
in contrapposizione alle soffocanti espressioni del tardo Storicismo.
Nel 1807, regnante Francesco I°, si fonda il
“National-Fabriks-Producten-Cabinet” in cui si raccolgono
esclusivamente capodopera per illustrare la perfezione di determinati settori
di produzione, già nel 1829 erano presenti più di 18000 opere.
Nei tre arredi qui illustrati si esemplifica la diffusione dello stile
Biedermeier, in grado di influenzare la produzione d’alto livello in
tutta Europa Con il medesimo intento di fornire una base tecnica
all’artigianato di qualità nasce a Vienna nel 1864 il Museo
austriaco dell’arte e dell’industria, primo in Europa dedicato
all’artigianato d’arte. Vienna era per abitanti la terza
città d’Europa capitale politica e culturale di un impero che si
estende a buona parte del centro Europa, comprendendo Milano e Venezia. In
questi anni non c’era centro europeo di produzione che possa competere in
varietà di modelli curvilinei ed in solidità costruttiva. Fino al
1830 sopravvive un’impostazione ancora neoclassica, che si esprime
nell’adozione di decori di legno od in pastiglia dorata e
nell’applicazione di ornamenti in metallo dorato a foglia (spesso in
piombo, come nel secraitaire raramente sopravvissuti e sovente sostituiti nei
restauri successivi, quando si resero disponibili decori semindustriali dorati
galvanicamente, economici e di sufficiente qualità,) , di costo
decisamente inferiore di quelli in bronzo dorato a fuoco tipici
dell’Impero. Si semplificano all’essenziale le forme, si riducono i
volumi, si privilegia la visione frontale. I contrasti di legni naturali ed
ebanizzati dal 1830 portano all’abbandono di tali decori applicati,
ricorrendo al solo intarsio ed al movimento dei piani arricchiti da ampie
impiallacciature perfettamente lucidate (nel 1820 si cominciano ad utilizzare
le macchine sfogliatrici, che consentono di ottenere un maggior numero di
impiallacciature con lo stesso disegno, grazie agli spessori più
ridotti), disposte a formare un disegno verticale richiamante il senso della
crescita della pianta. Il mobile diventa più pesante e massiccio. Il
1820-30 vede nascere modelli di mobili di tale modernità da
avvantaggiarli di un secolo. Molti di questi mobili si possono facilmente
confondere con le creazioni del primo 900. Solo dal 1830 si assiste ad una
massiccia introduzione di macchinari per la lavorazione del legno. La prima
metà del secolo vede modernizzare molti dei processi produttivi, dopo i
primi esperimenti sull’illuminazione a gas del 1817 al Politecnico di
Vienna ci furono: nel
L’unità stilistica uniformò
gli arredi del Rococò, del Luigi XVI° e dell’Impero, la
ripetizione di dettagli quelli dello storicismo e dello Jugendstil, il
Biedermeier ricorse all’uniformità delle tappezzerie quale
elemento unificante dell’ambiente.
In un epoca di controllo poliziesco, quale fu
quella di Klemens Wenzel Lothar Metternich, gran parte della popolazione si
concentrò sulla vita familiare e domestica. Cominciava a crearsi quella
frattura tra interno ed esterno, in cui il privato diviene il terreno
privilegiato della vita, protetto dal mondo esterno dal suo chiasso e dalla
frenesia del lavoro, rinchiuso dai muri e dalle convenzioni della famiglia. Un
proprio universo di certezze dove ciò che si possiede è esemplare
di quello che si è; non solo nel senso della dimostrazione a se stessi
ed agli altri del proprio stato sociale, ma soprattutto nella conferma del
diritto di appartenere culturalmente alla propria classe. La donna è
parte integrante di questo processo, siamo ormai lontani dalla femme savante
del 700, dal sensuale ed erotico rapporto, che la legava all’arte, ella
è ora l’angelo del focolare, strenuo difensore della morale e
degli affetti. Non a caso nasce ora il termine casalinga. Questo ruolo viene
ufficialmente sancito nel 1871 nel libro “L’arte nella casa”,
edito a Vienna ed in cui Jacob von Falke dedica un capitolo alla
“missione estetica della donna”. Il nuovo senso della famiglia
diventa base politica dello stato. L’imperatore Francesco I°
trasferisce la base dell’autorità dal diritto divino e
dall’idea astratta dello stato all’etica della famiglia ed al
naturale rapporto d’autorità del padre in seno ad essa.
L’autorità monarchica messa in crisi dal secolo dei lumi si
rifonda sull’etica patriarcale della famiglia, caratteristica della
borghesia. L’imperatore è rappresentato non più come un
monarca assoluto, ma come il gran padre dei suoi sudditi. Da questa visione scaturirà
tutta la tematica tard’ottocentesca della nostalgia dei buoni vecchi
tempi andati.
Tutto ciò, insieme alla riduzione degli
spazi abitativi, portò ad un nuovo concetto dell’abitare con la
trasformazione di tali spazi da strutturati a vissuti. Lo stesso luogo
raggruppava diverse funzioni a secondo della disposizione e dell’utilizzo
dei mobili, che spesso erano trasformabili secondo le esigenze specifiche, esso
poteva indifferentemente essere sala di lettura, di conversazione, di lavoro o
da pranzo. La casa ottocentesca cambia totalmente la disposizione dei mobili,
radunandoli in gruppi omogenei e spostandoli al centro delle stanze. Si crea
un’arredo informale, che permette la crescita della casa per aggiunte
successive senza dover seguire un solo stile, procedendo per accumulo, fino
all’ingombro totale di oggetti della seconda metà del secolo.
Oltre che collezionati tali oggetti dovevano essere esposti per mostrare il
grado culturale del proprietario ed ecco allora oltre alle vetrine apparire in
gran numero l’étagères. Massiccia fu la produzione di
oggetti in madreperla, che vide arrivare l’importazione delle conchiglie,
iniziata dopo il 1812, già nel
Il connotato caratteristico fu senz’altro
la varietà e la diversità delle strutture, comune all’arte
dell’architetto ed a quella del mobiliere, che saranno anche la base
della moderna concezione dell’abitare. Il Biedermeier costituisce
l’elemento centrale, che permette il passaggio dagli eleganti, raffinati
e rarefatti interni neoclassici d’inizio secolo a quelli densi e pingui
della seconda metà.
L’Italia dopo il 1830.
Nel 1816 un sega
meccanica idraulica circolare del diametro di circa tre metri poteva tagliare
assi di mogano in spessori inferiori al millimetro. Nel
In Italia assistiamo al progressivo affermarsi
intorno agli anni quaranta della produzione neo rinascimentale, affiancata da
una spasmodica ricerca del pezzo antico, cui viene affiancato senza
nessun’esitazione quello in stile. La frenesia per l’antico porta
alla produzione di pezzi magistralmente eseguiti con l’utilizzo di legni
antichi, patinati in modo da confondersi con quelli autentici. I prezzi
raggiunti dall’antiquariato cinquecentesco, portano in alcuni casi a
spacciare tali produzioni per autentiche. Come nel famoso caso del cofanetto
“in bello stile del seicento” realizzato da Giovanni Duprè e
venduto alla marchesa Poldi Pezzoli, come opera del Tasso su disegno di
Benvenuto Cellini, tuttora nel museo Poldi Pezzoli di cui è comunque una
delle opere significative. Notiamo che la copia dei decori antichi non si
faceva scrupoli, ed avveniva anche senza troppe pretese culturali, se in tale
cofanetto Cellini (Firenze 1500,1571) era fatto vivere nel 600.
La seconda metà del secolo. Servizi
igienici ed illuminazione.
Intorno al 1850 molte case altolocate erano ormai
provviste di servizi igienici, ma le segette ed i vasi da notte restano
comunque molto diffusi e nel 1848 un tappezziere parigino produsse una comoda
mascherata in forma di pila di libri dallo spiritoso titolo “I misteri di
Parigi” ed un altro “Viaggio nei Paesi-Bassi.
L’americano Erastus Bigelow
presenta all’esposizione di Londra del 51 un telaio meccanico in grado di
confezionare i tappeti, ciò modificò velocemente il mercato
portando alla scomparsa della moquette in bande ormai sostituite dai tappeti in
un solo pezzo.
Nel 44 sono disponibili
diversi tipi d’illuminazione: candele di Palmer, con doppio stoppino
immerso in bismuto, ridotto in stato finemente metallico; la lampada d’Argand,
con stoppino tubolare per consentire la doppia circolazione dell’aria, ad
olio di colza, la cui densità fece collocare il serbatoio al di sopra
della fiamma onde favorirne per caduta a gravità la distribuzione, poi
si studiarono anche sistemi meccanici per pomparlo; la lampada anulare, o astrale,
od anche sinumbra, che grazie ad un serbatoio appiattito ed inclinato
proiettava poca ombra; la lampada solare, grazie ad un particolare
dispositivo permetteva di bruciare vari tipi di olio tra cui quello di strutto,
che essendo molto diffuso in America portò lì al suo rapido
sviluppo; la lampada vesta, che utilizzava la trementina rettificata
estremamente pericolosa e per questo motivo fu ben presto abbandonata. Quella Argand,
soprattutto nella versione meccanica Carcel, fu la più
diffusa e sarà rapidamente sostituita a metà degli anni 60 grazie
all’introduzione di quella a petrolio, scoperto nel
Il
Capitonné.
La nascita di
tale tecnica si colloca in Inghilterra verso la metà del 700, anche se
si tratta per il momento di semplici impuntature a vista. Il capitonné,
classicamente costituito da una trapunta trattenuta da un bottone rivestito in
genere della stessa stoffa, divenne indispensabile per fissare le imbottiture
di grandi proporzioni, realizzate alla continua ricerca di un maggiore confort
dal 1840.
Nel 1834 il tappezziere
Dervilles da alle poltrone imbottite presenti all’esposizione dei
prodotti dell’industria francese il nome di confortables. All’esposizione
di Londra del 1851 sono esposte poltrone capitonnées provviste di
foderine, per evitare gli antiestetici danni della brillantina. Giuseppe Cima
nel 1840 mostra, in una delle 300 tavole de “L’addobbatore
moderno”, un bagno in cui la vasca è nascosta da un canapè
capitonné seguendo la tipologia neoclassica.
Sono sopravvissuti
pochissimi arredi originali in capitonné a causa dell’eccessivo
costo di restauro di un mobile costruito quasi interamente in tappezzeria, che
ne rendeva più economica la sostituzione.
Il pouf compare a Parigi
intorno al 1845, è un grosso panchetto cilindrico riccamente tappezzato
spesso a capitonné, non tutti lo apprezzano per la relativa
comodità e l’eccessivo ingombro, ma l’atmosfera orientale
che ispira ne segna il successo.
Dalla metà del
secolo si afferma nell’abbigliamento delle signore la gabbia in
crinolina, per riuscire a coprirla scendendo dalle spalle sopra all’ampio
vestito gli scialli all’indiana assumono tali dimensioni da renderne
possibile l’utilizzo per la copertura provvisoria di sedili, tavoli e
camini, quasi che inconsciamente si volesse rinchiudere la donna e la casa in
un’ideale gabbia dorata degli affetti domestici.
Il progresso e la crisi dell’organizzazione
della bottega.
Nell’Ottocento si manifesta
anche lo scontro titanico tra il naturalismo, ad esempio di Honoré
deBalzac con la “Comédie humaine”, ed i materialismo
storico, di Karl Marx e Friedrich Engels, il primo vede nel proletariato e
nella sua lotta nient’altro che una delle classi costituenti la
società, per i secondi esso diventa la classe destinata sola a cambiare
il mondo per il trionfo di una nuova e definitiva era ideale.
Con la metà del
secolo assistiamo ad un generale assopimento dello scontro sociale da Napoleone
III° in Francia, alla regina Vittoria in Inghilterra, solo i paesi che
devono continuare il consolidamento della propria unità nazionale, come
l’Italia o l’America, conoscono turbamenti significativi.
Ciò corrisponde ad un periodo di benessere favorito da uno sviluppo tecnico
senza precedenti dall’inizio della vita urbana. Mutamenti radicali
riguardano ogni aspetto della vita quotidiana: le abitazioni, i trasporti,
l’illuminazione, il vestire ed il nutrimento. La storia dell’Arte
si configura come una continua evoluzione, rinnovamento ed ampliamento dei
mezzi tecnici dell’espressione, con lo sviluppo costante
dell’armonico equilibrio tra l’idea dell’artista ed i mezzi
della sua esecuzione. La rivoluzione industriale suscitò un tale rapido
mutamento dei mezzi materiali della produzione da non permettere
un’adattamento intellettuale altrettanto veloce, determinando
un’evoluzione tecnica più rapida di quella intellettuale. In
pratica gli artigiani, i maestri indipendenti vennero esclusi dalla vita economica,
prima di potervisi adattare e prima di essere riusciti a trasferire
organicamente in essa la tradizione artigianale ed i metodi del loro antico
mestiere. Non fu la natura della tecnica, ma l’organizzazione di essa a
mettere in crisi i vecchi maestri, provocando la mancanza di veri esperti
nell’industria, che si era sviluppata dall’artigianato, ma che da
esso troppo rapidamente prendeva le distanze. Lo sviluppo rapido della tecnica
velocizzò il rapido passare delle mode. L’imprenditore per mettere
pienamente a frutto i vantaggi delle nuove tecnologie è obbligato a
presentare l’ultimo prodotto come il migliore, ed a spingere alla
sostituzione continua dei vecchi oggetti d’uso inducendo se necessario
nuovi orientamenti del gusto del pubblico. Questo genera una dinamica molto accellerata
delle relazioni sociali e della concezione del mondo, portando alla creazione
di metropoli dove appieno si esprime il concetto di modernità; ed
è in esse che affondò le sue radici l’arte nuova,
l’impressionismo.
La seconda
metà del secolo.
Dopo la scomparsa dei
vincoli feudali, l’istituzione che più si presta
all’idealizzazione borghese resta la famiglia, che con il matrimonio si
prestava da un lato ad esaltare i sentimenti più nobili ed altruistici,
dall’altro a garantire la necessaria durata e stabilità alla
proprietà. La fedeltà diviene per conseguenza il suo pilastro e
l’adulterio è severamente condannato solo quando tende a
destabilizzare la famiglia. Ecco quindi spiegarsi un mondo tanto serio e posato
assieme ai banchieri crapuloni ed alle più raffinate Cocottes. La
borghesia è abbastanza ricca per desiderare di brillare, ma non
sufficientemente antica per saper evitare l’ostentazione. Ad essa nulla
appare troppo prezioso ed è l’ornamentazione che con la sua
abbondanza diviene la misura del valore. A questo fine tutto diventa utile:
materiali genuini o falsi, specchi e cristalli, seta e cotone stampato, il
Barocco come il Rinascimento ed il Gotico. Parigi è capitale
d’Europa, ma non più centro dell’arte e della cultura, ora
è la metropoli dei piaceri, dell’opera e dell’operetta, dei
ristoranti, dell’esposizioni universali, dei grandi magazzini, il primo a
Parigi fu quello della “Belle jardinière” del 1824, di ogni
piacere preconfezionato ed a buon mercato. La rivoluzione del 48 non
scaturì dalla guerra e la sconfitta come le rivoluzioni del secolo
successivo, ma da trent’anni di pace europea mantenuta da una politica
consapevolmente controrivoluzionaria. Gli intellettuali sentono che nel corso
del movimento rivoluzionario borghese la partecipazione popolare è
sempre più necessaria, la storia moderna è storia di popoli.
Anche l’arte è sentita sempre più come espressione attiva
di popolo. Georg Wulhelm FriedrichHegel scriveva nel 1830: ”L’artista
appartiene al suo tempo, vive dei suoi costumi e delle sue abitudini, ne
condivide le concezione e le rappresentazioni… occorre dire che il poeta
crea per il pubblico, in primo luogo, per il suo popolo e per la sua epoca,-i
quali hanno diritto di chiedere che un opera d’arte sia comprensibile al
popolo e vicina ad essa.” Il Realismo si oppone al Romanticismo e Johann
Wolfgang Goethe costata: ”Tutte le epoche in regresso ed in dissoluzione
sono soggettive, mentre tutte le epoche progressive hanno una direzione
oggettiva.” E Victor Hugo nel 1835: “Nel secolo in cui noi viviamo
l’orizzonte dell’arte si è grandemente allargato. Un tempo
il poeta diceva: il pubblico; oggi il poeta dice: il popolo.”Ancora nel
1861 Courbet si esprime in termini molto simili: “il bello, come la verità,
è legato al tempo in cui si vive e all’individuo che è in
grado di percepirlo…(e l’arte consiste solo) nel sapere trovare
l’espressione più completa della cosa esistente”; e nel
68’: “Rinnegando l’ideale falso e convenzionale, nel
La seconda parte del
secolo si apre con la grande esposizione universale di Londra nel 1851, chiave
di volta del secolo essa chiude definitivamente l’epoca dei fermenti
rivoluzionari del 48 e consacra quella dello sviluppo economico capitalistico.
Nelle esposizioni l’oggetto si circonda di un’aureola di
sacralità, svincolato dal suo immediato valore d’uso, coinvolge
profondamente l’immaginario del visitatore, abbagliandolo con la
densità delle opere, con la varietà cangiante dei colori, lo
trascina in una dimensione onirica. Oltremodo stimolato, l’acquisto
testimonia al pubblico la possibilità reale di appropriarsi del
superlativo, di partecipare al ricco banchetto allestito nel secolo del
progresso.
L’uomo per non
smarrirsi si rivolge al passato e dapprima ritrova nel Gotico le certezze della
fede, messe in forse dal razionalismo borghese e poi definitivamente cancellate
dall’eroismo laico della Rivoluzione; o la fuga fantastica in un mondo
arcano abbastanza distante da non sembrare contaminato dal positivismo
illuminista e dalla ragione eletta a fede. Con l’Ottocento le
potenzialità della macchina sembrano inebriare e stordire. La storia
appare, in quanto passato, punto fermo da cui attingere e scegliere come in un
bell’album di ricordi quello che di volta in volta appare costituire una
solida base cui ispirare la propria vita. I musei diventano come una macchina
del tempo, che permette di toccare con mano un passato reso solido dai suoi
monumenti.
Ad esempio in Francia per legittimarsi
Napoleone III° si rivolse al passato prossimo e favorì ampiamente la
diffusione del mito simoniaco di Napoleone; neppure san Gennaro è stato
riprodotto in tante multiformi immagini. L’imperatrice Eugenia si spinse
poco oltre e lanciò la ripresa dello stile Luigi XVI°. Ella era
un’appassionata ammiratrice di Maria Antonietta, che pretendeva di
reincarnare anche per mascherare le sue origini di parvenu. Curò
personalmente molti degli arredi reali, mischiando l’eleganza
settecentesca con il confort moderno tipico dei sedili imbottiti a
capitonné, utilizzando a fianco dei mobili autentici imitazioni moderne,
come queste pubblicate qui a fianco, tanto raffinate da essere intagliate e
dorate anche sul retro, perfettamente eseguite da abili ebanisti come
Joseph-Pierre-François Janselme, Paul Sormani, Guillaume Grohé;
tale amore duro dal 1853 al 1860 e diede origine allo stile detto Luigi XVI Imperatrice.
Siamo abituati ad indicare nell’Ottocento il secolo dello straboccare
arredativo, dell’horror vacui, in realtà è sostanzialmente
dopo il 1870, che si generalizza questa moda. Certo dopo il 1830
l’abbiamo già detto si assiste ad una notevole proliferazione di
oggetti, ma in generale tale densità era riscontrabile solo sui piani
d’appoggio e nelle vetrine, non certo ovunque nell’ambiente.
Musei, scuole
d’Arte applicata, ed esposizioni dopo l’unità.
A Torino nel 1863 si
inaugura il Museo civico d’arte applicata all’industria, diviso in
due sezioni moderna ed antica, di chiaro intendimento didattico. Presenta
mobili antichi, ceramiche opere moderne dell’ottocento, le scavatrici
usate per il traforo del Frejus ed opere di Pietro Piffetti, di Giuseppe Maria
Bonzanigo, ecc. che serviranno di modello alla scuola annessa. A Roma il
Municipio nel 1876 apre una scuola annessa al Museo Artistico inaugurato due
anni prima. A Firenze nel 1880
Gli artigiani italiani
parteciparono a quasi tutte l’esposizioni, organizzate dopo
l’unità. A Londra nel 1862 il Luigi Frullini ottiene il suo primo
riconoscimento. A Parigi in quella del 67 sono presenti 123 espositori italiani
nella categoria dei mobili di lusso, che ottengono 42 riconoscimenti, tra cui
la medaglia d’oro all’intagliatore senese Nicola Giusti. Nel
Le tendenze
igieniste.
Per reazione
all’eccessivo proliferare delle tappezzerie si sviluppa una produzione
dai caratteri essenziali e funzionali, ripresa e continuazione del Biedermeier,
dei mobili in ferro e della scarna praticità della sedia di Chiavari,
che pure non era riuscita a rimanere esente dai condizionamenti eclettici.
L’arredo in legno curvato.
Micchael Thonet
impiantò, dopo alterne vicende, la sua prima famosa fabbrica a
Koritschan in Moravia nel 1856, già nel 60 impiegava trecento persone e
produceva duecento pezzi al giorno. Poco dopo per far fronte alle richieste
aprì una seconda fabbrica sempre in Moravia, qui diede inizio alla
produzione della famosa sedia modello 14, il pezzo più diffuso in
assoluto. Ma la penuria di materiale lo obbligò ad acquistare intere
foreste in Ungheria ed a impiantarvi una terza fabbrica. Per mantenere alta la
richiesta si arrivò nell’ultimo catalogo, edito alla fine della I
guerra mondiale, a ben 1400 modelli diversi, contro i 25 del 59. Il motivo di
quello che fu il più grande successo del secolo con la produzione
complessiva in quarant’anni di oltre quarantacinque milioni di pezzi,
risiedeva in molteplici motivazioni. La prima economica per un prodotto poco
costoso, ma di grande praticità. La seconda, forse ancor più
importante, culturale, per una linea elegante senza tempo e tanto essenziale da
poter essere collocata ancor oggi quasi ovunque, dai locali pubblici a quelli
privati.
L’Impressionismo fu
l’arte urbana per eccellenza. L’uomo moderno concepì come
mutamento e movimento ogni istante della vita. L’Impressionismo trasformò
il quadro naturale in un processo in continua metamorfosi in cui contava
l’atto soggettivo del vedere e non più l’oggetto da cui esso
si genera. Prima dell’Impressionismo l’arte rappresenta la
realtà per mezzo di segni, ora attraverso i suoi componenti e gli
elementi di cui è composta. Lo scopo degl’impressionisti era di
far acquistare all’opera energia e fascino sensuale, ma ciò
comporta inevitabilmente la perdita dell’evidenza e della chiarezza del
disegno. La mancanza di forma e la tecnica sommaria furono considerate una
provocazione e crearono dalle prime esposizioni uno scandalo profondo.
L’impressionismo fu comunque l’ultimo stile in grado di esprimere
un effettiva influenza su tutte le arti e le culture delle diverse nazioni. La prima esposizione collettiva degli
impressionisti è del 1874 e l’ultima del 1886, ma esso
perdurò come post-impressionismo fino alla morte di Cézanne, nel
1906. Così un secolo nato con un adesione comune alla visione culturale
dettata dallo stile neoclassico e dall’unificazione politica imposta da
Napoleone in guerre che sconvolsero il mondo, termina con un ultimo movimento
culturale condiviso e con la prima guerra mondiale. L’acquistata
agiatezza portò il borghese ad uno sfrenato desiderio di lusso esteriore
con cui mascherare le sue origini spesso modeste e creare un milieu culturale
comune un cui riconoscersi come classe, cui sentire di appartenere. In questo
nuovo carattere promiscuo della società mondana acquistavano sempre
più importanza il demi-monde, le attrici e gli stranieri. La
disgregazione finale della classe aristocratica affretta la scomparsa
degl’ultimi rappresentanti della buona società d’un tempo.
E dalla crisi
dell’unità della cultura, che dopo i 1871,
La rottura
dell’unità rivoluzionaria dell’Ottocento è ormai
compiuta e le sue conseguenze domineranno fino ad oggi le problematiche
dell’arte e della cultura. È da questo clima che emerse
l’ultima tendenza del secolo il Decadentismo, espresso in pittura dal
Simbolismo. Jean-Arthur Rimbaud
affermò in un urlo: “la vera vita è assente. Noi non siamo
al mondo.” In questa frase si esprime tutta la delusione di questi
artisti, che un tempo colle speranze rivoluzionarie avevano creduto di poter
cambiare la vita ed ora sognano solo la fuga alla ricerca di una purezza, di
una verginità, di un Eden in terre esotiche. Ma a tante fughe
corrispondono ancora delusioni e ritorni. Gauguin è morto di fame e di
disperazione. Allora l’unica fuga resta il sogno, il proprio io o ideali
metafisici. Il Decadentismo segna il trionfo dello spirito antilluminista del
Romanticismo e deriva dai segnali di decomposizione della società, dal
gusto per una civiltà che sta scomparendo una torbida sensibilità
per la morte. Quando riesce a svegliarsi da questo letargo è quasi
sempre per rivolgersi all’esasperazione del Nazionalismo, come in
Gabriele D’Annunzio. Tutto ciò che il Decadentismo francese ed
inglese hanno prodotto D’Annunzio lo amplifica nelle sue poesie, nei
romanzi, nelle opere teatrali. Anche Giulio Aristide Sartorio mescolò
Preraffaelitismo e Simbolismo, ben presto diventò pittore ufficiale ed
il nuovo stato nato dal Risorgimento, dimenticato Giovanni Fattori, gli
commissionò il fregio per il Parlamento.
È in questo clima
culturale di fine secolo che nasce l’Art Nouveau, in Italia
chiamata Liberty dal nome di una ditta inglese produttrice di mobili. Tale
stile affonda la sua origine nel movimento Preraffaelita, che propugnava tra
l’altro il recupero della natura, e nei cui dipinti le piante ed i fiori
erano analizzati con minuzia scientifica. Gli arredi qui illustrati possiedono
tutte le caratteristiche , cui s’ispirerà l’Art Nouveau:
maestria artigianale, l’intarsio è interamante realizzato a
sgorbia nel massello; disegno lineare ed elegante; decoro floreale; sapore
ancora storicistico. Nel 1888 nasce il movimento dell’Arts and Crafts
e i cui elementi tipici sono costituiti dalla linea continua e sinuosa e da
fiori e piante stilizzati, ispirati all’arte giapponese. A Bruxelles nel
1892 l’architetto Victor Horta progetta l’Hotel Tassel
reintroducendo la regola della produzione globale, così come aveva fatto
Pelagio Palagi, secondo cui la casa deve essere progettata nel suo insieme di
muri decori ed arredi da una sola persona come un tutto organico. A Parigi
Henri Van de Velde progetta il negozio “Art Nouveau”, in cui la
decorazione, detta a colpo di frusta, assume movimenti nervosi, curvilinei. A
Glasgow Charles RennieMackintosh nel 1897 esegue i disegni della sala da the,
in cui si esprimono semplici linee rette e di moduli cubici sono decorati da
motivi floreali ed eteree fanciulle; tali elementi saranno la base dei progetti
del secessionisti viennesi: Kolo ,
Joseph Maria Olbrich e Joseph Hoffmann. Con Herman Muthesius, pure appartenente
ai secessionisti, nacque il moderno concetto di design più
rispondente all’esigenze della produzione industriale. E così si
concluse l’esperienza dell’Art Nouveau, che con le sue linee
e le sue raffinatezze mal si erano conciliate con una produzione meccanizzata
industriale.
Anche in Italia si fanno faticosamente
strada le nuove idee socialiste in difesa delle condizioni di vita operaie,
soprattutto nel milanese. Giuseppe Pellizza dipinge “quarto stato”
nel 1891 e Gaetano Previati espone
alla triennale “Maternità”, quadro di svolta nella pittura.
Mentre incomincia il rinnovamento nelle belle arti comincia anche in quelle
applicate a delinearsi una nuova sensibilità contraria
all’eclettico disordine pieno di decori eccessivi. Tali sviluppi non sono
assolutamente omogenei nel resto d’Italia, in un tessuto sociale
caratterizzato da piccole aziende artigiane estremamente frammentate. La
decorazione floreale è presente da qualche decennio, ma ancora applicata
a modelli eclettici e storicisti. La grande tradizione e maestria degli
artigiani italiani costituisce il maggior freno al rinnovamento ispirandosi
ancora per molto tempo al grande passato rinascimentale. Ancora nel
In passato era già
accaduto che lo stile amato dai contemporanei sia poi risultato per i posteri e
per la critica storica molto meno significativo di altri meno stimati nella
loro epoca, tuttavia per la prima volta le tendenze considerate oggi
significative furono così totalmente disconosciute. L’arte che
più si è dimostrata fruttifera per la sviluppo successivo il
Naturismo, da cui si evolverà l’Impressionismo, è arte
d’opposizione con uno sviluppo assolutamente autonomo e scarsamente
influente sull’arte effettivamente apprezzata dai contemporanei.
L’estraniamento degli artisti arriva al punto da considerare
l’insuccesso dell’opera come massimo segno di qualità.
La vita artistica era
destinata ad una borghesia indolente ed intellettualmente pigra cui dobbiamo
l’architettura pretenziosa, superficiale e disorganica, con interni
arredati con la più palese falsificazione dei modelli storici; pieni di
oggetti tanto costosi quanto superflui. La pittura è ridotta a piacevole
decorazione, la letteratura, la musica ed il teatro a lusinghiera
superficialità. Il gusto dell’epoca ci appare facilone, incerto,
scadente, mentre l’arte che più apprezziamo si riduce ad un
ristretto gruppo di addetti ai lavori assolutamente non in grado di mantenere artisti
ridotti letteralmente alla fame. Eppure questo giudizio suona in qualche modo
falso, troppo somigliante a quello che tutto sommato toccherebbe anche alla
nostra epoca. Dovremmo condividere le parole di Wackenroder del 1797: “
ricavate , con le arti della ragione, un rigoroso sistema e volete costringere
tutti gli uomini a sentire secondo i vostri precetti e le vostre regole, e voi
stessi non sentite nulla. Guardando tranquillamente a tutti i tempi e a tutti i
popoli procuriamo di sentire l’umano di ogni sentimento e di ogni opera
sua”.
Certo la scissione tra
pubblico ed addetti ai lavori nasce nell’Ottocento e si consolida con la
fine del millennio. La specializzazione dovuta alla divisione del lavoro da
allora ha implicato, non essendo tutti dei Leonardo, la necessità di
affidare al professionista le scelte che gli competono-, ma il 3000
riuscirà a riconciliare l’uomo con la sua arte ch’è
poi come dire con se stesso?
La galvanoplastica
consente di depositare, per mezzo della corrente elettrica, su qualsiasi
superfice conduttrice, o resa tale con l’apposizione di vernici
metalliche, metalli nobili come l’oro e l’argento o comuni come il
rame. Grazie ad un processo particolare è anche possibile depositare
tali metalli a spessore, creando in tutto e per tutto l’apparenza
dell’oggetto fuso o sbalzato.
il papier
Mâché è costituito da un’impasto morbido e
duttile di carta o di polpa di carta bagnata pressato in stampi e poi cotto per
indurirlo, poi laccato. Per rendere un effetto di preziosità si copriva
con uno strato sottile di madreperla protetta da una vernice nei punti dove si
voleva restasse, quindi si asportava il resto con l’acido ottenendo un
effetto di finto intarsio. Con esso si realizzo quasi ogni oggetto, materiale
versatile e precursore degli attuali sistemi di stampaggio.
In questo materiale ed in
quella tecnica si esemplifica l’essenza dell’Ottocento, soprattutto
la sua parte finale.
Molti si sono posti il
problema della epidermicità dell’arte di questo secolo. Ciò
che alla stragrande maggioranza dei contemporanei, compresi molti di quegli
artisti e di quegli scienziati che tanto ammiriamo, appariva funzionale,
familiare ed auspicabile; oggi è giudicato dai più
senz’appello: vituperevole, di cattivo gusto.
Qualunque ornamento, che
non sia fine a se stesso, può essere giudicato inutile e superfluo. Non
è necessario che un’automobile sia elegantemente verniciata, che
il suo interno presenti tappezzerie e rifiniture. Infatti un veicolo militare
non le porta.-Perché abbigliarsi, sarebbe sufficiente vestirsi con una
divisa.-Eppure anche gli eserciti hanno uniformi da parata.
Dunque, tranne per
individui ritenuti maniacali, --- l’uomo ha sempre soddisfatto il proprio
gusto, decorando persino gli attrezzi agricoli.
Eppure il papier
Mâché e la galvanoplastica ci imbarazzano. Troppo
falsi!.
Geniali invenzioni, che
liberavano l’artigiano dalla costrizione della forma, che univano, come
le fantasie di Jules Verne, elettricità, chimica e fantasia. Che con una
costo pari a quello della zucca di Cenerentola permetteva al povero di sentirsi
principe meglio che in una favola. Alla portata di quasi tutti gli artigiani
dell’epoca. Ebbene a noi non piacciono.
L’Ottocento, fu
come il papier Mâché e la galvanoplastica. Crepitante come
un fuoco d’artificio, rumoroso come le sue locomotive, ma anche pedante
come un predicatore e noioso come una vecchia zia.
Ho cominciato dicendo che
il terzo millennio forse ci vede abbastanza lontani da quel secolo da
consentirci un giudizio sereno. Forse non è ancora così e
l’Ottocento ci spaventa e ci inorridisce perché in esso potremmo
vedere noi stessi come siamo, se come Dorian Gray non avessimo firmato anche
noi un patto con il progresso per esorcizzare quelle stesse paure, che
dall’Ottocento ci perseguitano.
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