Gaeta vista da Formia, 1924-25. Olio su tela. Misure cm h. 75x92. Firmato in rosso in basso a sinistra "A. Mancini"
Provenienza: direttamente dall’artista per successioni ereditarie
Bologna, collezione privata
Mostre:
1925 Milano. Mostra individuale dei pittori Antonio Mancini e Arturo Rietti, Galleria Pesaro, n 17
1962 Milano. Mostra di Antonio Mancini Villa Comunale, ottobre-novembre, con testi di C. Lorenzetti e F. Bellonzi
1967 Firenze. Arte Moderna in Italia, 1915-1935, Palazzo Strozzi, presentazione di C. L. Ragghianti, n 171
1991 Milano. Antonio Mancini, Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente-Milano, XXXIV Festival dei Due Mondi Spoleto, catalogo a cura di Bruno Mantura e Elena di Majo
2009 Treviso. Mostra Antonio Mancini 1852-1930, a cura di Paolo Campopiano
Bibliografia:
Catalogo della mostra individuale dei pittori Antonio Mancini e Arturo Rietti, Galleria Pesaro. A cura di Vittorio Pica e di Raffaello Gioli. Bestetti e Tuminelli, Milano 1925, tav. n. 17
Catalogo della mostra di Antonio Mancini Villa Comunale, ottobre-novembre, con testi di C. Lorenzetti e F. Bellonzi. In: Antonio Mancini a cura di Fortunato Bellonzi, Aldo Martello Editore Milano, tav. n. XLVIII
arte Moderna in Italia 1915 - 1935. Firenze, Palazzo strozzi, 26 febbraio - 28 maggio 1967. Presentazione di Carlo Ludovico Ragghianti, edit. Marchi e Bertolli 1967, tav. n. 171
Catalogo della mostra Antonio Mancini, Società per le Belle Arti ed Esposizione Permanente-Milano, XXXIV Festival dei Due Mondi Spoleto, catalogo a cura di Bruno Mantura e Elena di Majo. Tipografia La Piramide, Roma 1991, tav. n. 47 pag. 118
Catalogo della mostra “Antonio Mancini 1852-1930” a cura di Paolo Campopiano, Grafiche italprint Treviso 2009, tav. n. 23
Estratto dalla tesi di Gaia Santoro “Antonio Mancini tra genio e follia”, Accademia di Belle Arti Bologna 2014: “Mancini è un paesista prolifico e fantasioso, per la selezione dei suoi soggetti e per i tagli scenici e prospettici che decide di scegliere. Come descrive, con pennellate decise e robuste, i tratti dei volti e delle vesti dei sui personaggi tratti dalla realtà e delineati con una forza e una luce vera, così riesce a costruire vedute potenti, dove la luce è eterea e vive nel tempo assoluto e reale, quello dove non esistono minuti o secondi ma solo il presente, più vero e vivo che mai. Privi di personaggi nelle strade o seduti nei tavoli del caffè, nei paesaggi evita la presenza umana, quasi distinguesse natura da uomo, così i suoi scenari sono immersi in un tempo infinito dove nulla può invecchiare e consumarsi, ma tutto rimane com’è e come deve essere, vero e reale, per sempre. Nutre i paesaggi con il suo carattere contemplativo, che lo distingue dalla produzione paesaggistica dei pittori partenopei del suo tempo, impegnati a realizzare, per la maggior parte, quasi esclusivamente vedute, più o meno scenografiche, o superficiali ed illustrative notazioni folcloristiche.
Per Zanzi il paesaggio di Mancini, è: “di una rara e suggestiva potenza interpretativa della terra, delle piante, del mare, delle acque correnti e del cielo chiaro e fondo, tutt’aria e luce. [Ha] trovato in Mancini lo scopritore del “genio del luogo” nella sostanza vegetale, geologica e tellurica ed il rivelatore dei più segreti colori… [fa] pensare a Cézanne….” (E. Zanzi, Mostra d’Arte della Gazzetta del Popolo, Torino, 1940.)”
Estratto dalla scheda n. 47 di Elena di Majo presente nel catalogo della mostra (4): “…nei suoi ultimi dipinti di paesaggio l’allusione naturalista è ormai divenuta in Mancini semplice scia di colore evocante una indistinta impressione visiva… Una sorta di “impressionismo” solidificato, senza regole né leggi ottiche… serve a risolvere punto per punto, nella densità del colore e nelle sue rifrazioni luminose, l’inamovibile entità formale della visione… la chiave nascosta per interpretare quel suo irrequieto manipolare di colore e di luci a catturare sulla tela la vera epifania delle cose.”
Scheda a cura della professoressa Gaia Santoro